Dichiarazione di non sottomissione: Islam e laicità
di Monica Macchi (*)
“Occorre distinguere non tra credenti e non credenti
ma tra pensanti e non-pensanti”
cardinale Carlo Maria Martini
“La non sottomissione si regge
sul principio della separazione incondizionata
tra fede e diritto”
Fethi Bensalama
“Sui principi non bisogna essere prudenti, ma riaffermarli,
per evitare i riflessi di autocensura e il trionfo degli estremistiMalek Chebel, antropolo
Fethi Benslama, di origine tunisina, è psicoanalista e insegna Psicoanalisi e Psicopatologia all’Università di Parigi VII Jussieu. Ha fondato nel 1990 la rivista Intersignes di cui oggi è direttore ed è autore di numerosi libri: La nuit brisée (Ramsay, 1988), Une fiction troublante (Editiond de l’Aube, 1994), La psychanalyse à l’épreuve de l’Islam (Aubier, 2004) e Soudain la revolution (Denoel, 2011).
Questo breve testo sviluppa il MANIFESTO DELLE LIBERTA’ firmato il 16 febbraio 2004 a Parigi da un gruppo di intellettuali musulmani che si riconoscono nei valori della laicità e si oppongono all’ideologia dell’islamismo ed è costruito attorno a quattro istanze fondamentali.
La prima istanza sottolinea la polisemia del termine “islam” in quanto la radice trilittera S-L-M significa «guarire salvare, dare un bacio, riconciliare» e solo la decima forma “istaslama” significa «sottomissione». Da questo derivano due importanti conseguenze: innanzitutto la differenza tra islam (scritto graficamente con la minuscola) inteso come religione e Islam (con la maiuscola) inteso come civiltà con molteplici culture ma soprattutto l’esigenza della liberazione dal paradigma identitario che legittima solo chi è assolutamente uguale a me.
Per questo occorre fare appello alla soggettività dell’individuo contro l’ipertrofia del comunitarismo e così la seconda istanza rivendica l’emancipazione femminile: infatti la donna incarnazione della “fitna”, la seduzione che diventa sedizione, rappresenta un’alterità interna minacciosa rispetto al “fahl” uomo stallone, destinato alla lotta, alla riproduzione e “dunque” alla guida della società e alimenta l’ideologia della purezza. Secondo i firmatari del manifesto bisogna invece immettere «il disordine nella purezza» cioè il cosmopolitismo inteso come riconoscimento della dignità dell’altro come «non-simile» e come fondamento sia dell’uguaglianza che della libertà a cui sono dedicate la terza e la quarta istanza. E Benslama scrive: «l’avrete capito, se consideriamo che l’emancipazione delle donne è il punto dove si stringe e dove si dispiega il ventaglio dei problemi più cruciali per l’avvenire democratico del mondo musulmano è perché il complesso religioso che organizza i rapporti di alterità nell’islam ha, più che altrove, inchiodato la posizione del genere femminile, con lo scopo di imporre il potere maschile”.
La terza istanza ammonisce che la libertà non può essere concessa ma deve essere conquistata attraverso l’azione trasformatrice a partire dai propri desideri e dalle proprie convinzioni: per questo sono necessari spazi in cui sperimentarla come ad esempio “l’Università delle libertà”, una università popolare.
La quarta istanza cita esplicitamente il concetto di laicità per superare definitivamente il mito identitario riappropriandosi degli strumenti culturali, rifacendosi alla filosofia di Ibn Ruchd (Averroè) e Ibn Bajja (Avempace) che distingue fra reato e peccato fino alla teologia del sudanese Mahmoud Taha secondo cui l’atto di nascita dell’uguaglianza è la separazione tra spirituale e legislativo. Laicità questa che non è laicismo e non ha come obiettivo la distruzione dell’istituzione religiosa ma quello di limitare la pulsionalità e di costituire un luogo dove articolare le fratture.
(*) pubblicato da Associazione per i Diritti Umani