Dieci, cento, mille Fernando Pessoa – 6
La giovane ritiene che sia quello il momento più opportuno per portare a fondo l’attacco a De Campos, al quale anche in passato non ha lesinato critiche.
– Ci tieni tanto a questo De Campos, vero?
– Ma cos’hai contro di lui? Sai che ti apprezza molto, anzi ti è molto affezionato.
– A me interessa il tuo affetto, non il suo. Io non capisco perché debba parlarmi sempre di lui, delle sue poesie, eccetera. Se non fosse perché so che mi ami e che non hai tendenze particolari, mentre invece a De Campos , a giudicare da alcune poesie sembra che le donne non lo interessino, direi che sei innamorato di lui. E lui di te.
– Non è divertente quello che dici, ma io mi sono divertito lo stesso.
– Ed io no.
– Mi spiace.. Ma non parliamone più. Sto male…
– Cos’hai ?
– Ho il cervello in dissesto. Credo di avere bisogno di cure psichiatriche.
– Me l’hai detto tante altre volte…
– Lo so. Ma tra tre settimane mi ricovero in clinica. Non ti preoccupare. E non aspettarmi…
(fine flash back)
Casa Monteiro. I due giovani ospiti appaiono increduli. Uno di essi azzarda:
– Quindi de Campos interferisce pesantemente nel rapporto tra i due innamorati?
– Senza dubbio Ophelia era gelosa., come del resto lui era lui di lei, peraltro senza motivo. Lei immagina, paventa, allucina – scegliete voi il verbo – un triangolo amoroso, ovviamente virtuale – egli, lui, lei – e non voleva starci, non sapendo che la sua gelosia non aveva motivo di essere.
( flash back )
Nei giorni e nelle settimane che seguono Pessoa diventa l’ombra di se stesso. La casa in disordine, i fogli sparsi dovunque, la barba lunga, gli occhio scavati, bottiglie su bottiglie sparse un po’ dovunque. Spesso si prende la testa tra le mani, mormora il nome di Ophelinha, o di Bebè Nininha, e mormora un perché, perché è finita? Si mette a scrivere una lettera datata 29 novembre 1920. Si riesce a decifrare qualche riga ”L’amore è passato, ma ti mantengo un affetto inalterabile”…. “Non so cosa desidera che le restituisca: lettere o che altro ancora”..”Ti chiedo di non fare come la gente comune, che è sempre grossolana: che non giri la testa quando ci incontreremo; né abbia di me un ricordo in cui ci sia spazio per il rancore”.
Alla fine rilegge la lettera. Lo si vede subito perplesso, esitante, con la penna a mezz’aria, poi lo si vede intendo a cancellare, per passare dalla seconda persona alla terza, dal tu al lei. Quando quest’operazione è compiuta, ha gli occhi lucidi.
Pessoa varca 1’ingresso di una villa di fronte all’Oceano. L’ha invitato un amico, immagina si tratti d’una normale colazione. E invece è stata preparata una festa per lui. I suoi scritti più recenti hanno riscosso grande successo e la sua firma è la più contesa dalle riviste letterarie.
Con gli amici si parla di Reis, da molti anni ormai in Brasile in auto esilio. In molti il ricordo del medico poeta, discepolo di Caeiro, risulta sbiadito. Pessoa, invece, ricorda perfettamente le poesie di Reis che – precisa – non ha mai conosciuto personalmente. E tuttavia se dovesse capitargli d’incontrarlo, in Brasile o altrove, non gli sarebbe difficile riconoscerlo.
Un colpo di stato pone fine nel 1926 alla repubblica parlamentare portoghese. Pessoa esprime pubblicamente il suo appoggio alla dittatura militare, sostenendo il precetto della disuguaglianza. Il potere utilizza largamente per la sua propaganda il prestigioso nome di Pessoa, che diventa uno degli intellettuali prediletti dal regime. Pessoa però rimane indifferente, se non infastidito. Dice a un amico: “Fossi stato ricco, vezzeggiato, spazzolato, sarei rimasto sul ‘vassoio della fortuna’ e mi avrebbero riposto ad invecchiare sulla credenza”. E lui non intende invecchiare così. Comunque sono anni di trionfo e la rivista Presença lo saluta come maestro, offrendogli la cittadinanza onoraria di Coimbra.
Pessoa attacca Salazar e il fascismo. Se alcuni amici gli restano vicini, altri adesso si allontanano da lui. Trascorre in solitudine le sue giornate, abulico e irritabile più che mai. Gli rimane sempre l’amicizia di Monteiro, al quale scrive una lettera rivelandogli l’origine “organica” dei suoi eteronimi: Caeiro, Reis, de Campos, Soares, altri.
Monteiro si precipita da Pessoa che gli parla con grande distacco dei personaggi da lui creati, per i quali ha avuto grandi ambizioni e programmi, bene o male realizzati. Tra tutte, la figura che sente più vicina a se stesso – “più estraneamente mia” – è quella di Bernardo Soares. Comunque – precisa – si tratta di personaggi distanti tra loro e da lui: “Non bisogna cercare in nessuno di essi idee e sentimenti miei, perché molti di essi esprimono idee che non accetto, sentimenti che non ho mai avuto. Bisogna semplicemente leggerli come sono, che è d’altra parte il modo con cui si deve leggere”.
Il 1929 riprende il namoro di Pessoa e Ophelia. Un giorno Carlos Queiroz, nipote di Ophelia, porta a casa una fotografia di Pessoa, ritratto nella mescita Abel Pereira de Fonseca, con dedica: “Carlos, questo so io da Abel, vicino al Paradiso Terrestre, d’altronde perduto. Fernando, 29.9.29”. La foto piace molto a Ophelia che esprime il desiderio e di avere una copia. Il nipote lo riferisce a Pessoa che qualche giorno dopo le invia una foto identica con la scritta: “Fernando Pessoa in flagrante delitro. Ophelia gli scrive per ringraziarlo, e così riprendono i rapporti. Ophelia viveva a casa della sorella e Pessoa la frequentava non come innamorato ma come amico del nipote. In salotto discutevano del più e del meno, ma soprattutto di poesia e di amicizie.
Un cameriere del caffè Leo consegna a Ophélia una lettera. La giovane la legge, sbotta in una risata, e pazza di felicità abbraccia l’amica che le sta accanto. E per farle capire le passa il foglio. Anche l’amica ride rumorosamente suscitando così la curiosità dei clienti. Divertita la legge di nuovo ad alta voce: “Gentilissima Signora Ophélia Queiroz, un abietto e miserabile individuo chiamato Fernando Pessoa, mio personale e caro amico, mi ha incaricato di comunicare alla Signoria Vostra – considerando che il suo stato mentale gli impedisce di comunicare alcunché – che le è vietato: 1. pesare di meno; 2. mangiare poco; 3. non dormire; 4. avere la febbre; 5. pensare all’individuo suddetto…”.
Nella sala è un coro di risate che sovrastano il seguito della lettera. Sono percettibili solo le ultime parole: “Voglia gradire i complimenti di Alvaro de Campos, ingegnere navale”.
A un tavolo vicino un signore sulla quarantina spiega al figlio che l’ingegnere de Campos è un famoso letterato che ha preso Pessoa sotto la sua protezione.
Gli incontri diventeranno sempre meno frequenti, per noia soprattutto. E senza acrimonia, tant’è che i due si scambiano per telegramma gli auguri di buon compleanno. Pessoa continua a lavorare e nel 1935, anno della sua morte, pubblica Mensagem, una raccolta di versi in portoghese col nome di Pessoa, l’unica con Pessoa ancora in vita.
Un giorno suonano a casa Queiroz e la cameriera porta a Ophelia il libro con dedica di Pessoa. Ophelia chiede alla ragazza chi l’ha portato e dalla descrizione comprende che è stato l’autore. Si precipita allora per le scale, ma non le riesce di vederlo.
Un’ambulanza porta Pessoa in ospedale. I medici scoprono che ha il fegato a pezzi per l’abuso di alcool. Le cure sono vane. Pessoa muore, in piena lucidità, il 30 novembre 1935. Prima di spirare chiede gli occhiali per osservare meglio il momento del trapasso.
Nella camera mortuaria dell’ospedale, Monteiro, Ophélia vestita a lutto, altri amici, giornalisti, fotografi. Rivolto ai giornalisti Monteiro dice: “Scrivete che oggi non è morto soltanto Pessoa. Sono morti contemporaneamente de Campos, Soares, il teosofo e astrologo Baldaya, Crosse, il giallista Quaresma, l’umorista Pasha, gli autori di sciarade Cecilia, Negra, Accursio, Theodor, Azul, i discendenti e gli antenati di questi e tanti altri personaggi. I critici letterari, gli intellettuali portoghesi ed europei, che hanno creduto e avallato l’esistenza di tanti scrittori e di tanti poeti adesso assistono a un funerale collettivo. Tutti erano Pessoa. E Pessoa era tutti.
I giornalisti credono che Monteiro sia impazzito. Gli chiedono una spiegazione, ma lui scuote la testa in segno di diniego e s’allontana singhiozzando.
Alla presenza di Monteiro vengono aperti i bauli con le carte di Pessoa. E solo allora si ha l’idea della moltitudine di personaggi creati dal poeta scomparso; tanti, i cui nomi erano molto noti negli ambienti letterari, filosofici, esoterici, persino tra gli scrittori di gialli. Nei bauli c’è un’immensa mole di manoscritti, circa 25 mila pagine, le opere che Pessoa aveva scritto per le sue “creature”.
( fine flash back )
Monteiro coi due ospiti nel suo studio. II racconto è finito. I due ospiti si alzano, ringraziano, salutano. “Arrivederla signor Pessoa”. É un lapsus di entrambi. Se ne accorgono subito e annaspano una scusa. Ma Monteiro, sorridendo, fa finta di nulla. Sulla porta uno dei due giovani torna alla domanda iniziale.
– Ma secondo lei chi può avere profanato quella tomba?
Monteiro si accosta a uno scrittoio, apre un cassetto ed estrae un foglio: “Ecco qui. Secondo me i profanatori, se tali sono veramente, sono in questa lista”.
I giovani leggono sorpresi.
– Ma ci sta dando un elenco di morti. Il primo è Pessoa, e di conseguenza lo sono gli altri: Soaeres, Caeiro, Mora, Crosse, De Campos, eccetera .
– Ma, come ho avuto occasione di dire, l’elenco degli eteronimi è molto molto più lungo diciamo che ad oggi si conoscono almeno una quarantina, ma sono sicuramente, alcune decine di più – osserva Monteiro.
– Ma se è morto Pessoa sono morti pure i suoi eteronomi, ed ovviamente anche i suoi pseudonimi,
– E chi lo dice? Alcuni non erano e non sono ancora noti. E come se Pessoa non avesse completato la sua opera di creatore, come se fossero rimasti diciamo in un’incubatrice, generati ma non ancora nati. E chi non è nato non può morire. Comunque sono certo che anche per loro Pessoa aveva grandi ambizioni e audaci progetti.
– Si può pensare allora a una rivalsa, se non a una vendetta, dei generati ma non nati?
Monteiro alza le spalle senza rispondere, e spinge con garbo i suoi ospiti verso l’uscita: “Arrivederci, cari amici… Ma… ecco… spero che almeno voi riusciate prima o poi a rivelarmi chi era veramente Pessoa!”.
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Orazio Barrese
(fine)