Desiderius Papp, o della proto-Fantascienza – 1
Di Mauro Antonio Miglieruolo
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È sempre stata mia convinzione, convinzione che fin’ora nulla è intervenuto a scuotere, che nella fantascienza niente accade che sia idealmente estraneo al presente. E nulla che non sia già fattualmente presente nel presente.
Può apparire diversamente perché la fantascienza non sembra interessarsi a tutti gli aspetti della contemporaneità, ma solo a quei che reputa pertinenti alla e fondanti la contemporaneità. Aspetti che, definiti molto sinteticamente, possono essere descritti come le tendenze generali di sviluppo dell’insieme umano sociale; i processi in atto che determinano le esperienze di ingegneria sociale; le tecniche adoperate in una con progetti consapevoli necessari a portarle avanti; il tutto surdeterminato dal bisogno del romanzesco che si incontra con il bisogno di ottenere spiegazioni sui sconvolgimenti introdotti dalle macchine, a partire dall’ottocento e con ritmi sempre più accelerati a partire dal Novecento. Il campo di elezione della fantascienza è dunque un campo nuovo, prodotto dalla fantascienza medesima, unificandola tecnologia, la filosofia e le concezioni del mondo.
La fantascienza non è dunque una variabile immaginativa della scienza; né è anticipazione dei tempi che verranno, poiché anzi piuttosto che portare a noi il futuro, porta nel futuro il presente (a volte il passato che lo scrittore scambia per presente). Essa è posticipazione, speculazione sui possibili sviluppi che si realizzeranno, a patto si realizzino determinate ipotesi formulate sulla base di alcune ben individuate tendenze. Il famoso “che succederebbe se”, proposto anche se molto poco probabile si realizzi. Perché importante non è questa improbabile realizzazione (che a volte trova pure compimento), ma la luce che getta sul nostro modo di vivere e sui nostri problemi. Una fuga in avanti che è uno sprofondare nell’attualità. Né più né meno di quel che fanno i politici di valore (che progettano la propria carriera scommettendo su questa o quella variabile) e gli scienziati quando abbandonano i loro laboratori e, nel laboratorio della mente, speculano sulle infinite possibilità che offre il mondo, un mondo probabilistico / quantistico.
Gli scienziati in particolare, eroi ideali del racconto di fantascienza, tanto lavorano sulla materia, quanto sui sogni. E misurano i loro successi non solo sulla base del buon lavoro svolto nei laboratori, ma anche nel buon lavoro fatto nella sezione “sogno” del laboratorio della mente.
Di questi sogni, che spesso diventano progetti e poi ricerca attiva, si fa parassita la fantascienza (da cui poi l’equivoco sulla fantascienza che, lo ribadisco, a malapena può essere definita fantatecnologia), che se ne serve per spingere ulteriormente in avanti il sogno, farlo diventare avventura, fantasticheria, realizzazione di specifici bisogni dell’uomo medio (uomo medio = l’uomo senza potere che nella scienza e nei superpoteri cerca compensazione alle proprie impotenze) ma anche denuncia, grido di allarme e, a volte, indicazioni di percorsi alternativi e salvifici.
Dunque, la fantascienza non anticipa, posticipa: posticipa il presente alterandolo quel tanto sufficiente da poterlo trasferire nei mondi ideali che costruisce proprio allo scopo di poterlo, dopo averlo lavorato artisticamente, reinserirlo nello stesso reale da cui l’aveva tratto. Attraverso queste costruzioni ideali la fantascienza rende manifesto l’indicibile o il difficilmente dicibile della vita quotidiana, quello che appartiene ai sogni segreti, alle preoccupazioni, alle curiosità inespresse (ma sempre in punta di lingua), alle angosce e alle aspirazioni elementari (e non) proprie a ogni essere umano. Il tutto riassunto da quella sorta di sacerdozio laico che corrisponde all’immagine corrente della scienza e degli scienziati.
La fantascienza non dà nulla di proprio se non questa capacità di pensare in termini di avventura, o disavventura del borghese piccolo piccolo (ma un borghese che spesso ascende a paradigma dell’uomo, di ogni essere umano), le grandi correnti del pensiero contemporaneo, del quale si fa amplificatore e diffusore e persino equalizzatore, senz’altro inventare che il già inventato, ma operando in modo tale da coprire il vuoto di tanto mainstream che, da un certo momento in poi, dei destini dell’umanità si è sempre meno interessato.
Tale persuasione è stata di recente confermata da due vecchi libri di divulgazione scientifica della Casa Editrice Bompiani, collana Avventure del Pensiero, che mi sono venuti casualmente per le mani. Il primo è firmato da un certo Desiderius Papp (probabilmente uno pseudonimo), astronomo tedesco presente almeno con due testi nella collana (quello in mio possesso è il terzo dell’intera serie ed è intitolato “Chi vive sulle stelle?”); il secondo dal più noto Ugo Maraldi, anch’esso presente con due testi, di cui ho potuto leggere probabilmente il meno fascinoso, ma sempre accattivante, “Dal centro della terra alla stratosfera” (l’altro testo porta il più suggestivo e apertamente fantascientifico titolo “Dal cannonismo al raggio mortale”, leit motiv di tanta fantascienza spaziale).
Ambedue i testi, nonostante si tratti di edizioni vecchie di settanta/ottanta e forse più anni, sono tutt’ora reperibili sul mercato (insieme ad altre dei medesimi autori). Una ricerca su Internet lo potrà confermare.
a)
Desiderius Papp (nato a Sopron il 21. Mai 1895, morto a Buenos Aires il 31. Januar 1993)
Inizia l’ attività come divulgatore scientifico e come elaboratore di materiale grezzo fantascientifico nel 1925 (!) con “L’uomo Macchina” (data che lo pone decisamente in anticipo sulla nascita ufficiale della fantascienza moderna); segue nel 1931 “Chi vive sulle Stelle?” e “Futuro e la fine del mondo”; a cui nel 1965 fa seguire “El Problema Del origen de los Mundos” e nel 1988 “Breve historia de las Ciencias. Desde la Antigüedad hasta nuestros dias”.
Del libro, nei cui meandri mi avventuro con una rapida cavalcata, presento le descrizioni dei possibili abitanti di Luna, Venere e Marte. Ma il libro tutto è pieno di uguali fantasticherie fantascientifiche.
Il libro è diviso in tre parti che elenco perché oltremodo significative di un programma decisamente fantascientifico:
1) La Testimonianza della Terra; 2) Gli abitanti delle Stelle; 3) Ponti verso altri Mondi
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La Luna:
1
Approdati felicemente nella luna, i passeggeri si trovano in un mondo non terrestre. Fosche gole, cupi burroni, profondi antri e sinistri monti spaventano il figlio della Terra che s’è avventurato colà. Quegli antri sono le dimore degli abitanti della luna, rocce aventi il còmpito di proteggere gli inquilini dalle orgie delle temperature estreme: di giorno dalle arsure solari, di notte dai terribili freddi. Sotto il fogliame di alberi esotici guizzano spettrali le creature lunari: esseri simili a serpi, veri mostri, di grandezza corporea superiore all’umana.
Molti di essi posseggono ali, come se fossero un incrocio fra uccelli e serpenti, altri si trovano bene nei freddi abissi delle acque. Pochi possono sopportare l’ardore del Sole: Parecchi muoiono durante il lungo mezzogiorno lunare e solo quando scende la notte risuscitano. Nel loro cielo si libra, coprendo col suo fulgore tutti gli altri lumi celesti, uno splendido astro: la Terra, che nel linguaggio lunare si chiama «Valva». Lo splendore di questo astro è però visibile da un solo lato della luna, perché l’altro emisfero lunare resta sempre opposto alla Terra.
2
La causa della variazione di colore doveva piuttosto trovarsi in un reale mutamento del suolo lunare. Ciò posto, si offriva naturale la soluzione dell’enigma: si tratta di piante che, dopo il sorgere del Sole, sotto il bacio vivificante dei raggi, sbocciano dall’avaro suolo, e fino al tramonto, si godono il calore e la luce. La loro fioritura raggiunge il sommo nelle ore meridiane; perciò, in queste ore, il suolo lunare appare più oscuro all’osservatore terrestre che lo guarda col telescopio. Quando il giorno declina e il Sole s’appressa all’orizzonte, il breve spettacolo di vita finisce e le piante cominciano a morire. La gelida notte appresta loro una fredda tomba. Quando spunta l’alba, il paesaggio senza piante emerge chiaro, e allorché cominciano a spun-tare le erbe si fa oscuro. È come se l’alternarsi delle stagioni si compisse sulla luna nel corso di un giorno e di una notte lunare.
Il mattino lunare è la primavera di quel nostro satellite, e col suo mite calore desta dal loro sonno di morte gli abitanti animali e vegetali di quel mondo: il mezzogiorno lunare apporta, col suo calore, l’estate. Allora le piante, adattate ad una temperatura torrida, possono prosperare bene, e in fondo al cratere gli sciami degli esseri volanti iniziano le loro migrazioni. Con la sera lunare sopraggiunge l’autunno; fa più freddo, i raggi solari perdono la loro forza, il tappeto di piante comincia ad avvizzire presentendo il gelido soffio che a poco a poco si avvicina, e le volanti creature che hanno sede nel cratere si paralizzano. Con la notte lunare irrompe l’inverno e tutti gli esseri s’immergono nelle fredde tenebre e si addormentano.
(seguito e fine alle ore 12)
Letto i due libri Avvenire e Fine del Mondo, e Chi vive sulle stelle all’età di 14 anni dicasi in anni 1952 . Chiaramente uno pseudonimo. Per l’eposa abbastanza brillante anche se i sui libri usciti negli anni1930 non hanno traccia della fenice solare,e riflettono ignoranze astronomiche dell’epoca , compresa quanntistica.
Di simpatico grande efflato, ricorda il vecchio Flammarion, Corretto in qualche modo anticipatore di Fantascienza ricorda Verne, Robida, e Yambo.