Decolonizzare, creolizzare, umanizzare
recensione a «Via della Transculturazione e della Gentilezza» (edizioni Ensemble: 180 pagine per 16 euri) di Armando Gnisci
Da giorni mi aggiro in un caos fecondo ovvero nelle pagine dell’ultimo ipnotico libro di Armando (mai gerundio fu meno adatto alla persona, propongo di depennare la “r”) Gnisci. Dimessosi volontariamente dall’università («istituzione feroce», «clima tossico» scrive lui stesso) per avviarsi «verso la liberazione, per psicoterapia». In cerca di una «penultima cosmovisione per poter accedere al tratto verso l’ultima porta come non-oppresso, ricucito e abbastanza risanato». Non abbandona Gnisci i suoi temi preferiti («vi troverete assaliti da ripetizioni», ma è «una ripresa») però li illumina con nuove riflessioni. Sorprendente come allarghi sempre l’orizzonte e conservi voglia e urgenza di dialogare… pur dubbioso dove e con chi. E infatti si domanda: «Per chi pensare e scrivere quindi? Non lo so». Certo non per l’università, la brutta addormentata.
I suoi «segnavia» – chi legge vedrà in che senso rilancia questo termine – sono galassie: Lucrezio, Emily Dickinson, Dante, Orazio, Seamus Heaney. Michel de Montaigne, Bertolt Brecht, Wallace Stevens, Jorge Luis Borges ma riferimenti continui vanno anche a Edouard Glissant (Gnisci ne ha parlato qui in blog in una bellissima «scor-data»), Stanislaw Lem, Tacito, Vandana Shiva (non c’è invece Gandhi e un po’ stupisce), Thomas Bernhard, Murakami Haruki, Joseph Ki-Zerbo, Aimè Cesaire, Frantz Fanon, Alejo Carpentier, le intuizioni di Joseph Conrad, il «poetico furore» di Giordano Bruno. Sul versante scientifico il riferimento principale è al Pac (Principio antropico cosmologico) dei due fisici John D. Barrow e Frank J. Tipler. Ma è la perduta «gilania» a dar luce e a gettar semi su tutto: come hanno raccontato prima Marija Gimbutas e poi Riane Esler vi fu «in epoche lontane una lunga stagione di armonia concreta e istituzionale fra donne e uomini, l’alleanza più stretta fra gli umani nell’età della concordia mutuale e pacifica, operosa e collaborativa, immersa in una società profondamente religiosa, guidata da Grandi Dee e dei». Non una utopia ma una eutopia «che possiamo trasformare da ora in poi in un pensiero per formare il benessere del futuro». Non si nasconde Gnisci l’orrore dell’oggi, come si dirà più avanti, ma bisogna darsi un obiettivo per tornare a incamminarsi.
Una parola chiave è «acculturazione» che va ripulita da letture errate. «Il cammino giusto porta a renderci aperti e attivi, ad accettare l’idea di una civiltà nuova che possiamo costruire solo se costruiamo una mente decolonizzata e mondializzata. La via è quella indicata dalla transculturazione e dalla creolizzazione». Non certo “integrazione” all’Occidente al suo dio e al suo denaro, non certo continuare la strada dei 500 (e più anni) di «guerra mondiale continua». L’attuale globalizzazione «è il trionfo di una nuvola nera e oleosa inestinguibile che ha instaurato il disagio profondo dell’ingiustizia sovrana tuttora vigente, fra gli umani e tra gli umani e il pianeta». Semmai meglio rifarsi ai diritti universali di Caracalla (212 dell’era volgare) che all’ambigua integrazione di cui si ciancia in Italia. Il mondo è meticcio, e sempre più lo sarà. Se i diritti non son di tutte/i allora non esistono in alcun luogo.
Cosa fare? Qui Gnisci riprende (in altri punti invece il dissenso è netto) Edgar Morin e Mauro Ceruti: «la formazione culturale e la ricerca sono attualmente il punto cruciale della nuova Europa possibile». Però – aggiungo io che su ciò sono più cupo del “pessottimista” Gnisci – l’Europa “reale” delle istituzioni quasi nulla si incammina su questa strada. E continua a contribuire a bloccare ogni speranza agli «abbrutiti nel sub-vivere del disagio senza senso apparente», a rendere il pianeta «sempre meno casa e sempre più discarica». Nonostante gli scossoni dati alla nostra storia da un notevole quartetto (gli «angeli-angoli» Darwin, Marx, Nietzsche, Freud) noi europei non sembriamo pronti per «salvarci l’un l’altro» come auspicava, duemila anni fa, Filodemo di Gadara.
Non è facile (neppure a riassumere) questo testo di Gnisci ma vale la fatica della lettura e dello studiare, prendendo appunti magari. Nel leggerlo, soprattutto fra un treno e l’altro, ero quasi tentato di recuperare un’abitudine che avevo – 40 anni fa, da studente “diligente” – di usare penne di 4 colori diversi per rendere più espliciti i punti d’accordo, di disaccordo, di dubbio e infine quelli da approfondire (confesso che persino un paio dei «segnavia» di Gnisci io li conosco poco o nulla). Sono convinto che se affrontate questo libro, sarete conquistati dal bel ragionare di questo vecchio-giovanissimo. Ma anche se ciò accadesse solo in parte vi indico due testi – tanto ignoti quanto fondamentali – che sono qui citati e commentati ampianente e che da soli valgono ampiamente la spesa.
Il primo è il «Requerimiento» del 1512 che «fu letto in spagnolo a ogni popolo indigeno, incontrato nel Mundus Novus»: un monumento alla violenza eurocentrica o, se preferite, un testo dell’assurdo come avrebbero potuto scriverlo Beckett o Ionesco se fossero stati due inquisitori. Come commenta Gnisci «ecco le radici cristiane moderne dell’Europa», tanto amate e a sproposito citate da Ratzinger.
Il secondo testo – che ci indirizza verso la «gentilezza anticolonialista» – è del marzo 2000: «Il vero debito estero. Lettera in un capo indio ai governi europei». Un testo talmente bello che vorrei metterlo qui in blog in modo permanente, magari accanto alle tre anti-scimmiette o alla frase di Marge Piercy. La firma è Guaicaipuro Cuautemoc e per fortuna gira anche altrove: lo trovate a esempio sul sito di Peacelink dove però il misterioso Cuautemoc (sintesi di due resistenti all’Invasione del Nuovo Mondo) diventa Cuatemoc.
Ci sono ovviamente molti altri importanti, ma presumo più conosciuti, da Montaigne a «I dannati della terra» di Fanon. Uno di questi, la lettera scritta «ai responsabili dell’Europa» da Yaguine Koita e Fodè Tounkara, due ragazzi della Guinea (è anche su codesto blog: Scor-data: 29 luglio 1999) ci incammina di nuovo verso un mondo gentile.
Quando parla di gentilezza Gnisci pensa soprattutto ai famosi versi di Brecht: «Noi / che abbiamo voluto preparare spazio alla gentilezza / noi non potemmo essere gentili. / Ma voi, quando sarà venuta l’ora / che all’uomo un aiuto sia l’uomo / pensate a noi / con indulgenza». Con altre parole lo disse Che Guevara, guerrigliero, medico e poeta: «Bisogna indurirsi senza perdere in tenerezza». Non facile. E infatti nel 2013, quando termina il libro, Gnisci ci avvisa: «non siamo gentili e non abbiamo preparato nemmeno un riparo per la gentilezza».
Anche io quando penso alla difficile via per diventare «apprendisti gentili» (o sovversivi nonviolenti alla Gandhi) rivado a quei versi di Brecht ma prima ancora penso a un racconto di Philip Dick. Mi permetto di consigliarlo a Gnisci visto che non disprezza la fantascienza (qui oltre al Lem di «Solaris» cita anche il Fredric Brown di «Il vagabondo dello spazio») e che svolge lo sguardo addirittura al cosmo, citando fra l’altro il viaggio del Voyager. Il racconto si intitola «Umano è» , ed è uno (purtroppo) dei meno conosciuti di un autore ormai così “alla moda”: ci provoca sulla nostra identità e forse mai Dick, che pure volava altissimo, ha osato tanto.
HO DIMENTICATO DI SOTTOLINEARE CHE LA COLLANA DI SAGGI DI «Transuculturazione» (della casa editrice Ensemble) è diretta proprio da Armando Gnisci. ECCO UNA PRESENTAZ IONE.
«La transculturazione va oltre il meticciato, il multiculturalismo e l’interculturalità. Come ci ha insegnato Édouard Glissant, è meticciato più l’imprevedibile. O meglio, questa è la sua definizione della “creolizzazione”, che tuttavia si allarga benissimo sul senso e sul valore della transculturazione.
La parola e il concetto furono proposti dall’antropologo cubano Fernando Ortiz nel 1940. La transculturazione, come vedete, viene dai Caraibi e non da Oxford o da Heidelberg, né da Harvard o Yale. È una forma vitale e critica che genera l’immagine eutopica di una futura civiltà umana generale dei diversi che non è più nelle mani coloniali dell’Europa, caput mundi, ma non è ancora decolonizzata. La nostra civiltà europea, infatti, ha la sua propria transculturazione, che si è meritata e che passa attraverso la decolonizzazione delle nostre menti, la creolizzazione delle nostre vite, la mondializzazione del nostro spirito, per quanto ancora ne resti e resista in Europa.
La transculturazione è azione. E non solo pensiero. È incontro e coevoluzione fra persone, fra testi e feste, fra lingue traduzioni e migrazioni, e fra le civiltà che imparano finalmente a pensare di poter andare insieme e per bene sulla strada del futuro.
Gli statistici ci hanno detto nel 2013 che alla fine di questo secolo XXI l’Italia e l’Europa avranno popolazioni con maggioranza meticcia. Come prepariamo, ora e qui, noi stessi e i nostri nipoti per arrivare lungo il secolo al traguardo di questo nuovo “Brave new World”, come Miranda chiama il Nuovo Mondo di allora ne “La tempesta” di Shakespeare? Brave new World è l’Europa del XXI secolo, se non sarà una Waste Land, una Terra desolata, come scrisse T. S. Eliot all’inizio del secolo XX.
La transculturazione è critica e crea realtà imprevedibili e positive, eutopie: né utopie, né distopie, ma “luoghi in comune buoni per crescere insieme, da ora”.
La nostra collana crea e pubblica saggi transculturali italiani e stranieri. La prima pubblicazione è stata quella di “Via della Transculturazione e della Gentilezza” di Armando Gnisci. Seguiranno due opere tradotte dall’Egitto: “Vergogna tra le due sponde del Mediterraneo” di Ezzat Kamhawi e “La poesia nelle piazze” di Hussein Mahmoud; “Pensiero caraibico” (traduzione e cura di Andrea Gazzoni) e “Teatro italiano e meticcio” di Maria Cristina Mauceri e Marta Niccolai, poi “L’Africa nelle Americhe” (traduzione e cura di Manuela Derosas).
Sostenete il diverso pensiero critico del futuro che gentilmente offriamo con il nostro lavoro transculturale. Aiutateci a non sparire nel corpo della tempesta oscura della civiltà occidentale sempre più in mano ai mercati di forni crematori e ai mercanti della politica che pretende di guidarci nel mercato globale».
Non ho resistito e (w le coincidenze) dunque ecco in blog come “scor-data” di oggi, 10 marzo, sul giorno successivo… proprio la lettera sul vero debito estero di Guaicaipuro Cuautemoc.
come faccio a non segnarmelo?
MESSAGGIO DI A(r)MANDO GNISCI
Ho scritto nella presentazione della collana Transculturazione, presso il giovane piccolo editore romano Ensemble, che il primo libro della collana (il mio) è uscito nel 2003, un’amica mi ha avvisato dell’errore e ho chiesto a pkdick di correggere il refuso (una collana che pubblica i secondi libri 11 anni dopo il primo! come si fa?).
Nel 2003 non avrei mai potuto scrivere un libro come la «Via della Transculturazione e della Gentilezza», non ne ero assolutamente capace; quell’anno pubblicaiCreolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione», un buon libro, ormai introvabile, ma scritto in prigione (l’università). Mi sono dimesso dalla Sapienza nel 2010 e ora scrivo libri “pazzeschi”, come dice la mia cara amica Biancamaria Bruno che dirige la rivista «Lettera Internazionale».
Armando Gnisci sveste la storia, la mette nuda davanti a noi, la spolpa in ogni parte per poi ricucirla sapientemente con uno sguardo alla contemporaneità che mette a galla la melma oscurantista che ci ha inghiottito nell’ignoranza, nell’ignominia, nell’ipocrisia, nella barbarie di “500 anni di guerra continua” di distruzione permanente del “pianeta che è sempre più una discarica che una casa” conviviale: la nostra unica nave spaziale che abbiamo, in tutta la galassia, per assistere.
Ottimo Daniele per la recensione. Ottimo Armando per il tuo saggio. Grazie a entrambi.
Sabatino.