De Cataldo, Markaris e Mourad

tre recensioni giallo-noir di VALERIO CALZOLAIO   

Il Cairo. Primavera – estate 2006. Ahmed Kamàl è un 29enne fotografo occhialuto riccioluto, figlio d’arte pur laureato in economia, madre vedova diabetica, sorella fidanzata con un integralista. Lavora di notte al Casino Paris, sulla via delle Piramidi, ha lì una monocamera ufficio ripostiglio. Si innamora di Ghada, madre vedova impiegata, laureata all’Accademia di Belle Arti, commessa timida in un negozio di mobili, magra e bella, carnagione scura, naso sottile, iridi di miele, ondulati capelli castani, sorda. Il fatto è che un anno prima dalla terrazza esterna di un bar aveva assistito (scattando foto) al massacro di due ricconi e di tutti quelli che erano capitati nella stessa sala, da parte di un commando dei Servizi del Pascià. Nessuno aveva interloquito con gli anonimi tentativi di far pubblicare le immagini. Ora una serie di coincidenze lo inducono a riprovarci. E i pericoli aumentano. Come al solito un atipico hard-boiled può raccontarci le premesse di Piazza Tahrìr. L’esordio del 34enne regista cairota Ahmed Mourad (“Vertigo”, Marsilio 2012, pagg. 368 euro 18; originale 2007, traduzione di Barbara Teresi) non è male, in terza prevalente.

Roma. Autunno 1976-Primavera 1977 (Franco Giuseppucci aveva 29 anni). Il “Libanese”, 25enne nero piccolo possente villoso, fascista da sempre, trasteverino romanista, testa calda e fina, fa il ladro e sta in carcere. Salva il nipote del detenuto capo di camorra, diventa un loro protetto, esce e prova a far diventare vero il suo sogno: unificare il crimine romano e comandarlo. Subito non lo dice nemmeno a Dandi Bufalo e Scrocchiazeppi. Incrocia il Freddo e incontra una gran fica di riccioli neri, Giada, sinuosa arrapante, ricca rivoluzionaria drogata autonoma pariolina. Sesso, giri, fregature, entrature. Sora Pina avverte la ragazza di non fidarsi, i progetti di Libano sono soprattutto altri, sequestro e rapina però vanno malino. Rispetto al romanzo capolavoro di De Cataldo, questo è il racconto “criminale” (“Io sono il Libanese”, Einaudi 2012, pagg. 132 euro 13) prequel del quindicennio 1977-1992: un solo protagonista (terza fissa), passo giusto, linguaggio curato, ragazzi di vita, commedia umana. Imperdibile per chi ha amato il romanzo (vedi il saggio su “Delitti di carta” 2004 numero 2, oltre a fiction e varie). Martini e De Angelis.

Atene. Maggio 2011. Qualcuno avvisa pacatamente evasori fiscali che se non pagano li uccide. Con due lo fa davvero, qualcun altro versa il dovuto allo Stato. Poi chiede una meritata provvigione, i Servizi cercano di gabbarlo, allora ammazza un paio di “favoriti” del sistema. E diventa una sorta di eroe nazionale. Eppure l’antiquato, goffo, mite, coriaceo commissario Kostas Charitos deve proprio cercare di arrestarlo. Con meno lavoro, causa il triste susseguirsi solo di disperati suicidi per la crisi e le strade intasate per scioperi e manifestazioni, nonostante la figlia Caterina voglia partire per l’Africa e il vocabolario Dimitrakos non gli dia il solito aiuto, troverà il modo per farsi finalmente promuovere. Fortuna che ha Zisis e Mània! Talora si fa un po’ il verso per le strade dell’Acropoli, tuttavia è sempre un grande (con una trama geniale) il pluripremiato mitico 75enne Petros Markaris (“L’esattore”, Bompiani 2012, pagg. 344 euro 18,50; originale 2012, traduzione di Andrea di Gregorio) in prima al presente, colma di pietas senza enfasi. Segnalo il menu di Ai-stratis a pagina 278. Ghemistà (pomodori e peperoni ripieni) e silenzi.

UNA BREVE NOTA

Appuntamento con le recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio che in prima battuta escono su «Il salvagente». (db)

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