David Lifodi: Unión Fenosa taglia la luce al Guatemala

I diritti dell’impresa privata prevalgono su quelli delle persone, in Guatemala come in tutto il continente centro e sudamericano. Energia, acqua, grandi opere (o “project financing” per usare un linguaggio caro alle imprese), costruzione di dighe e speculazioni edilizie: su tutto ciò si gettano le imprese transnazionali, spesso legate in fusioni ed intrecci pericolosi a livello globale. Per loro tutto è profitto, per i popoli tutto ciò significa far fronte alla cancellazione dei propri diritti fondamentali, dall’accesso ai beni comuni passando per quello all’abitare, mentre il fenomeno degli sfollati ambientali è in costante crescita. Dedicherò alcune delle prossime finestre latinoamericane a questi temi partendo oggi dalla dura battaglia che vede coinvolte da anni le popolazioni del Guatemala alla multinazionale spagnola Unión Fenosa, specializzata in distribuzione e fornitura di energia.

Poche ore ci separano dal Natale e nel paese centroamericano c’è il rischio concreto di rimanere al buio. Non sarebbe la prima volta che succede, era già accaduto nel 2009, quando alle comunità del dipartimento di San Marcos era stata tagliata la luce poiché numerose famiglie si erano dichiarate in resistenza ed avevano rifiutato di pagare la bolletta. In Guatemala una fattura elettrica erode circa il 35% del già poverissimo bilancio familiare di buona parte degli abitanti del paese, la maggior parte delle persone è costretta anche a rinunciare alla misera spesa quotidiana se vuol pagare la luce. Nel dipartimento di San Marcos la situazione è ancora peggiore: molte famiglie sono costrette a sopravvivere con meno di un dollaro al giorno, per cui gli allacciamenti abusivi più che un esproprio allo Stato e ad Unión Fenosa rappresentano una drammatica ed incombente necessità. Gli strateghi dell’impresa spagnola, nonostante una repressione selvaggia nei confronti delle comunità in resistenza, hanno capito che la disobbedienza al pagamento di tariffe inique non si arresta, e quindi per il Dicembre 2010 hanno scelto di dirigere le loro mire espansionistiche verso la zona di frontiera al confine con il Messico. Così facendo taglieranno la luce a buona parte del paese e diranno che sono stati costretti per riprendere il mancato guadagno causato dal rifiuto di massa a pagare che avviene nel dipartimento di San Marcos con un duplice scopo: favorire l’ingovernabilità del paese ed innescare una pericolosa guerra tra poveri. La privatizzazione dell’energia elettrica guatemalteca risale a dodici anni fa, quando la strada dell’attacco ai servizi pubblici fu tracciata dall’allora presidente Álvaro Arzú. Un anno più tardi Unión Fenosa si aggiudicò la fornitura del servizio di energia elettrica per l’intero paese, e da allora, con la scusa di dover controllare la rete che forniva l’energia al Guatemala, le municipalizzate locali affiliate Deocsa e Deorsa hanno cominciato una vera e propria campagna di aggressione nei confronti delle comunità. Inizialmente minacce e intimidazioni giustificate dalla volontà di dimostrare che la rete di elettricità apparteneva esclusivamente alla multinazionale stessa, dotata del potere di erogarla o toglierla a piacimento, poi la situazione è precipitata. L’autogestione della rete elettrica, come avveniva in alcune comunità, da quel momento è stata paragonata alla stregua di un furto, mentre la militarizzazione crescente del territorio è stata la risposta di Stato e Unión Fenosa ad un tavolo di negoziazione richiesto dalle organizzazioni popolari e dalla società civile. Secondo le denunce del Frente Nacional de Lucha en Defensa de los Servicios Públicos y Recursos Naturales (Fnl), Deocsa e Deorsa utilizzano l’apparato repressivo dello stato per commettere omicidi. Le testimonianze a questo proposito non mancano: nella primavera di quest’anno sono stati assassinati alcuni sindacalisti impegnati in una delle tante vertenze contro la privatizzazione dell’energia elettrica in Guatemala, mentre nel Dicembre 2009 le partecipate di Unión Fenosa non si erano fatte scrupoli nel sollecitare lo stato d’assedio contro le comunità resistenti di San Marcos proprio il giorno di Natale, atteso da migliaia di famiglie per potersi riunire con parenti e vicini e condividere quel poco che possono permettersi almeno un giorno all’anno. Le principali società spagnole azioniste di Unión Fenosa, Repsol Ypf e La Caixa, hanno sempre avallato questo stato delle cose, appoggiando (o forse suggerendo) le campagne di green-washing lanciate nel corso degli anni dalla loro impresa-ammiraglia, a partire dalla diffusione di un vademecum dove si parlava di responsabilità sociale d’impresa come la parolina magica per legare indissolubilmente i guatemaltechi a Deocsa e Deorsa. Al contrario, i contatori alterati, il pessimo servizio offerto e addirittura l’irruzione violenta dei funzionari di Unión Fenosa (scortati dall’esercito) nelle case delle famiglie di San Marcos per esigere la riscossione della bolletta hanno portato ad una massiccia mobilitazione popolare, fatta non solo di blocchi stradali e sommosse, ma anche di una campagna, significativamente denominata “Fuera Unión Fenosa”, che chiede al governo di cacciare dal paese la multinazionale spagnola. In realtà il governo guatemalteco ha sempre rifiutato il principio di accesso all’energia come un diritto pubblico inalienabile, soprattutto per le comunità che vivono nelle zone più povere del paese. L’esecutivo presieduto da Álvaro Colom, solo nominalmente di centro-sinistra e che pure aveva suscitato qualche timidissima speranza dopo i decenni di guerra civile segnati dalla repressione indiscriminata contro le comunità indigene e governi solo formalmente civili, ha scelto la strada peggiore. Tagliare la luce a tutta la fascia di frontiera con il Messico significa toglierla anche alle comunità del Petén (nel nord del paese) ed in particolare alle comunità di Laguna del Tigre, già al centro di un duro confronto con il governo centrale (e soprattutto con il suo apparato repressivo) a causa dello sviluppo di megaprogetti, dell’estensione di grandi monoculture e di grandi allevamenti di bestiame, che restringono ogni giorno di più le terre disponibili per la sopravvivenza delle popolazioni, deviano i fiumi ed esauriscono le fonti di acqua che hanno condotto a sgomberi e sfratti forzati ai danni degli abitanti della zona nonostante il diritto di accesso all’informazione e alla consultazione dei residenti siano legge nello Stato del Guatemala.

Qui comincerebbe un’altra storia, anche questa parlerebbe di sfollati ambientali e di comunità in rivolta, di dighe artificiali e progetti per il turismo d’elite, a cui le comunità in resistenza di tutto il continente risponderebbero con l’ormai conosciuto motto “Nuestra tierra y nuestros ríos no se venden, se defienden”.

Redazione
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Un commento

  • Grazie…
    E’ la solita vecchia storia, che, per esempio, dovrebbe impedire a molti di noi di bere ancora coca-cola o di comprarla ai nostri figli, per citare una multinazionale che sfrutta i lavoratori in centro America ed ammazza gli oppositori…

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