Difendere chi difende i diritti umani

di Francesco Martone (*)

Sono passati cinque anni dall’ondata di rivolte e mobilitazioni che hanno attraversato il Maghreb e il Medio Oriente tutto. Rivolte e rivoluzioni per la libertà, la democrazia, aspettative spesso disattese, o tradite. Cosa rimane oggi di quei giorni? È possibile o logico fare un bilancio e tentare di delineare una serie di ipotesi di lavoro per riattivare i canali di solidarietà e cooperazione per la promozione e la tutela dei diritti umani? Il caso di Giulio Regeni ha indubbiamente aperto uno squarcio drammatico sulla situazione egiziana, un paese attraversato da ondate repressive e da una progressiva contrazione degli spazi di agibilità democratica, praticata ad arte con il pretesto della lotta al terrorismo.

Oggi l’Egitto è un paese non sicuro per chi vuole esporsi in prima persona per chiedere il rispetto dei diritti fondamentali. Un po’ ovunque sembra che l’ondata di cambiamento indotta da quei movimenti di piazza sia andata scemando, per dinamiche proprie o sotto il maglio della repressione. Eppure sotto le macerie di Aleppo i siriani resistono, creano reti di supporto e mutua assistenza, prendono in mano una videocamera o lavorano ad un blog per informare, per dimostrare di essere vivi, di aspirare a un futuro migliore, senza armi o dittature.

Anche in Marocco, paese considerato in parte “immune” da grandi sommovimenti sociali, a migliaia sono di recente scesi in piazza per protestare contro gli abusi della polizia, immediatamente dopo la morte tragica di un pescatore berbero, che per cercare di salvare il suo pescato, unica fonte di sostentamento sequestrata dalla polizia e gettato in un compattatore di rifiuti è rimasto stritolato nel vano tentativo di recuperare la sua unica fonte di reddito. Che non sia facile tracciare bilanci oggi lo dimostrano le manifestazioni a Port Said in Egitto, e quelle annunciate per i prossimi giorni. Insomma sotto la cenere cova la scintilla della rivolta, di rivendicazione di dignità. Forse allora aveva ragione a suo tempo Hamid Dabashi, intellettuale arabo autore di un saggio sulle cosiddette “Primavere arabe”, nel quale sanciva la fine del “post-colonialismo”, e parlava di una trasformazione

“della coscienza, non esattamente attraverso dogmi o violenza, non proprio desiderando ciò che non esiste ma guardando a ciò che si sta manifestando”.

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Ed è proprio questo l’intento di Rivoluzioni Violate. Cinque anni dopo: attivismo e diritti umani in Medio Oriente e Nord Africa, una raccolta di saggi a cura della redazione di “Osservatorio Iraq – Medio Oriente e Nord Africa” e dell’associazione “Un ponte per…“, appena pubblicato dalle Edizioni dell’Asino. Quello cioè di fornire una mappa corredata da testimonianze dirette, dell’attivismo, e delle modalità di mobilitazione in vari paesi della regione – Egitto, Libia, Palestina, Tunisia, Iraq, Siria, Marocco. La pubblicazione, presentata nei giorni scorsi al Salone dell’Editoria Sociale a Roma offre un quadro generale della situazione relativa ai difensori dei diritti umani nella regione, i cosiddetti human rights defenders sulla scorta dell’esperienza concreta di lavoro con quelle realtà e quelle reti, che vivono sotto minaccia permanente, e che ci chiamano a un’ulteriore assunzione di responsabilità.

È proprio sulla scorta del lavoro svolto da “Un ponte per…” accanto agli “human rights defenders” in Iraq, e di informazione sul tema (di recente è stato pubblicato il dossier “In difesa di… Come proteggere i difensori dei diritti umani”), e della campagna “Difendiamo chi li Difende” per proteggere i difensori dei diritti umani in Egitto lanciata dall’Aoi, che sta prendendo corpo in Italia un’iniziativa nazionale per la protezione e il sostegno ai difensori dei diritti umani nel mondo.

Secondo la definizione data dal relatore Speciale Onu Michel Forst su questa categoria di attivisti, si intendono per “difensori” tutti coloro che si attivano per la promozione e la tutela dei diritti umani, civili, ambientali e della terra;per la difesa dei diritti di genere e per quelli dei popoli indigeni e dei migranti, oltre ad avvocati, giornalisti, attivisti per la libertà di stampa. Proprio nelle settimane scorse Forst ha pubblicato un nuovo rapporto annuale, stavolta dedicato ai difensori dell’ambiente e della terra. Il documento fornisce ulteriore conferma di un quadro allarmante, già denunciato mesi or sono dall’Ong inglese Global Witness, relative all’aumento dei casi di omicidio di attivisti ambientalisti e difensori della terra.

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Il dossier, Dangerous Grounds, registra una media di tre omicidi di attivisti a settimana in tutto il 2015, per un totale di 185 casi in sedici paesi. Il rapporto annuale di Forst oltre ad aggiornare il quadro a livello internazionale offre anche una serie di importanti raccomandazioni alla comunità internazionale, tra cui il riconoscimento e il rispetto del principio del consenso libero e informato da parte delle comunità le cui terre sono messe a rischio da progetti e programmi di sviluppo, l’accesso all’informazione ed a procedure trasparenti di valutazione di impatto socio-ambientale al fine di prevenire conflitti, e soprattutto un impegno dei governi per la protezione dei difensori dei diritti umani, attraverso l’adozione e attuazione – tra l’altro – delle linee guida dell’Unione Europea per la protezione dei difensori dei diritti umani, e la mobilitazione delle proprie rappresentanze diplomatiche.

Con lo stesso obiettivo in Italia un’ampia coalizione di organizzazioni, Ong, campagne, associazioni ambientaliste, sindacali, per i diritti umani e civili, per la libertà di stampa, la cooperazione, la solidarietà internazionale e la difesa di avvocati e giuristi, ha inviato il 14 ottobre una lettera al ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci) Paolo Gentiloni, nella quale si chiedono una serie di impegni precisi sulla scia di quanto già fatto da altri paesi dell’Unione Europea. Anzitutto il Maeci dovrebbe istituire un focal pointdedicato alla protezione degli attivisti per i diritti umani e il rilascio dei visti per l’asilo temporaneo, ed aderire alla Piattaforma Europea per l’accoglienza temporanea dei difensori dei diritti umani. Andrebbero poi adottate linee guida sulla protezione dei difensori dei diritti umani per le ambasciate ed il corpo diplomatico, sulla base delle line guida già adottate dall’Ue e da alcuni Stati membri.

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Si chiedono anche strategie di intervento da parte dell’Agenzia per la Cooperazione e degli enti locali per creare canali di finanziamento e sostegno ad attività di protezione dei difensori dei diritti umani. La Campagna, lanciata ufficialmente alla camera dei deputati il 28 novembre in occasione di un convegno internazionale sui difensori dei diritti umani promosso dalle organizzazioni aderenti in collaborazione con FrontLine Defenders, si rivolge anche agli enti locali, affinché seguano l’esempio del programma Shelter Cities (o “città rifugio”) olandese, arrivando alla creazione una rete di protezione sia nei paesi di provenienza degli attivisti – che includa attività di accompagnamento disarmato da parte di Corpi Civili di Pace – sia in Italia, con programmi di re-location temporanea degli attivisti. Una prima risposta alle richieste della campagna è arrivata dalla Commissione Esteri della Camera e dalla Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani che hanno messo in agenda risoluzioni e audizioni relative alle modalità di tutela dei difensori dei diritti umani da parte del governo e del parlamento. Siamo ora in attesa di una risposta, ancora non pervenuta, dal ministro Gentiloni.

(*) tratto da comune-info.net

 

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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