Dick, narratore-filosofo: un libro importante

“Primo tassello” ma importante. Di certo la “bottega” tornerà presto su questo libro che finalmente ci restituisce un Dick non mummificato

«Il fantasma della verità. Quarant’anni con Philip K. Dick» è il libro appena uscito per Agenzia X curato da Un’Ambigua Utopia (1) e da Andrea Bonato, Loretta Borrelli, Alberto “Abo” Di Monte e Giuliano Spagnul.

È il primo tassello, lo speriamo, di un lavoro sul lato meno riconosciuto dello scrittore Philip K. Dick, quello filosofico: (2)

Mi sembra giunto il momento (…) di tentare un salto di qualità nella lettura di Dick. E riconoscere a questo autore frenetico e polimorfo, irrequieto eppure già ‘classico’, la qualifica che gli spetta: quella di narratore-filosofo”.

Antonio Caronia, 2012 (3)

«Da qui siamo partiti, con questa presa di posizione abbiamo proposto il confronto in un ciclo di incontri» che si sono tenuti alla libreria Anarres di Milano nell’autunno 2022. Quattro incontri in cui ci siamo confrontati con Carlo Pagetti, Marinella Magrì (traduttrice delle prime cinque riedizioni dei romanzi di Dick per Mondadori), Nicoletta Vallorani e Matteo De Giuli.

È stato ovviamente un parlare di filosofia da una prospettiva obliqua, non ci siamo confrontati, del resto, con filosofi di professione. Una filosofia presa un po’ da dietro; senza voler essere irriverenti, dalla porta di servizio, dalla fantascienza che «come asserisce Dick è esercizio d’immaginazione che sfrutta un mondo alternativo che non c’è, che letteralmente non è presente eppure potrebbe esserci, per parlare in chiave inedita, o piuttosto inaudita, del reale» (Abo).

Nel far anche noi questo esercizio d’immaginazione, a pensare in modo inedito o inaudito, abbiamo cercato di farlo non su, ma con Dick stesso. E se pensare “con” comporta il rischio di travalicare e far dire ciò che quell’autore non ha mai espressamente detto, per contro è un operare alla luce del sole, privo degli infingimenti delle interpretazioni che si vogliono basate su pretestuose oggettività o punti di vista neutri.

La filosofia di Dick è certo diversa da quella che si studia a scuola, non è «imparare a leggere e situare nel tempo gli autori (non è arte logica, né studio della fisica dei corpi e dei pianeti, o semplicemente esercizio retorico), ma pratica in actu che si traduce nei gesti e nei comportamenti quotidiani (…) è anzitutto un’etica, una pratica: emendazione dell’intelletto, controllo su ciò che si dice e si fa, liberazione dalla sofferenza». (4)

La filosofia non ha sicuramente liberato Dick dalla sofferenza, ma certo gli ha permesso di confrontarsi con il proprio demone, nella consapevolezza che l’essere felici è un duro lavoro, e che questo non è rivolto a un futuro da attendere invano né, tanto meno, a un passato da rimpiangere ma alla capacità di trattare l’istante, l’attimo in cui sì, sei felice. (5)

Una grande lezione filosofica quella dickiana, in sintonia, come osserva Andrea Bonato, con quell’inferno dei viventi di cui parla Calvino nelle Città invisibili, per cui occorre «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Strano parlare in questi termini di un autore famoso soprattutto per la sua presunta visione distopica della realtà; parlare in questi termini o ancora più limitatamente come scrittore di fantascienza, che porta addirittura a maturazione la fantascienza, come fanno i più appassionati al genere (dimenticando che a maturazione avvenuta si ha l’inizio immediato della fase di putrefazione).

Abbiamo allora cercato di capovolgere questi tanti luoghi comuni interrogando la fatica della nuova traduttrice Marinella Magrì su una possibile gioia nel tradurre gli “inferni” dickiani: «la gioia di lavorare su uno scrittore che con incredibile coraggio si faceva beffe dei luoghi comuni, delle verità acquisite, esponendo intuizioni frutto non solo di una fervida immaginazione, ma di una capacità quasi visionaria».

E abbiamo trovato le giuste resistenze di Carlo Pagetti, che antepone alla «se volete chiamarla visione filosofica di Dick» quella letteraria ed estetica, facendo della sua filosofia quell’elemento sempre presente in qualsivoglia autore (ovviamente in misure diverse) che confluisce insieme ad altre discipline (come la sociologia, la storia ecc.) «nella rappresentazione narrativa che lui ci da di volta in volta in un determinato periodo».

Una giusta resistenza che ci deve far riflettere su cosa si intenda per quel “narratore-filosofo” proposto da Caronia. E, forse, lì una certa prudenza nell’aver anteposto il termine narratore a quello di filosofo si presta di fatto all’inevitabile osservazione che qualsivoglia autore ha dentro le sue opere una qualche componente filosofica. Ma credo che Caronia volesse spingersi oltre, e se ne avesse avuto il tempo, penso che avrebbe osato, ancor di più, privilegiare quel filosofo rispetto al narratore. Cioè a dire che la materia narrativa dal contenere anche della filosofia è essa stessa materia filosofica. La sua finalità non è quella di interpretare il mondo ma di fare mondo, di produrre realtà, di far violenza al pensiero e trovare modo di sperimentare la vita senza l’ausilio di principi che siano astratti o prefabbricati.

E da qui, ovviamente, la strada della ricerca è tutta in salita. Che poi, altrimenti, che gusto ci sarebbe?

Il libro comprende anche una prima parte con due conferenze di Antonio Caronia e di Edoarda Masi con Carlo Pagetti, svoltesi alla libreria Utopia nel 2002 (per il ventennale di Dick) e una serie di appendici su teatro, cinema e un’incursione bioipermediale di Giorgio Griziotti (6) e una postfazione di Domenico Gallo.

Felice lettura…

NOTE

Nota 1: Ovviamente, come la verità, anche Un’Ambigua Utopia sta qui in quanto fantasma. Anch’essa per una fatidica coincidenza scomparve lo stesso anno della scomparsa di Dick. Se mai dovesse risorgere non potrebbe presentarsi che come farsa, oppure, come è già successo con il fantomatico n. 10, http://archivio-uau.online/archivio.html come una di quelle burle, o fake, tanto amate da Antonio Caronia.

Nota 2: Riguardo il rapporto tra Philip K. Dick e la filosofia: breve intervista [a cura di Frank C. Bertrand, 1980] in «Mutazioni» a cura di Lawrence Sutin, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 79. Il testo in originale https://philipdick.com/literary-criticism/frank-views-archive/philip-k-dick-on-philosophy-a-brief-interview/

Nota 3: http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2016/01/antonio-caronia-un-filosofo-in-veste-di.html

Nota 4: Rossella Fabbrichesi, «Vita e potenza», Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022, p. 15. In “bottega” https://www.labottegadelbarbieri.org/vita-e-potenza-marco-aurelio-spinoza-e-nietzsche/

Nota 5: Ivi, p. 38-39

Nota 6: In “bottega” il suo ultimo libro https://www.labottegadelbarbieri.org/cronache-del-boomernauta-ovvero/

 

 

 

Redazione
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6 commenti

  • Pierluigi Pedretti

    Dovrei dar ragione a Pagetti ricordando le illuminanti pagine su Dick contenute nel suo Il Senso del Futuro. La fantascienza nella letteratura americana (Mimesis, 2012), ma non posso fare a meno di dire di essere stato però affascinato da due testi più – diciamo così – filosofici. Tutti e due del 2001: Francesca Rispoli, Universi che cadono a pezzi (Bruno Mondadori) e Linda De Feo, Philip K.Dick. Dal Corpo al Cosmo (Cronopio). Ovviamente acquisterò Il fantasma della verità.

    • Fabrizio Melodia

      Uh mi ero dimenticato, scusate. Per chi volesse approfondire il Dick scrittore filosofo, trovate in edizioni bruno mondadori il minuzioso divertente e breve saggio di Francesca Rispoli, “Universi che cadono a pezzi – La fantascienza di Philip K. Dick”.
      Eh questi sbadati filosofi…

  • Fabrizio Melodia

    Bello, penso che lo leggerò al più presto.
    Che dire? Quando ero ancora giovane e bello ( per parafrasare il Buon Vecchio Zio Marty) ed ero nel fervore della mia laurea, chiesi con insistenza ai miei professori (filosofia a Cà Foscari) di potermi laureare su Philip Dick. Risposta stupenda:”No, perché è un autore di fantascienza, non un filosofo”. Come si può vedere, troppo spesso il dividere per discipline porta a una terribile castrazione mentale. Ma tant’è, per fortuna oggi si è superata un po’ questa ristrettezza mentale, anche per il fatto che la cultura pop si sta imponendo un po’ dappertutto, grazie anche al fatto che essa genera un discreto fatturato e per la società tardo capitalista, soldi uguale ancora più soldi, quindi bene. Un sillogismo degno di Cartesio, non c’è che dire. Ma torniamo a bomba.
    La diatriba cos’è che rende qualcuno un filosofo è annosa e vessata, spesso quando mi chiedono “che lavoro fai?”. Io rispondo:”Il consulente filosofo”. “E che cosa fa?”. “Ti mostra come prendere coscienza di te stesso”. “Ah grazie, no. Ho già il mio personal trainer”.
    Ecco, se fossi un personal trainer sarei ricco sfondato, ma mi occupo di allenare l’ intelligenza e in questo paese è un dramma farsesco.
    Cosa rende qualcuno un filosofo? Indagare il reale con metodo. Quale metodo? Ed ecco che si apre la famosa cassetta degli attrezzi, dove trovi maieutica, sillogismi, metodo cartesiano, metodo galileiano, metodo kantiano, metodo hegeliano, metodo positivista, ci sono persino candelotti di dinamite (anche di semtex, volendo), e altro. Piena come la scatola degli attrezzi di un falegname. E c’è chi vi ha inserito dentro un attrezzo diverso, un metodo diverso. C’è chi vi ha messo dentro la fantascienza ed è andato a costruire universi. Hegel ci aveva provato con successi altalenanti, usando la dialettica. Il buon Philip Dick ci ha provato a costruire universi che non cadessero a pezzi dopo due giorni. Come il povero computer nel racconto “Spero di arrivare presto “. Questo fa di lui un filosofo? Si, certo. Phil è un filosofo all’ origine, proprio perché si pone sempre domande scomode, necessarie, universali. Cosa posso sapere/cos’è il reale? Cosa devo fare? Cosa posso sperare? Lo fa con metodo diverso, con la fantascienza. Che possiamo declinare come metafisica. Perché se è l’ essere umano a formare il suo universo, allora s’ indaga che cos’è l’ umano. E se questa non è filosofia… Ma è uno scrittore di fantascienza. E questo è un problema? Perché si usa un metodo diverso da quelli che si usano di solito? Ricordo che in una mia dissertazione per l’ esame di filosofia antica, scrissi che Platone era uno scrittore di fantascienza per i suoi tempi. Il prof s’ infuriò nemmeno se avessi bestemmiato. E fui deriso dai miei compagni di corso. Risposi semplicemente:”Perché il mito della caverna non è forse un modo diverso di rappresentare la condizione umana in chiave metaforica? E quindi letteraria? E non è forse la caverna platonica un modo di rappresentare l’ uomo prigioniero di un mondo fittizio e inconsapevole di questa sua condizione?”. Matrix doveva ancora arrivare sugli schermi ma portai esempi del cyberpunk e di Philip Dick. Io non cambiai quello che avevo scritto e non mi alzò il voto. Ma ciò che rende un filosofo è proprio quell’ indagare con metodo e coerenza proprio di pensatori come Il buon Phil, nella sua opera possiamo ritrovare un pensiero coerente e un metodo già in origine. E a partire dalla sua opera mainstream, come le famigerate “Confessioni di un artista di merda”, rifiutatissimo all’ epoca da tutte le case editrici. Filosofo-scrittore o scrittore filosofo? Credo che persino Wittgenstein o Aristotele riderebbero di questa apparente contraddizione. Per comunicare il pensiero devo scriverlo, quando lo scrivo, diventa un pensiero. Poi vi dirò una cosa. Per il famoso “L’ uomo nell’ alto castello”, Philip s’ ispirò ai romanzi realistici degli autori giapponesi dell’ università di Tokyo. Scrisse alcuni nomi, si ritirò in una baita con l’ oracolo dell’ I- Ching appresso. Scrisse di costoro in un universo alternativo, dove i nazisti hanno vinto la guerra. Descrisse personaggi veri, con relaziono autentiche e personalità ben tratteggiate. E tutti in evoluzione. Juliana compie un viaggio per intraprendere una nuova vita ma alla fine viene a sapere che il libro di Abendsen è vero, Childan trova un motivo di speranza, persino il signor Tagomi si riprende dal trauma subito in un percorso doloroso ma necessario di autocoscienza. Tutto questo con lo spettro concreto della guerra atomica tanto cara ai gerarchi nazisti. In questo universo tanto terribile e simile al nostro, “la cavalletta più non s’alzerà” (titolo del romanzo di Abendsen e anche noto verso biblico dell’ Ecclesiaste) è un chiaro monito. Un mondo dove agire eticamente è assai difficile. E se non è filosofia questa con il corpo di una sana scrittura…

  • Giuliano Spagnul

    P. K Dick sarebbe stato molto volentieri un filosofo, e probabilmente avrebbe inframezzato la sua filosofia con dei racconti, come Gunther Anders ha fatto con le sue leggende molussiche. Il risultato narrativo di Anders a me è sempre sembrato mediocre e posso pensare che altrettanto mediocre sarebbe stato il lato esplicitamente filosofico di Dick. Tutti gli scrittori fanno filosofia coi loro racconti ma anche quando questa occupa una parte essenziale, come in Melville ad esempio, rimangono comunque scrittori in prima istanza. Le loro opere, come dice giustamente Pagetti, ci danno “soprattutto un discorso sul narrare, sulla narrazione, sul modo di rappresentare narrativamente la realtà (…) le differenze, secondo me, rispetto all’approccio filosofico, più potente, più diretto, più ricco anche, è che il narratore, in qualche modo, è creatore di mondi. Immagini in cui di volta in volta mette tutta una serie di questioni, di modi, di rappresentazione. La narrativa, la narrazione, il narrare, è rappresentazione del reale, ricerca di un contatto.”
    Possiamo dire che secondo i canoni della filosofia, quella maggiore, che si studia a scuola, non ci sono dubbi nel rigettare la qualifica di filosofo a P. K. Dick, di fare un’eccezione per lui. Ma per fortuna , non esiste solo il canone maggiore a cui poter fare riferimento. Ci sono Donna Haraway, Isabelle Stengers, Bruno Latour e dietro di loro Deleuze e ancora alle spalle i filosofi a cui Dick fa esplicito riferimento: Bergson e Whitehead. Si è resa evidente oggi sempre di più l’esistenza di un canone minore (come ha ben descritto Rocco Ronchi) che del minoritario ha saputo fare una potente leva per una nuova visione del mondo e del suo possibile cambiamento.
    Dick è dentro tutto questo, le sue opere e la recente pubblicazione dell’Esegesi (rimando alle mie prime povere speculazioni al riguardo in Bottega) stanno a confermarlo. E’ certo un modo di leggere Dick fuori dagli ormai esausti modi della critica fantascientifica specializzata o di quella accademica, è un lavoro faticoso e certo già aperto in una certa misura da altri, come Rispoli e De Feo, ma siamo solo agli inizi.
    Insomma invece di continuare a scrivere le solite banalità e sciocchezze, come la presunta brutta scrittura di Dick, la sua misoginia ecc., proviamo un approccio diverso e in gran parte inedito.

  • Dick pone problemi. Interroga il mondo, sé steso e il lettore sugli stessi. Sotto questo riguardo è filosofo, non ci sono dubbi. Ma Dick, di là dalle sue stessi intenzioni, nel risultato che ottiene, appare invece essere scrittore. O meglio uno che lavora per diventare scrittore, riuscendoci positivamente (lo credo io, è opinione di molti). È proprio per il suo essere scrittore e dentro il suo essere scrittore che emerge, con efficacia, la sua volontà filosofica. Non nella filosofia, nella scrittura. Ignoro se consapevolmente o meno. So che allo stato pratico, per necessità della scrittura, pratica la filosofia.
    Dick, scrive, come tutti gli scrittori, oltre che per manifestare sé tesso, le proprie pene, i sogni, le frustrazioni, le speranze che lo agitano e lo spingono avanti nella sua indefessa, spesso masochistica, attività letteraria, per affermare e ragionare e mettere alla prova, muovendo i personaggi, determinate sue concezioni del mondo. Una prefilosofia la sua che diventa presa di posizione filosofica, quando, ad esempio, mette in dubbio il vissuto di qualcuno, dietro il quale svela esserci una altra sconvolgente realtà. Svela quel che probabilmente forse è, cioé un mondo molto differente da quello che immaginiamo. O meglio, il mondo costruito intorno a noi (non da noi) e dissimulato dietro le quinte di una rappresentazione che a quel mondo pretende di fare riferimento. E in qualche modo lo fa (riferimento).
    Dick, per farla breve, è uno scrittore che prende posizione in filosofia. Affermando: tutto questo non è vero! Ch’io sappia in precedenza lo hanno fatto molti. Pochissimi tra costori gli scrittori. Uno solo con adeguata potenza e stupefacente efficacia: Dick.

  • Giuliano Spagnul

    Dick prende posizione in filosofia come scrittore, afferma Miglieruolo. L’unico ad averlo fatto con adeguata potenza. Ma con cosa si prende posizione in filosofia se non con un pensiero, e da non filosofo accreditato, se non con un’adeguata potenza per sostenerlo?
    E se questo non lo fa filosofo, si potrebbe negargli lo statuto quantomeno di pensatore?
    Per chiarire meglio chiedo aiuto a Deleuze e Guattari: “un pensatore può modificare in modo decisivo ciò che significa pensare, allestire una nuova immagine del pensiero, instaurare un nuovo piano di immanenza. Ma può anche, invece di occuparlo creando nuovi concetti, popolarlo con altre istanze, altre entità poetiche, romanzesche o addirittura pittoriche o musicali, e viceversa.” E’ quello che io credo abbia fatto Philip K. Dick!

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