Dimmi con chi vai… in Nicaragua

Gli strani rapporti tra l’orteguismo e personaggi poco raccomandabili.

di Bái Qiú’ēn

I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli (Umberto Eco).

Da sempre noi di sinistra definiamo «fascista» un determinato comportamento derivante da uno specifico modo di agire e di pensare (che non corrisponde automaticamente a una ideologia). Siamo ben coscienti però che né Pinochet né Bolsonaro provenivano dalle file socialiste, non hanno mai organizzato una marcia scalcagnata e facilmente bloccabile su Santiago o su Río, non parlavano dai balconi, non alzavano il braccio destro per fare il saluto romano… Eppure Pinochet era per noi un fascista e Bolsonaro lo è. Come pure lo sono Trump, Erdoğan, Orbán, Al-Sisi e via elencando. Marcuse li avrebbe definiti semplicemente «autoritari» (Studie über Autorität und Familie, 1969). Lo stesso si può dire di qualunque parallelo tra Stalin e Putin (a tutti gli effetti, più simile a uno zar). Ciò che fu il ventennio fascista in Italia non è esattamente ripetibile né da noi né in altri luoghi: la realtà attuale non è la stessa di un secolo fa, per cui ciò che abbiamo appena affermato vale pure per l’attuale egregio signor presidente del Consiglio italiano, grammaticalmente transgender: «sono un donna, sono un madre, sono un…».

Come scrisse Gramsci nel 1920, «Ogni fenomeno storico deve essere studiato per i suoi caratteri peculiari, nel quadro della attualità reale, come sviluppo della libertà che si manifesta in finalità, in istituti, in forme che non possono essere assolutamente confuse e paragonate (altro che metaforicamente) con la finalità, gli istituti, le forme dei fenomeni storici passati».

Uno dei facili slogan dei contestatori nicaraguensi nel 2018 era «Ortega Somoza son la misma cosa», che alle volte è tuttora rispolverato. Non concordiamo con questo parallelismo semplicistico, proprio perché in nessun Paese è possibile sovrapporre due situazioni storiche come se fossero la carta carbone o la fotocopia l’uno dell’altra. Forse, siamo troppo influenzati dalla Scuola di Francoforte, da Eric Fromm, da Herbert Marcuse, ecc. ma riteniamo che l’analisi della situazione attuale non possa in alcun modo essere letta come la pura e semplice ripetizione del passato. Non solo perché, almeno in teoria, si dovrebbe imparare dagli errori del passato, ma soprattutto per il fatto che i tratti repressivi e autoritari del Potere attuale in quanto struttura politico-sociale opprimente e assolutistica, sono specifici della contingenza e vanno analizzati, secondo noi, senza facili ma fuorvianti riferimenti al passato. Per parafrasare Fromm, l’attuale dirigenza governativa del Nicaragua preferisce l’apparire all’essere.

Piuttosto, se fossimo degli psicologi o degli psichiatri, potremmo fare un parallelo tra il bambino malmenato che in età adulta a sua volta diventa un picchiatore dei propri figli e la condizione mentale di Daniel che perdura all’interno delle quattro pareti di un carcere (lui stesso lo ha affermato in varie occasioni) e la volontà di far vivere all’intera popolazione il suo medesimo stato d’animo di clausura obbligata. Non che ciò sia una giustificazione, ma è una semplice possibilità alternativa di lettura.

A questo meccanismo interiore se ne può aggiungere un altro, potentissimo: la paura, il terrore panico che qualcosa possa mutare (che un rivoluzionario abbia terrore del cambiamento, la dice lunga). Uniti, questi due elementi formano una miscela che conduce a non vedere altra via d’uscita per restare al potere che limitare sempre più quegli spazi di libertà e di democrazia propugnati a suo tempo da una rivoluzione radicale e al contempo pluralista e non allineata, ma oggi ignorando qualsiasi legge a partire dalla Costituzione, fino ad annullarli completamente. Ciò, però, non significa in modo automatico resuscitare il somozismo con un altro nome.

Tra le difese a oltranza dell’orteguismo abbiamo trovato in Internet una vera perla di un certo Carlos Alberto Escorcia Polanco, il quale non è minimamente sfiorato dal senso del ridicolo delle proprie affermazioni (alle volte basate su dati palesemente errati e spesso su paralleli che con la storia hanno poco a che vedere). È sufficiente una piccola scelta di esempi che fa questo aficionado teorico della storia che si ripete sempre vichianamente uguale a se stessa come in uno specchio, con la quale si propone di dimostrare “storicamente” che «Ortega e Somoza non sono la stessa cosa»:

«Sia la borghesia nostrana sia l’oligarchia biancoide amano sciacquarsi la bocca dicendo che Somoza e Ortega sono la stessa cosa.

«Le elezioni in cui Anastasio Somoza Garcia fu “eletto” nel 1936 furono supervisionate dal governo degli Stati Uniti e sorvegliate dai marines americani, che contarono i voti. Affinché Ortega e Somoza siano “la stessa cosa”, i voti con cui è stato eletto Ortega avrebbero dovuto essere contati dai marines americani, ma non lo furono.

«Nel 1956, cioè 20 anni dopo le prime elezioni che permisero al vecchio Tacho di salire al potere e in seguito all’esecuzione di Somoza Garcia, suo figlio maggiore Luis Somoza Debayle convocò le elezioni presidenziali mentre lo stato d’assedio si instaurava dopo l’assassinio di suo padre. Affinché Somoza e Ortega siano la stessa cosa, le elezioni vinte da Ortega avrebbero dovuto tenersi mentre in Nicaragua era in vigore lo stato d’assedio, revocato la notte prima delle elezioni e ripristinato il giorno dopo le elezioni, ma non è stato così».

Fino a questo punto, pur con vari distinguo e integrazioni, si potrebbe parzialmente concordare, ma proseguiamo:

«Se Somoza e Ortega sono la stessa cosa, allora il padre e il fratello maggiore dell’attuale presidente Ortega avrebbero dovuto essere presidenti prima di lui. Daniel Ortega Cerda, padre dell’attuale presidente, avrebbe dovuto essere presidente del Nicaragua prima dell’attuale presidente, perché così accadde con Somoza Garcia. Ma non è stato così.

«Pure il fratello di Daniel, Humberto, avrebbe dovuto essere presidente prima di lui, come nel caso di Luis Somoza Debayle. Così, e solo così, si potrebbe stabilire un “parallelismo alla pari” tra Ortega e Somoza, ma non è stato così.

«Né il padre dell’attuale presidente, Daniel Ortega Cerda, né il fratello del presidente, Humberto, furono presidenti prima di lui, per stabilire il “lignaggio dinastico della famiglia” e giustificare la mostruosità storica che entrambi i personaggi “sono la stessa cosa”. Ma non è stato così».

Seguendo questo ragionamento, Pinochet non era come Mussolini perché il Cile non era una monarchia e non c’era un re spaventato da un’armata Brancaleone. E via dicendo… neppure la storia dell’attuale nostro presidente del Consiglio ha somiglianze con quella di Mussolini… ma tant’è!

Rendendosi forse conto che questi paralleli sono del tutto stupidi e soprattutto ridicoli, tanto che evita di ricordare che nessun Somoza ha mai co-governato con le rispettive consorti e denotano persino una scarsa capacità di informarsi: se Luis Somoza Debayle era nato nel 1922, maggiore di tre anni rispetto al fratello Anastasio (Tachito) nato nel 1925, Daniel è nato nel 1945, mentre il fratello Humberto nel 1947, per cui non è affatto il maggiore. Inoltre, si dilunga nelle differenze per lui sostanziali tra la famiglia Somoza che monopolizzò l’economia del Paese e la famiglia Ortega-Murillo che, a suo dire, va in giro con le pezze nel posteriore (si fa per dire): «Secondo la rivista americana Forbes, ben lungi dall’essere la Santa della mia devozione, l’uomo più ricco del Nicaragua non è Daniel Ortega Saavedra, ma Carlos Pellas Chamorro, con 3.000 miliardi di dollari. Secondo la stessa rivista, è seguito dal comandante Ortega, al 2° posto con una cifra di 60 milioni di dollari».

A parte l’ammontare presunto del patrimonio di Daniel, la stessa rivista Forbes afferma che esso è top secret. E, comunque, evita di ricordare che la cifra di 60 milioni di dollari è assai superiore all’ultima dichiarazione dei redditi (2006) ammontante a “miseri” 217.000 dollari. Significherebbe inoltre che ha accumulato 60 milioni di dollari in 16 anni di potere (quasi 4 milioni all’anno, 11.000 al giorno, circa 500 all’ora). Se sommiamo lo stipendio annuale che intasca come Presidente dalla Repubblica (equivalente a US$ 151.095,17) e ammettendo che non abbia speso un solo centesimo in questi anni, avrebbe risparmiato “solo” US$ 29.010.272 (1.813.142×16). Meno della metà di quanto affermato da Forbes. Che, comunque, Daniel non sia un desamparado, pur avendo un patrimonio assai inferiore a quello di Pellas (e pure di altri), è comunque evidente. Di certo, però, un nicaraguense che riceve il salario minimo di circa US$ 250 mensili, deve lavorare oltre settemila anni (dieci volte Matusalemme) per mettersi in tasca la cifra annuale del Presidente de los pobres. Ovvero, Daniel intasca mensilmente l’equivalente di oltre settemila salari minimi. Benvenuti nel Paese di El Pueblo, Presidente, dove il decreto presidenziale n. 19 del 2007  stabilisce lo stipendio massimo mensile di US$ 3.200, con varie pene fino alla destituzione se non lo si rispetta (art. 12).

Per gli increduli, qui il testo integrale dell’articolo di Escorcia Polanco.

Naturalmente, Carlos Alberto Escorcia se ne guarda bene dal raffrontare l’epoca somozista e quella attuale per ciò che concerne sia l’occupazione di tutte le istituzioni, annullando di fatto lo Stato di diritto, sia la formazione di una nuova oligarchia pseudo-rivoluzionaria strettamente legata al funzionamento delle suddette istituzioni, controllate in modo ferreo.

Non sappiamo se il nostro autore si sia ispirato a Plutarco e alle ventidue biografie aneddotiche dei più famosi personaggi dell’antichità riunite in coppie per mostrarne i comuni vizi o virtù morali e raccolte nelle Vite parallele (I-II sec.), capovolgendone il meccanismo letterario per sostenere l’impossibilità di raffrontare il somozismo con l’orteguismo. L’autore greco propone coppie di personaggi storici greci e romani, ma non ha alcuna intenzione di “fare la storia”, bensì di esporre ai propri lettori i caratteri dei personaggi e come le loro attitudini abbiano influito sulla loro azione.

Se Plutarco era un greco, fortemente influenzato dalla filosofia di Platone ma vissuto sotto l’Impero romano, a questo punto vale la pena far conoscere ai nostri lettori una breve biografia del paffuto e camaleontico nostro contemporaneo Escorcia Polanco, che si auto-definisce «analista politico» ed è, parole sue, «afincado en Los Angeles, California». Occorre comunque tenere presente che le notizie biografiche (o autobiografiche) reperibili su di lui sono scarse (si capirà subito il perché) e che «Le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono» (Giacomo Leopardi, Pensieri, 1932).

Nato all’incirca nel 1954, figlio di Carlos Alberto Escorcia Sequiera, pastore delle Asambleas de Dios nato a sua volta nel 1921 a Las Lajas (Camoapa) e informatore della tenebrosa Oficina de Seguridad Nacional (OSN, la polizia politica somozista) comandata dal generale Samuel Genie Amaya, nel 1977 si sposa con la coetanea Rebeca Rivera Juarez, che in seguito lo accusa di violenza domestica e si separa da lui. In gioventù era uno studente dell’Universidad Nacional Autónoma de Nicaragua (UNAN) a León e si guadagnava onestamente la giornata facendo la spia (oreja) in favore del governo somozista, denunciando gli studenti oppositori. Attitudine evidentemente trasmessa da padre in figlio con il DNA. Verso la metà degli anni Settanta del secolo scorso, durante un’assemblea studentesca Antenor Rosales Bolaños (combattente antisomozista e uno dei migliori economisti del Paese che dal gennaio del 2007 al febbraio del 2012 è stato il presidente del Banco Central) lo accusò pubblicamente di essere un sapo (equivalente del cubano gusano) e lui fuggì a gambe levate per non farsi più vedere nemmeno in fotografia. Senza concludere gli studi, si trasferì negli Stati Uniti, tentando di costituire una setta evangelica, ma senza grandi risultati, restando così orfano sia del pulpito sia dei fedeli, entrando senza dubbio in una profonda crisi di astinenza.

Nella sua pagina Facebook si dichiara segretario del Comité de Festejos Centroamericanos (COFECA) di Los Angeles, organizzazione essenzialmente folklorica che non pare schierata politicamente a sinistra. Come traduttore, negli ultimi anni ha lavorato come free lance presso il tribunale di Los Angeles, ricevendo un più che decente salario annuale dallo Stato della California (US$ 111.904).

Escorcia Polanco afferma pure di essere stato il segretario nazionale dell’Asamblea de Dios del Nicaragua, gruppo evangelico pentecostale di tendenze iperconservatrici fondato all’inizio del XX secolo in Arkansas (Assemblies of God) e presente in varie parti del mondo: negli USA hanno sostenuto George Bush e poi Donald Trump; in Brasile sostiene Bolsonaro e il Partido Social Cristão (PSC) di centrodestra e guidato da Everaldo Pereira e Marco Feliciano accusati in vari casi di criminalità e cattiva condotta sessuale; in Colombia, in Cile, in Bolivia e in altri Paesi latinoamericani è al fianco dei rappresentanti della destra più ottusa e più becera. Ralph Drollinger, il predicatore nazi-evangelico guida spirituale di Trump e di Pence, è in stretto contatto con questa setta evangelica assai poco di sinistra.

Non sappiamo quale ruolo Escorcia Polanco abbia avuto nel viaggio di Drollinger il Nicaragua nel luglio del 2019 in occasione del 40° anniversario della Rivoluzione Popolare Sandinista (con tanto di suo discorso dal palco, applaudito dall’ignara folla). Sappiamo però che afferma di essere un militante sandinista dal 1978 (qualcuno ci crede o finge di crederci, come accade per Moisés Absalón Pastora, del quale abbiamo parlato tempo fa) e dal 2006 compare nuovamente sulla scena nei panni dell’orteguista fanatico con il fazzoletto rossonero al collo, non disdegnando al contempo le opportunità e le comodità che gli offre l’Impero: una casa di medie dimensioni in proprietà e una prossima buona pensione statale con la quale sperare di vivere come benestante in Nicaragua il resto dei suoi giorni, prima di assurgere al Paradiso divino.

Nel frattempo, pubblica articoli su vari siti Internet di sinistra e persino su riviste come Vision Sandinista (la cui redazione ha la propria sede nel Costado este Parque El Carmen) e addirittura nel portale ufficiale El 19 DIGITAL, oltre a essere intervistato dai mezzi di comunicazione ufficiali o legati al governo. A tutti gli effetti, non avendo quello evangelico, ha trovato altri pulpiti già pronti all’uso dai quali predicare e una massa di fedeli. A tutti gli effetti i suoi articoli sembrano (sono) prediche evangeliche.

Dal 2007 a oggi sono numerosi i somozisti dichiarati che sono passati allo sperticato sostegno di Daniel. In italiano esiste una parola assai pittoresca per definire un simile personaggio che ha cambiato opinione o comportamento con grande leggerezza per il proprio tornaconto personale: voltagabbana. In Nicaragua si usa chaquetero, che il Dizionario della Real Academia de la Lengua definisce: «adj. coloq. Que chaquetea (cambia de bando o partido)». Cariche e benefici di varia natura sono solo in attesa di essere assegnati, ma di certo questi personaggi sono ben distanti dal sandinismo.

E il Potere, a qualsiasi latitudine e di qualunque colore, gradisce sempre l’arrivo di nuovi lacchè (a prescindere dal loro pedigree), disposti a essere più papisti del papa e a sostenere tutto ciò che si sa essere più falso di una moneta da un euro e mezzo, come fece il Corriere della Sera del 30 aprile 1937: «Guernica ridotta in cenere dai dinamitardi comunisti». È assai lungo l’elenco di questi personaggi dai quali mai compreremmo un’auto usata, per cui ci limitiamo ad alcuni esempi: forse sarebbe sufficiente ricordare il cardinale Miguel Obando y Bravo, che benediva le armi della contra, e il monsignor Bismarck Carballo direttore di Radio Católica, poi entrambi sostenitori dell’orteguismo, ma preferiamo soffermarci sul poco noto ultrasettantenne Carlos Wilfredo Navarro Moreira, nato in una famiglia con scarse risorse economiche ma strettamente legata al somozismo e incarcerato per un anno ne La Modelo di Tipitapa negli anni Ottanta, poi deputato per varie legislature del Partido Liberal Costitucionalista (PLC) e fedelissimo di Arnoldo Alemán (tanto da dichiarare nel 2000 che avrebbe dato la propria vita per difenderlo), nel 2005 affermò che «Il FSLN ha istituito un’intera struttura presso la Corte Suprema di Giustizia e la Magistratura per ottenere denaro, sia dal narcotraffico sia da qualunque parte provenga, per finanziare le proprie campagne elettorali», nel 2006, quando Daniel fu eletto Presidente, lui rimase deputato del PLC. Nel 2010 giurò pubblicamente che sarebbe stato un oppositore di Ortega fino alla morte, senza chiarire se la sua o quella di Ortega, ma la questione è irrilevante poiché dal 2012 divenne un ferreo alleato dell’orteguismo e attualmente si mostra più orteguista di Ortega. Nel 2014 venne espulso dal PLC e due anni dopo sottoscrisse un patto di alleanza con Ortega come leader del Movimiento Liberal Constitucionalista Independiente (MLCI) da lui stesso fondato, coalizzato con l’orteguismo. Fu lui a capeggiare la delegazione governativa nel corso dell’inutile dialogo con l’opposizione nel 2019. Per la cronaca vive in un residencial nella zona più esclusiva di Managua, dove le abitazioni costano dai 200mila ai 500mila dollari e dove il lusso obbliga a pensare al riciclaggio di denaro: Los Altos de Santo Domingo.

Suo fratello Edwin de Jesús era un membro della famigerata BECAT (Brigada Especial Anti Terrorismo) della Guardia Nacional somozista e morì dissanguato dopo uno scontro a fuoco con i guerriglieri sandinisti, a León il 27 maggio 1979, nel corso dell’offensiva finale contro la dittatura. La sua famiglia non ha mai perdonato al Frente Sandinista quella morte.

Poiché non abbiamo alcuna verità in tasca e, in fondo, pure la nostra può essere considerata pura e semplice propaganda, invitiamo i lettori a verificare sia le altrui sia le nostre affermazioni senza prenderle per oro colato. Come direbbe il saggio con una delle sue metafore: «non è mica che se vesti i modelli e le modelle con la tuta da metalmeccanico, una sfilata a Palazzo Pitti si trasforma in un corteo della FIOM».

Nelle stanze di El Carmen, perciò, dovrebbero quanto meno sfogliare il De adulatore et de amico (Come distinguere l’adulatore dall’amico) nel quale il succitato Plutarco affronta il tema dei veri e dei falsi amici (che spesso possono essere infiltrati e informatori, aggiungiamo noi): «Il ruffiano, per conquistarci, si aggrappa infatti all’eccessiva considerazione che abbiamo di noi stessi. Questo accade perché chi ha un’alta autostima, è il maggior adulatore di sé, e si compiace se qualcuno gli conferma le proprie fantasie e utopie […] e questo gli crea l’illusione di eccellere in tutto». Forse la coppia presidenziale riuscirebbe finalmente a comprendere che, alle volte, è un migliore e più sincero amico chi critica senza reconditi interessi («Quindi il vero amico tenterà in tutti i modi di distogliere un suo amico da compiere gesti che ritiene sbagliati») piuttosto che chi loda in modo opportunistico e manipolatore (modello sociale dell’arrampicatore o del cacciatore di prebende), egoisticamente sempre pronto a fare le valigie e mutare le proprie posizioni nel caso in cui il vento cambi direzione.

Lo scrittore e saggista Elias Canetti, premio Nobel per la letteratura (1981), ebbe a dire che «Gli adulatori appassionati sono i più infelici degli uomini. Di tanto in tanto li coglie un odio selvaggio e imprevedibile per la creatura che hanno a lungo adulato. Quest’odio, non possono padroneggiarlo; a nessun prezzo riescono a domarlo; vi cedono come la tigre alla sete di sangue. È uno spettacolo sconcertante: l’uomo che prima aveva per la sua vittima solo parole della più cieca adorazione, revoca ciascuna di esse con altrettanto esagerate ingiurie. Non dimentica nulla di quanto potrebbe aver fatto piacere all’altro. Nella sua collera frenetica ripercorre l’elenco delle sue precedenti dolcezze e le traduce con precisione nella lingua dell’odio» (La provincia dell’uomo, 1973).

Per concludere, dedichiamo le seguenti parole di Gramsci a tutti quelli della sinistra che si autodefinisce non confusa e che grida al complotto ogni volta che qualcuno osa criticare un orteguismo che imbarca chiunque finga di essere ciò che non è: «È più facile convincere chi non ha mai partecipato alla vita politica di chi ha già appartenuto a un partito già sagomato e ricco di tradizioni. È immensa la forza che la tradizione esercita sugli animi. Un clericale, un liberale che diventano socialisti, sono altrettante macchine a sorpresa che possono da un momento all’altro esplodere con effetti letali per la nostra compagine.  […] Chi si è convertito, è sempre un relativista. Ha esperimentato in se stesso una volta quanto sia facile sbagliarsi nello scegliere la propria via» (11 febbraio 1917).

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