Despues de 10 años
Racconto di un viaggio in El Salvador
di Maria Teresa Messidoro
A fine gennaio di quest’anno, una delegazione dell’Associazione di volontariato «Lisangà culture in movimento» (di Giaveno) ha visitato El Salvador: l’elemento comune a tutti i 10 partecipanti era l’appartenenza, anche se in forme diverse, al movimento No Tav.
Per alcuni è stato il primo viaggio in Centro America,
per altri no: per me si trattava di un ritorno, dopo dieci anni di assenza, in quel Paese (il Pollicino d’America, “el pulgarcito”, come lo chiamano) che ha segnato profondamente la mia vita, le mie scelte, le mie prospettive.
La prima volta fu nel 1986, in piena guerra civile, come membro di una delegazione di un’associazione internazionale per la difesa dei diritti umani: a quello seguirono molti altri viaggi costruendo relazioni di amicizia, di collaborazioni nel campo sociale e politico.
La salute e problemi economici mi avevano tenuta lontana dal Salvador, ma dopo dieci anni sono riuscita a progettare questo viaggio, soprattutto per incontrare la Comunità Rurale di San Francisco Echeverria, nella regione di Cabañas, che come associazione Lisangà sosteniamo economicamente da molto tempo.
Ma non solo.
El Salvador, dopo la fine della guerra civile, durata dal 1980 al 1992, ha vissuto una fase di transizione non semplice, acuita dalle mille contraddizioni per i problemi sociali rimasti irrisolti e dalla violenza quotidiana, scatenata dalle due maras (bande giovanili) che si contendono il controllo nelle grandi città.
A diversi governi guidati dal partito di destra Arena – il partito che ordinò l’assassinio di monsignor Romero nel 1980 e che fu complice dei massacri e delle violenze nel Paese – era succeduto nel 2009, per la prima volta, l’Fmln, l’ex forza guerrigliera trasformatosi in partito dopo gli accordi di pace. Il presidente era Mauricio Funes, giornalista, considerato un moderato.
Le elezioni del 2014 hanno visto invece come candidato della coalizione della sinistra, guidata dal Fmln, Salvador Sánchez Cerén, ex dirigente guerrigliero conosciuto come Comandante Lionel Gonzales. Una scelta importante, una sfida, per cercare di sconfiggere una campagna elettorale organizzata dalla destra, basata sulla paura e sul ritorno alla violenza.
Abbiamo avuto la fortuna di incontrare personaggi di spicco del Fmln e di poter essere presenti come ossservatori internazionali durante le elezioni, svoltesi ai primi di febbraio.
In realtà siamo stati presenti soltanto al primo turno perchè, pur avendo stravinto, l’Fmln si è fermato al 49,1 % e ha dovuto così aspettare la “segunda vuelta” (il ballottaggio) per raggiungere la sospirata vittoria.
Molto si potrebbe raccontare ma mi soffermo su tre elementi.
1. L’Fmln ha impostato per la prima volta in modo chiaro la sua campagna sul «Buen vivir», quel “Buon vivere” che definisce le nuove democrazie popolari latinoamericane, prime fra tutti quella boliviana e la ecuadoriana. Così, appena eletto, il nuovo presidente ha dichiarato l’adesione ufficiale di El Salvador al PetroCaribe, l’organizzazione creata nel 2005 da Chavez, per proclamare la necessità di una indipendenza energetica, e non solo, dei Paesi sudamericani, rispetto agli Stati Uniti e alle altre potenze mondiali. Attualmente, incluso El Salvador, i paesi aderenti sono 19.
2. Soprattutto prima del ballottaggio, la campagna di Arena ha cercato di sfruttare a proprio vantaggio l’instabilità del Venezuela, dove i poteri forti hanno cercato di attaccare Maduro e di incrinare la democrazia nel Paese. Le immagini dei disordini scoppiati in Venezuela, gli scontri di piazza, i morti, sono stati più e più volte mostrati, come monito su ciò che sarebbe successo anche in El Salvador se avesse vinto il Frente.
3. Al termine del ballottaggio, quando si è visto che Ceren aveva vinto, anche se per una manciata di voti, circa 6 mila su 3 milioni di votanti, Arena ha tentato di provocare disordini, chiedendo a gran voce l’annullamento delle elezioni. Ma lo stesso esercito, dopo il Tribunale Supremo elettorale, ha dichiarato la propria fedeltà al nuovo governo retto dal Fmln. Un cambiamento importante dunque, per un Paese in cui l’esercito si è macchiato di crimini durante la sanguinosa guerra civile, mentre ora, come abbiamo potuto constatare personalmente in un incontro con un colonnello, molti dei suoi ufficiali si sono schierati e si schierano a fianco della sinistra.
Non è facile governare in El Salvador, tantomeno viverci: nelle grandi città la presenza delle maras limita i movimenti, tutte le case hanno le inferiate e chi può dei sorveglianti. Anche nei quartieri della classe media si entra soltanto con un invito o un lasciapassare, mentre questa pratica prima era presente soltanto nei quartieri “alti” della città, primo fra tutti l’Escalon.
Noi stranieri possiamo andare nel “mero centro” (il centro della città), soltanto in taxi o microbus, marcati a vista da chi ci accompagna…
Eppure cambiamenti ci sono: grazie a un’idea della moglie dell’ex presidente Mauricio Funes (brasiliana, sindacalista, amica di Lula) è iniziata da alcuni anni, in El Salvador, l’esperienza di Ciudad Mujer. Abbiamo potuto visitare una delle cinque sedi, la prima, nella provincia della Libertad, e ne siamo rimaste favorevolmente impressionate: una realtà tutta al femminile, dove le donne, anzi ciascuna donna che vi entra, viene seguita in un percorso di riabilitazione psicologica, assistita per eventuale assistenza giuridica, accompagnata in attività di imprenditoria femminile con la possibilità del microcredito e corsi di formazione anche per lavori non proprio tipicamente femminili – a fine gennaio, erano appena state “formate” alcune riparatrici meccaniche…
C’è spazio per l’assistenza medica gratuita in qualsiasi aspetto, la possibilità di inserire i propri figli in spazi a loro dedicati per tutto il tempo in cui le donne sono presenti nelle strutture. Finora, più di 175.000 donne si sono avvicinate a Ciudad Mujer, dove tutto il personale è femminile, escluso un fotografo… In via eccezionale è stato possibile far entrare gli uomini della nostra delegazione, ma con discrezione.
Come associazione Lisangà stiamo lavorando con le donne della Comunità di San Francisco e abbiamo proposto di intraprendere proprio con la sede di Ciudad Mujer a loro più vicina un percorso di prevenzione, di educazione sessuale e perché no anche di professionalizzazione – è stato scelto un corso di cucito.
Fortunatamente, con il nuovo governo, l’esperienza di Ciudad Mujer rientra a tutti gli effetti fra i progetti stabili dello Stato salvadoregno, dipendendo dalla Segreteria di Inclusione Sociale, ma non soggetta ad eventuali approvazioni del governo di turno.
Molto si potrebbe raccontare, forse annoiando chi legge perché non è semplice trasmettere con le righe le emozioni, le sensazioni, le stesse persone che si incontrano o si rivedono dopo molto tempo.
Preferisco terminare con due parole sulla Comunità di San Francisco: 1200 persone, poco più di 250 famiglie, un villaggio sostanzialmente agricolo, con un Centro scolare (dalla scuola materna alla prima superiore), una biblioteca, indispensabile perché la maggior parte delle famiglie non ha i soldi per comprare i libri di scuola (Lisangà garantisce lo stipendio della bibliotecaria, dopo aver aiutato la comunità a realizzare la biblioteca), un nuovo Centro di salute in costruzione, grazie al sostegno della Tavola Valdese, una “tiendita” (un negozietto) minimalista, pochissime automobili, un centro internet nella biblioteca, un campo di calcio attraversato da animali e bambini in bicicletta durante le partite…
Soprattutto però una Comunità che è tornata a ripopolare le proprie case nel 1992, perché quelle case erano state abbandonate nel ‘84 dopo il feroce massacro perpetrato dal Battaglione Atlacatl, e che ora si autogestisce grazie a una Associazione degli abitanti che ogni due anni elegge una Giunta Direttiva.
Un gruppo di persone che VOLONTARIAMENTE, affronta i problemi comuni, dall’educazione alla salute, dai giovani alle donne, dall’acqua alla siccità nei campi, raccogliendo gli spunti che emergono in assemblee pubbliche periodiche. Sono il nostro interlocutore nell’individuazione delle problematiche e nella ricerca delle soluzioni: un’esperienza di comunità vera, in cui l’unico furto avvenuto dopo la ripopolazione viene ancora citato come fatto eccezionale; dove si chiudono le porte di casa… soltanto per evitare di ritrovarsi una gallina sul letto a deporre le uova; dove la semplicità e la frugalità di molte persone non impedisce la loro ospitalità e disponibilità ad accoglierci come «hermanas y hermanos italianos» (sorelle e fratelli italiani).
In un incontro con la Giunta Direttiva, Rodil (ex presidente) ci disse che il compito di Lisangà è di «accompagnare nel camminare» la Comunità di San Francisco. Semplice ma efficace.
(Giaveno, giugno 2014)
Per sapere di più sulle nostre attività e progetti:
Associazione Lisangà culture in movimento, via San Michele 28 10094 Giaveno 338 8245587, lisanga.cim@tiscali.it, www.lisanga.org