Difesa dei diritti umani: la rete in Italia
di Simona Fraudatario e Francesco Martone (*)
La rete In Difesa Di, insieme ad altre realtà e associazioni, promuove la creazione di una “piattaforma” collaborativa per il monitoraggio, il supporto legale e l’advocacy verso le istituzioni internazionali di tutela dei difensori dei diritti umani riguardo la situazione in Italia. Nelle settimane scorse una rappresentante della “piattaforma” ha partecipato all’incontro con la Commissaria per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović che svolgerà il prossimo anno una missione in Italia. Nella nota predisposta per l’occasione,si fa il punto sulla situazione dei difensori dei diritti umani in Italia e la loro criminalizzazione (in particolare nei confronti dei difensori dei migranti) e si propongono diverse piste di lavoro
Siamo reti, organizzazioni e associazioni (Fondazione Basso, Centro Riforma dello Stato, Volere la Luna, Osservatorio Repressione, Associazione Bianca Guidetti Serra e Rete in difesa di) che da tempo lavorano sui temi della difesa dei diritti umani e che hanno seguito e seguono con crescente preoccupazione i tanti casi di violazione che avvengono, nel mondo, in Europa e anche nel nostro Paese.
Ci proponiamo di realizzare azioni comuni per favorire una consapevolezza maggiore sulla funzione che i difensori dei diritti umani – organizzazioni e singole persone – esercitano nel garantire il pieno rispetto dei diritti umani. Inoltre, intendiamo promuovere l’impegno dell’Italia nella protezione dei difensori a livello nazionale e internazionale, in conformità con quanto stabilito dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani e dalle linee guida sulla protezione dei difensori elaborate dall’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani dell’OSCE.
Se da un lato valutiamo positivamente i passi compiuti dalle nostre istituzioni in direzione della formalizzazione dell’impegno dell’Italia nella protezione dei difensori, avvenuta nella cornice della Presidenza dell’OSCE e della candidatura dell’Italia al Consiglio Onu per i diritti umani, dall’altro lato osserviamo la persistenza di alcuni fattori che continuano a destare la nostra preoccupazione.
Tra questi: a) la scarsa e poco diffusa cultura dei diritti umani; b) la frammentazione delle competenze a livello istituzionale in relazione all’applicazione degli impegni internazionali sui difensori dei diritti umani; c) l’assenza di un sistema di monitoraggio delle violazioni dei diritti umani a danno dei difensori e d) il continuo rinvio della creazione di una Autorità nazionale indipendente preposta a vigilare sul loro rispetto (raccomandazione UPR, 2019)
Abbiamo motivo di ritenere che i molteplici abusi documentati in questi anni nei confronti dei difensori dei diritti umani non siano casi isolati. Essi rappresentano piuttosto una tendenza diffusa e sistematica alla restrizione degli spazi di agibilità democratica e al ricorso alla repressione del dissenso. Tra le forme di abuso, segnaliamo la diffamazione, la delegittimazione, la stigmatizzazione, le aggressioni fisiche e verbali, le minacce e l’aumento dei processi e delle condanne penali a carico dei difensori. Si tratta di fatti che mettono a rischio non solo l’integrità fisica, la libertà, la sicurezza e la dignità dei difensori, ma anche il senso stesso della solidarietà e l’imperativo morale del rispetto dei diritti umani, con gravi conseguenze sulla nostra democrazia. Tra le categorie più colpite vi sono i difensori delle persone migranti e rifugiate, i difensori ambientali, i giornalisti, gli avvocati, ancora di più a rischio se donne o persone appartenenti alla comunità LGBT (tra questi, l’avvocata per i diritti dei LGBT Cathy La Torre).
1. Dati e casi emblematici
Dati sulla repressione contro attivisti e difensori dal 2011 a oggi (fonte: «Osservatorio Repressione»)
Dal 2011 a oggi, si registra una tendenza piuttosto costante relativa al numero di arresti, persone denunciate, ordinanze di sorveglianza speciale, fogli di via e obblighi di dimora. Dal 2017 si osserva in maniera particolare un aumento dei decreti di condanna penale e della presenza della DASPO in occasione di manifestazioni di protesta anche in seguito all’adozione dei decreti sicurezza cosiddetti Salvini.
Abusi contro i giornalisti (fonte: «Ossigeno per l’informazione»)
Dal 2006 a oggi, sono stati monitorati oltre 3.700 abusi commessi contro i giornalisti, soprattutto quando questi trattano temi come la criminalità organizzata, la migrazione e le grandi opere. Gli abusi (principalmente diffamazione e attacchi personali) si manifestano in forma diretta e indiretta, e attraverso i social media. Tra i casi noti, vi sono quelli del giornalista Paolo Borrometi, Federica Angeli, Francesco Pagliuso e Nancy Porsia. In particolare, quest’ultima è stata al centro di un caso di intercettazione telefonica illegittima che ha coinvolto i difensori dei diritti umani Alessandra Ballerini e Don Mussie Zerai. Per quanto riguarda il ricorso alle querele temerarie (le cosiddette SLAPPs), tale pratica è molto diffusa in Italia (il nostro paese è stato oggetto di vari richiami dalle autorità comunitarie). Siamo in attesa dell’adozione di una legge apposita attualmente all’esame del Parlamento. La nostra azione coinvolgerà anche il neonato gruppo di lavoro nazionale sulle SLAPPs, che di recente ha pubblicato un rapporto con una sezione sull’Italia (https://www.balcanicaucaso.org/Occasional-papers/SLAPP-la-querela-che-minaccia-la-liberta-di-espressione).
Criminalizzazione nei confronti dei difensori dei migranti e repressione giudiziaria
Il processo di sostanziale di revisione delle iniziative legislative del primo governo Conte, conosciute come decreti sicurezza, pur presentando alcune luci (il ripristino della protezione umanitaria per i richiedenti asilo e il raddoppio a due anni della durata del permesso di soggiorno) contiene ancora molte ombre. Il nuovo decreto-legge n. 130 del 2020 mantiene, in forma attenuata, la sanzione nei confronti delle imbarcazioni che soccorrono migranti in mare che da amministrativa diventa penale. Il rischio di una sanzione alle ONG o ad altri soggetti privati resta alto, anche nei casi di osservanza delle norme del diritto internazionale del mare (Fonte: Asgi).
Perdurano le forme di intimidazione applicate a livello giudiziario. Esse rafforzano il clima ostile nei confronti dei difensori che assistono i migranti e il ricorso al diritto penale come modalità per scoraggiare i difensori dal prestare loro assistenza. La diffusione di un atteggiamento, istituzionale e mediatico, di sospetto nei confronti dei difensori che prestano attività di accoglienza e di soccorso nel Mediterraneo ha favorito l’affermarsi del «reato di solidarietà» che ha trovato riscontro non solo nel discorso pubblico, ma anche in alcuni provvedimenti (cautelari) dell’autorità giudiziaria con cui è stato disposto il sequestro delle imbarcazioni impegnate nel prestare soccorso ai migranti (Tribunale di Trapani nel 2017 e Tribunale di Catania nel 2018). A livello di procedimenti giudiziari, sono ormai celebri i casi a carico della nave Iuventa, in gestione della ONG tedesca Jugend Rettet, di Proactiva Open Arms, di Mediterranea e di Sea Watch.
La situazione dei difensori dei diritti dei migranti in Italia è da tempo all’attenzione delle istanze internazionali quali gli Special Rapporteur ONU sui Difensori dei Diritti Umani e dei Migranti, che hanno inviato numerose comunicazioni al Governo italiano. Va sottolineato che, ad esclusione del caso di Jugend Rettet, tutte le cause intentate contro ONG o difensori dei diritti dei migranti risultano concluse con l’assoluzione degli imputati. Ciononostante, tali processi hanno contribuito a delegittimare l’operato di chi si impegna per i diritti dei migranti, in assenza di un esplicito pronunciamento in loro sostegno da parte delle autorità pubbliche come invece dovrebbe essere in ottemperanza alle linee guida OSCE sui Difensori dei Diritti Umani. Recente è il caso dell’assoluzione di due attivisti dell’associazione Linea di Confine, mentre sono ancora in corso processi a carico di un attivista dell’associazione Baobab e di tre attiviste di una associazione per i migranti di Pordenone. È di pochi giorni fa, inoltre, la notizia dell’estradizione nelle carceri francesi dell’attivista No Tav Emilio Scalzo, accusato di aver partecipato ad alcune iniziative in protezione dei diritti di migranti lungo il confine Italia-Francia.
In questo contesto di ambiente ostile si inserisce la condanna in primo grado del Tribunale di Locri emessa lo scorso ottobre nei confronti di Mimmo Lucano, tre volte sindaco di Riace, città un tempo modello di accoglienza dei migranti. La condanna, che ha raddoppiato la pena richiesta dall’accusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa e abuso d’ufficio, ha assunto i contorni di una punizione esemplare a un’idea di accoglienza dei migranti (Fonti: «Fondazione Basso» e «Volere la luna»).
Infine, come evidenziato nel corso della recente missione dell’UN Working Group on Business and Human Rights, la situazione dei diritti umani e dei difensori dei diritti dei lavoratori migranti e braccianti migranti è estremamente preoccupante. Varie minacce sono state rivolte ad attivisti e sindacalisti attivi nel settore da parte della criminalità organizzata. Il sindacalista dei braccianti Sumaila Sacko è stato ucciso in Calabria due anni fa proprio per il suo impegno. Un altro caso è quello dell’uccisione, nel corso di un picchetto, del sindacalista del SI COBAS Adil Belakhdim, travolto da un camion a Biandrate (Novara) il 18 giugno di quest’anno.
Corteo No Tav (foto: Benvegnù-Guaitoli)
No Tav e No Tap: esperienza paradigmatica di repressione e accanimento giudiziario
Sono stati documentati numerosi abusi commessi da agenti delle Forze di Polizia nel corso delle manifestazioni organizzate dai movimenti No Tav e No Tap. Tra le azioni di contrasto si segnalano: il numero massiccio e spropositato di mezzi e agenti; il blocco agli accessi e alle uscite dai luoghi interessati dalla manifestazione, estesi anche ai cittadini presenti; gli atteggiamenti aggressivi e violenti compiuti dagli agenti, anche a danno dei non manifestanti; l’identificazione e la segnalazione dei manifestanti; la limitazione della libertà di movimento e la creazione di “zone rosse” attorno ai cantieri. Anche la repressione giudiziaria è stata durissima: sono ormai centinaia i processi contro gli appartenenti al movimento No Tav con oltre mille indagati e anche per episodi di estrema modestia (es. Dana Lauriola). Lo schema, ricorrente, si ripropone anche per gli attivisti del movimento No Tap. Nel 2018, 47 attivisti sono stati coinvolti in un maxiprocesso con oltre 74 capi di imputazione.
Secondo la sentenza del «Tribunale Permanente dei Popoli» sulle grandi opere del 2015, lo schema è quello del diritto penale del nemico, volto a creare un clima di paura in altri membri della comunità coinvolti in attività di protesta sociale e di partecipazione, limitando così i diritti costituzionali dei cittadini.
Per quanto riguarda i processi al movimento No Tap, il 21 marzo scorso il Tribunale di Lecce, in tre processi distinti, ha condannato 67 difensori dell’ambiente a pene variabili tra i tre e i sei mesi di reclusione e multe fino a 4200 euro, con l’accusa di proteste non autorizzate, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio (fonte: «FrontLine Defenders»). In molti casi le autorità giudiziarie hanno comminato Daspo ad attivisti No Tap restringendo in maniera arbitraria il loro diritto alla mobilità. Più di recente, agli inizi di dicembre, altri tre attivisti No Tap sono stati condannati a 4 mesi ed altri 30 circa sono ancora sotto processo per aver partecipato ad alcune manifestazioni contro il gasdotto due anni fa, dopo essere stati oggetto di intimidazioni da parte delle forze di polizia.
Altri casi di criminalizzazione o delegittimazione di movimenti ecologisti e pacifisti nonviolenti riguardano le Mamme contro l’«operazione Lince» e contro la repressione in Sardegna (45 giovani loro figli sono sotto processo per aver protestato contro le basi militari in Sardegna) e le mamme No PFAS nel Veneto. Quest’ultimo caso è stato analizzato anche da una delegazione dell’OSCE che ha visitato l’Italia lo scorso anno con il proposito di valutare la situazione dei difensori nel nostro Paese.
Impunità nei casi di atti di violenza, minacce e intimidazione a danno dei difensori
Nonostante siano stati registrati numerosi progressi in risposta alle forme di intimidazione e stigmatizzazione che si commettono online (nel 2019 sono stati identificati dalle autorità competenti 288 presunti responsabili), non si può dire lo stesso nei riguardi di attacchi diretti e abusi commessi in altri contesti come quelli appena descritti. Mancano indagini adeguate sui responsabili di questi abusi e la tendenza è quella di minimizzare il fenomeno.
2. Con le nostre azioni intendiamo:
– creare una piattaforma di monitoraggio, supporto e accompagnamento dei difensori dei diritti umani in Italia, con focus iniziale su difensori dei diritti dei migranti, dell’ambiente e dei lavoratori;
– creare un servizio di supporto legale in favore dei difensori;
– facilitare le relazioni con le istanze internazionali di tutela dei diritti umani, fra cui i Relatori speciali ONU, l’OSCE, la FRA e la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa.
3. Raccomandazioni
A. È necessario che l’Italia adotti un programma nazionale per la protezione e tutela dei difensori dei diritti umani e del diritto al dissenso, che assicuri trasparenza e impegno delle autorità competenti, in conformità con quanto stabilito dalla Convenzione ONU sui Difensori dei Diritti Umani e dalle linee guida OSCE. L’istituzione dell’Autorità Nazionale indipendente per i diritti umani e l’inclusione, nel proprio mandato, del sostegno ai difensori dei diritti umani non è più prorogabile. L’Autorità deve predisporre e coordinare un programma nazionale per la protezione dei difensori dei diritti umani che includa la partecipazione attiva della società civile, e che assicuri al contempo il coordinamento inter-istituzionale e l’indagine su eventuali violazioni dei diritti dei difensori. In attesa della sua creazione, è necessario mettere a punto un piano di azione nazionale sui difensori e sul diritto al dissenso e agli spazi di agibilità civile e democratica che assicuri il monitoraggio indipendente e il coordinamento con gli organismi internazionali e l’applicazione degli impegni e degli standard di tutela del loro operato.
B. È necessario predisporre un modulo di formazione sugli strumenti e gli obblighi internazionali relativi al rispetto dei difensori, rivolto a pubblici funzionari, operatori delle forze di sicurezza, funzionari del settore giudiziario (pubblici ministeri e giudici) e dei ministeri competenti.
C. Ogni anno dovrà essere pubblicato un rapporto sullo stato di attuazione degli impegni presi dal Paese per il rispetto dei difensori dei diritti umani, delle linee guida OSCE-ODIHR, delle raccomandazioni degli organismi internazionali di tutela e delle iniziative intraprese al riguardo.
D. Ogni autorità competente dovrà dotarsi di “focal point” dedicati al monitoraggio dell’attuazione degli impegni internazionali sui diritti umani e i difensori dei diritti umani, come espressione di un tavolo di lavoro indipendente che coinvolge organismi nazionali e organizzazioni della società civile.
È l’intervento consegnato alla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatović nell’incontro avvenuto a Roma l’8 dicembre 2021. La “bottega” lo riprende da Comune-info.
Con le due immagini qui sotto- di Mauro Biani e Gianluca Costatini – la redazione della “bottega” ricorda Adil Belakhdim.