Di pappagalli e leucemie

di Stefano Etzi*

Antefatto

Passato qualche mese non proprio divertentissimo, finalmente Carla un venerdì di maggio fa il trapianto di midollo. Mentre lei se la spassa in ospedale, io sono a casa con le bambine: una domenica come tante ormai, siamo noi tre, cuciniamo, pranziamo e infine mangiamo una mela. Ne tengo una fettina da parte, vado in balcone e la metto nella gabbia del pappagallo, che nella scala degli affetti di Carla se la gioca con le figlie, ma viene molto prima di me (tanto io ho la bici, chi se ne frega dell’affetto quando hai una bicicletta).

Dieci minuti dopo torno in balcone, fischio e mi aspetto che il pappagallo risponda, come fa sempre. Silenzio. Un brivido mi corre lungo la schiena, come direbbe un bravo autore di thriller. Fischio di nuovo. Sempre silenzio. Guardo la gabbia, ho lasciato lo sportellino aperto, il pappagallo è volato via.

Chiamo Carla, accidenti, leucemia, trapianto, sbatti sbatti in ospedale e io faccio scappare il pappagallo? Eh, mica l’ho fatto apposta, mi giustifico come fanno i bambini. Chiudo la telefonata, io e le figlie andiamo in giardino, chiamiamo, fischiamo, ma niente, del pennuto non c’è traccia.

NECESSARIA PRECISAZIONE.

A me gli animali mi stanno antipatici, tutti, li apprezzo solo nel loro ambiente naturale, che non è il mio salotto, mi fa schifo quando un cane si avvicina e vuole leccarmi e il padrone dice tranquillo, non morde, ma chi se ne importa se morde o no, mi fa schifo essere sbavato e alitato da una bestia.

In casa non vorrei nessun animale, però sul pappagallo abbiamo trovato un compromesso (compromesso = prendiamo il pappagallo e stai zitto), e comunque sempre meglio un pappagallo che trovarmi all’alba a portare in giro Birillo come faceva il Melandri. Insomma, abbiamo il pappagallo. Anzi, ce l’avevamo. Io l’ho fatto scappare. Mentre Carla è in ospedale. Due giorni dopo che ha fatto il trapianto di midollo. E dopo mesi di ricovero, cateteri, infermieri, tac, pappette, chemioterapia, radioterapia e chi più ne ha più ne metta.

Insomma, se fosse successo in un periodo di pace e prosperità, salute e gioia, non ne nego che la cosa mi avrebbe fatto anche piacere e mi sarei battuto come un leone per restare senza pennuto. Invece mi sento in colpa e addirittura acconsento ad andare fino a Pesaro (e chi ci sarebbe mai andato a Pesaro, altrimenti?) a prenderne un altro, un cucciolo di pappagallo, un cosino appena nato, allevato a mano, un gingillo piumoso pronto da coccolare per quando Carla torna a casa.

SVILUPPO
Carla non si rassegna della perdita, fa gli annunci su Facebook, sparge la voce, ma niente, il pappagallo non salta fuori, sarà finito tra le fauci di un gatto. Intanto accogliamo il nuovo arrivato, Carla torna dall’ospedale, stanno assieme e si fanno compagnia.
Ora, il primo pappagallo mi stava antipatico perché sì, perché era un animale e a me gli animali mi stanno tutti e indistintamente antipatici, eppure mi voleva bene, non so per quale motivo. Gli aprivamo la gabbia e volava subito sulla mia spalla, sarebbe rimasto lì per sempre nonostante il mio disprezzo, considerava solo me senza che io gli mostrassi il minimo affetto. Questo nuovo invece è proprio cattivo, più aggressivo di un cane da guardia, se vede un dito si fionda per beccarlo. E poi canta. Canta. Canta. Canta. Una tortura insopportabile, appena Carla (Carla non leggere questa parte) va a letto, gli copro la gabbia con una coperta e lo recludo nel bagnetto. Fai la nanna, tesorino.
COLPO DI SCENA.
Intanto con Carla facciamo le passeggiatine da anziani, dalle sfacchinate megagalattiche da quarantamila passi siamo passati ai giretti intorno all’isolato, piano piano, davvero, come i vecchietti.
Ogni tanto sentiamo un fischio. Sembra lui, dice Carla. Prova a fischiare, lei, ma non è capace. Fischia tu, mi fa, magari ti risponde. Io fischio, e da un palazzo si sente un fischio di risposta. È lui, dice lei. No che non è lui, dico io. Sì che è lui, insiste. No, ma figurati, dico io, cantano tutti alla stessa maniera, ‘sti pennuti. A me sembra lui. A me no. Fischia! E io fischio, ubbidiente. L’ignoto uccello risponde, in effetti sembra lui, ma non lo ammetterò mai.
Carla non si mette l’anima in pace e intraprende una strategia tradizionale che aveva finora ignorato, preferendo la modernità dei social: prende una foto del pappagallo, la stampa, sopra ci scrive che il pennuto è volato via, qualche mese fa, le sembra di sentirlo, questo il mio numero di telefono, se potete chiamatemi, anche solo per dirmi che non è lui. Il giorno dopo siamo in giro, le squilla il telefono, Carla risponde, sì, sì, sgrana gli occhi, a maggio, è lui, sì, come nella foto, quando possiamo venire a prenderlo?
CONCLUSIONE
Arriviamo a casa, prende una vecchia gabbietta dalla cantina ed esce, rapida, veloce e scattante. Mezz’ora dopo torna, ecco il pappagallo, non era morto, apre lo sportellino e il pennuto, come se non fossero passati quattro mesi, svolazza un po’ e poi viene sulla mia spalla. Mi commuoverei, ma ho fatto le scuole medie a Sinnai e da ragazzino leggevo Bukowski, certi sentimentalismi non fanno per me.
Il pappagallo ce l’avevano i turchi, una coppia che conosciamo di vista, hanno figli dell’età delle nostre, non usano i social, o non frequentano gruppi locali, l’ha trovato il turco il lunedì mattina, stava salendo in macchina per andare al lavoro e il volatile gli è andato sulla spalla. L’ha portato a casa, la turca si è affezionata e adesso piange, piange anche Carla, piangono tutti in questa storia di pappagalli.
Adesso in casa abbiamo due pappagalli e a quanto pare sono maschio e femmina e insomma, se tutto va come deve andare, entro breve diventeremo nonni e saremo sommersi dai pappagalli.
MORALE
La leucemia è una malattia schifosa perché fa scappare i pappagalli e dopo vengono i sensi di colpa e allora ne prendi un altro e poi salta fuori  che è scappato e dopo ti ritrovi con due pappagalli che sono maschio e femmina e fanno altri pappagalli e insomma, queste cose i dottori non le dicono.

* Stefano Etzi è nato e cresciuto quasi quarant’anni fa in un paese del Cagliaritano, prima di completare gli studi a Firenze e metter su casa e famiglia nel bolognese.

Ha scritto alcuni romanzi e l’ultimo, Tante piccole cose (edito da Dalia Edizioni), è stato finalista al Premio Calvino del 2019.

Carla Rende, la compagna di Stefano, è una di quelle meravigliose persone (in prevalenza donne, va detto) che hanno avuto il coraggio e la capacità di raccontare un percorso di malattia con ironia e schiettezza.

https://www.daliaedizioni.it/project/stefano-etzi/

https://www.premiocalvino.it/i-finalisti-della-xxxii-edizione/

https://www.youtube.com/watch?v=3YwP0SAYPYs

http://readandplay.it/tante-piccole-cose-stefano-etzi/

https://www.daliaedizioni.it/blog/2021/01/03/intervista-a-stefano-etzi/blogtzi/blog/2021/01/03/intervista-a-stefano-etzi/

Redazione
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Un commento

  • Il racconto è frizzante e al tempo stesso mi ha immerso nel vissuto come se ci fossi anch’io …bello davvero.

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