DELLE PIÙ

TRA IL DIRE E IL FARE CI SONO LE FRONTIERE per DELLE PIU'di Pabuda

 

 

ora, capita – l’ho saputo per…

per… degli intrallazzi

che tengo

e alcune affettuose

relazioni…

che, a dispetto degli anni,

ancora mantengo

sul litorale tra Milazzo

e Pozzo di Gotto

(fin da quando contavo

gli anni

su una sola manina,

quindi dal famoso

Sessantotto!)

ma non divaghiamo…

insomma, cioè, niente,

dicevamo: ho relazioni…

con dei bravi trafficanti,

contrabbandieri

e passatori di mare –

devo dire: secondo loro,

pare…

che una delle persone

più antipatiche

del mondo

abbia fatto domanda

per venire ad abitare

nel mio stesso

striminzito continente.

oltretutto, (sempre) pare…

che ‘sto tizio odioso

sappia benissimo

quanto io sia

oltremodo simpatico

e di buona compagnia.

prima

che lo sgradevole soggetto

mi si metta alle costole…

m’aliti pesantemente

sul collo

o mi salti addirittura

in groppa

come uno zaino

o una brutta dipendenza…

non so bene

che provvedimenti

prendere,

che atteggiamento

assumere

per evitare il peggio

(o anche meno).

che faccio? mi dileguo?

sparisco emigrando io,

ma alla svelta,

in direzione

del vicino, del medio

o dell’estremo Oriente?

non mi garba per niente:

ho certi pregiudizi gastronomici

che potrei schiattare

a far colazione-pranzo-cena

(e merenda!)

col cumino in tutte le salse…

potrei, allora, prenderlo

in contropiede:

inventarmi una mia,

personalissima,

nuova forma di xenofobia…

come dire:

antipatico-specifica, mirata,

individualizzata:

magari potrei soffiare

sul primo fuoco che trovo,

potrei fare –

profittando d’una qualsiasi

disgrazia collettiva – un po’

d’allarmismo alla cazzo

ma puntando

il mio dito più puntuto

su quel richiedente da strapazzo…

senza dimenticare, ovviamente,

(in un eccesso apparente

di civilissimo altruismo europeo

& di tipicissima italica simpatia)

di proporre d’aiutarlo a casa sua.

però, tanto per cambiare,

c’è un bel però:

per stoppare immediatamente

la prevedibile e infamante accusa

d’aver sollevato un polverone

per una questione

d’avversione

del tutto personale

dovrei, mio malgrado, a quel punto,

politicizzare il tutto – come

col limone nella maionese –

imbastire una specie di campagna

e, contraddicendomi,

sbracare, esagerare, generalizzare.

per l’eventualità… ho già in mente

un manifesto programmatico

e l’appello per la raccolta delle firme:

qualcosa che trasmetta e rinfocoli

– nonostante tutto – entusiasmo,

coraggio, virile individualismo

un bel po’ d’orgoglio identitario,

e una chiara consapevolezza

dei destini della stirpe

ma, allo stesso tempo:

creatività e fantasia:

… qualcosa tipo:

“voglio starmene tranquillo:

tutti gli antipatici via!

preferisco starmene solo,

forse depresso,

ma l’antipatico – quando mi gira –

lo faccio io… padre-padrino-padrone

a casa mia!”

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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