Di incendi che (non) si vedono, di bugie e…

e di buone pratiche da (non) fare: con testi di Doriana Goracci, Maurizio Portaluri e Tonino Perna

LEVERKUSEN-MANFREDONIA 5-1

di Maurizio Portaluri (*)

Non è una partita di calcio purtroppo – magari un auspicio per le glorie sportive del Manfredonia Calcio – ma solo un confronto fra quello che è successo il 22 giugno nella zona industriale di Manfredonia-Macchia e l’incidente industriale in Germania il 26 luglio.

Anche in Nordreno-Vestfalia hanno preso fuoco dei rifiuti, lì in un impianto ad hoc, a Manfredonia rifiuti plastici abbandonati accanto a un capannone. Lì sono morti 5 lavoratori e 30 feriti (esprimiamo condoglianze alle famiglie delle vittime e vicinanza ai feriti e ai loro congiunti). Stiamo parlando di dimensioni molto diverse, è chiaro. Ma quello che ci interessa qui è il comportamento delle autorità preposte alla tutela della salute e dell’ambiente nelle due realtà.

A Leverkusen (notizie assunte dal quotidiano il manifesto del 27 e 28 luglio 2021):

  1. «Il giorno dopo il disastro ambientale al Chempark di Leverkusen, l’Agenzia ambientale del Nordreno-Vestfalia certifica la tossicità del fungo nero prodotto dallo scoppio dell’impianto di trattamento dei rifiuti speciali gestito dalla società australiana Currenta, nonostante i primi risultati ufficiali del campionamento dell’aria saranno disponibili solo alla fine della settimana. Ha inoltre avvisato la cittadinanza: Rifugiatevi subito all’interno degli edifici, chiudete bene porte e finestre».
  2. «avviso urgente» diramato ieri pomeriggio dall’Agenzia per l’Ambiente del Nordreno-Vestfalia: «Non mangiate la frutta e la verdura dei vostri giardini», mentre il Dipartimento Salute del Comune di Leverkusen raccomandava ai residenti del rione di Bürrig di «indossare i guanti per i lavori di giardinaggio che non possono essere rimandati». Fanno il paio con il «consiglio» di tenersi alla larga dai campi sportivi come dai parchi-giochi.
  3. viene confermato lo «stato di massima allerta» della Protezione civile per la «sospetta velenosità dell’atmosfera» nel quartiere di Bürrig (il rione confinante con il Chempark): ai residenti continua a essere vietato raccogliere i prodotti degli orti così come la frequentazione dei campi sportivi, dei parchi giochi, delle piscine. Si aggiunge al «divieto di accesso nel polo chimico per i circa 45.000 lavoratori delle 70 imprese concentrate negli 11 chilometri del distretto industriale, ad eccezione dei pochi operai impiegati nei lavori di ripristino urgente delle linee elettriche interrotte dalla megaesplosione».
  4. «Le indagini sulle cause dell’incidente di massa (così la definizione del direttore dell’ospedale locale dove sono ricoverati i 31 feriti): la polizia di Colonia ha istituito un’apposita squadra investigativa e la Procura generale di Leverkusen ha aperto il fascicolo giudiziario con l’ipotesi di omicidio colposo. «Non possiamo escludere l’errore umano alla base del disastro» ha tenuto a precisare il procuratore capo Ulrich Bremer.
  5. «In parallelo è scattato l’obbligo per Currenta di ripulire le strade e gli edifici ricoperti dalla fuliggine che ha fatto ricadere a terra microparticelle oleose e frammenti del deposito scoppiato di diversi centimetri».

A Manfredonia

  1. L’ARPA è intervenuta la sera stessa dell’incidente e ha misurato alcuni inquinanti, fra cui il benzo-a-pirene risultato molto alto, e il benzene, alto anche quello. Pur dichiarando che si trattasse di rifiuti plastici, non si hanno notizie se siano state condotte misurazioni delle diossine. ARPA ha scritto: «Anche ordinanze urgenti e contingenti di chiusura degli infissi o raccomandazioni a non uscire di casa sono ritenute di scarsa efficacia».
  2. Nessuna raccomandazione ai cittadini sui comportamenti da adottare e i luoghi da evitare. Lo stessa dicasi per i comportamenti da adottare da parte di chi lavora nell’area industriale.
  3. Non sappiamo se le autorità sanitarie si siano interessate a verificare se ci siano state, nel tragitto dei fumi, persone che si sono sentite male.
  4. Non sappiamo se le autorità preposte al rispetto della legge abbiano avviato indagini per l’individuazione dei responsabili
  5. Non sappiamo se sia stato disposto dal Comune la pulizia delle strade e gli edifici … nelle more di rivalersi sui responsabili.

Considerazioni

  1. L’8 luglio scorso a commento della relazione ARPA Foggia diffusa il 1.7.2021 scrivevamo: «i dati prodotti da ARPA non escludono che concentrazioni di benzene e benzo(a)pirene significative da un punto di vista sanitario possano aver raggiunto una quota di popolazione di Manfredonia nella notte tra il 22 e il 23 giugno scorsi». Non abbiamo notizie a riguardo. Speriamo che ce le abbia il Comune, ancorchè commissariato per infiltrazioni mafiose, e che voglia darle ai cittadini.
  2. Mutatis mutandis, la vicenda ricorda molto quello che avvenne il 26 settembre 1976: molti silenzi, interventi tardivi e soprattutto diversissimi rispetto a quello che si fece subito per Seveso tre mesi prima. La storia non sembra aver insegnato nulla! Le bonifiche vanno a rilento, di tirare le conseguenze della ricerca partecipata (con lo studio di coorte della popolazione, con gli screening oncologici e del tumore al polmone in particolare, di fornire i necessari servizi sanitari ai manfredoniani) non se ne parla.

8 agosto 2021

(*) Maurizio Portaluri è portavoce di Medicina democratica e Salute Pubblica: cfr www.salutepubblica.net

LE PIANTE NON POSSONO SCAPPARE

di Doriana Goracci (*)

«Tra i rami dei grandi alberi mi sono arrampicato per guardare il cielo… con la loro frutta mi sono sfamato, con il loro legno mi sono riscaldato: a loro devo la mia vita…» scriveva Mario Rigoni Stern, un grande scrittore, uno dei più grandi lo definì Primo Levi.

Sapere che la Grecia e la Turchia sono sconvolte dagli incendi, non lenisce il dolore di sapere che anche l’Italia è sotto assedio delle fiamme, appiccate da delinquenti altrettanto imprendibili e spaventosi.

QUI IL VIDEO: https://youtu.be/Sj_N_vYb0Ac

Ed è arrivata anche la notizia di due morti: Antonino Cilione, 34 anni, e sua zia Margherita Cilione, 53 – entrambi asfissiati dal fumo. Il giovane e la zia, originari di Bagaladi, ieri mattina dopo aver constatato che le fiamme stavano per invadere i loro poderi, coltivati a uliveto e castagneto, li hanno raggiunti, nel tentativo di arginare il fuoco.

https://youtu.be/ZmWsjqhcrAk

«L’estate del 2021 in Italia è una stagione di roghi. Il nostro paese è stretto in una morsa di incendi e le regioni colpite dal fuoco sono diverse, come diverse sono le cause: non ci sono solo i piromani dietro agli incendi che stanno bruciando Sardegna, Sicilia, Abruzzo, Marche, Molise, Puglia e Calabria ma anche la mancanza di una pianificazione delle aree boschive e lo spopolamento delle aree più fragili».

https://youtu.be/ycXGADGUBcg

«Sa Tanca Manna» era registrato nell’Elenco degli alberi monumentali d’Italia del ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali. Non è ancora detto, però, che dalle ceneri e dal fuoco l’olivo millenario non riesca a rinascere. L’incendio di Sa Tanca Manna rappresenta il doloroso simbolo della nuova tragedia ambientale, sociale ed economica che si è abbattuta sulla Sardegna. Sa Tanca Manna è un ulivo selvatico con un fusto di circa 10 metri di circonferenza per un’altezza di 16 metri e mezzo, divorato dagli incendi divampati in Sardegna nei giorni scorsi.

«Nella Bibbia, Noè salva dal diluvio universale una coppia di ogni specie animale ma si dimentica dei vegetali. Eppure è il ramoscello d’ulivo portato da una colomba a segnalargli che il diluvio è finito. Eppure la prima cosa che fa, terminato il diluvio, è piantare l’albero della vite».

Sembrano passati anni luce, i ricordi della canzone dei Doors Light My Fire: «Forza, tesoro, accendi il mio fuoco, cerca di incendiare la notte…». Era un caldo agosto del 1966, ora si tenta solo di spegnere questi maledetti roghi.

La priorità è salvare vite umane, si, ma ricordiamoci che le piante, gli alberi…non possono scappare.

(**) ripreso da www.agoravox.it/

Calabria, l’oblio delle buone pratiche

Incendi. Oggi registriamo in Aspromonte due vittime per gli incendi (non era mai successo), e centinaia di ettari bosco, di larici secolari, trasformati in cenere. E tutto questo senza che nessuno gridi allo scandalo di un Parco nazionale una volta punto di riferimento delle buone pratiche e oggi completamente abbandonato

di Tonino Perna (***)

Nella foto incendi in Sardegna

Nella torrida estate del 2003 mentre tutta l’Europa del sud bruciava, dal Portogallo alla Grecia, mentre per l’ondata anomala di calore morivano nella sola Francia 25mila persone, venne alla ribalta dei mass media il caso del Parco nazionale dell’Aspromonte. Per la prima volta nella storia contemporanea, si parlava di questa montagna mitica e misteriosa, non per i sequestri di persona, né per omicidi di ‘ndrangheta, ma per un sistema di contrasto agli incendi che da tre anni funzionava.

Il sistema era semplice e andava al nocciolo del fenomeno incendi. Siccome non riusciamo a prevenirli, data la molteplicità delle cause e dei soggetti coinvolti, bisogna trovare il modo di spegnerli appena partono. Con un bando pubblico i circa 40.000 ettari di foresta del Parco nazionale dell’Aspromonte venivano dati in affidamento a soggetti del Terzo Settore (cooperative, associazioni, ecc.) con un contratto che prevedeva un contributo iniziale, in base agli ettari adottati e alla orografia del terreno, e un saldo finale solo nella misura in cui gli ettari andati in fumo non fossero superiori all’1% della superficie adottata.

Veniva evitata la gara al ribasso dell’offerta economica che tanti danni ha provocato, e sostituita con parametri oggettivi. Questi «contratti di responsabilità sociale e territoriale» hanno rappresentato uno strumento per ristabilire un rapporto con questi territori abbandonati, spopolati, dove un tempo vigevano gli usi civici e tutta la comunità si faceva carico della manutenzione dei boschi, del loro uso a fini alimentari e non (legna da ardere, carbone, e persino ghiaccio nelle aree di alta montagna).

Il cosiddetto «metodo Aspromonte» fu imitato da alcuni parchi nazionali e regionali, venne preso in considerazione da Bruxelles, dove nel 2005 chi scrive fu invitato dalla Commissione che si occupa di forestazione, biodiversità, ecc. Fu introdotto in alcuni Comuni con delle interessanti varianti, che davano questa responsabilità territoriale ai contadini piuttosto che ai soggetti del Terzo settore. Insomma, sembrava logico che questa modalità di contrasto degli incendi diventasse una pratica comune. Ed invece nel tempo è prevalso l’oblio. Non a caso: il grande business delle società private che gestiscono l’antincendio ha prevalso e ci ha portato al disastro odierno.

Certo, il surriscaldamento della Terra, estati sempre più afose, lunghi periodi di siccità, tutto questo sappiamo che è dovuto al mutamento climatico indotto dall’uomo, ma proprio per questo dovremmo attrezzarci. Ed invece la cosiddetta «resilienza» appare solo come un vezzo per giustificare investimenti, per utilizzare risorse comunitarie, ma non si vede un piano di resilienza per le città quanto per le zone interne. Aspettiamo la prossima alluvione per gridare alla mancanza di cura del territorio quando potremmo fin d’adesso prendere atto che bisogna dare priorità alla manutenzione e stabilire una nuova relazione con l’ambiente in cui viviamo, fondata sul principio di responsabilità sociale e territoriale.

(***) pubblicato sul quotidiano “il manifesto” 08 agosto

 

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