Ecuador, diritto alla natura

Prima Correa e poi Moreno hanno disatteso la Costituzione incentrata sul buen vivir.

di Maria Teresa Messidoro (*)

 

In America Latina, grazie alla lotta dei popoli indigeni, afrodiscendenti, donne e contadini, cioè le persone più escluse dal mondo capitalista attuale, sta emergendo una nuova generazione di diritti umani, centrata sull’idea che gli esseri non umani, però essenziali e indispensabili per la vita dell’umanità, hanno diritti “umani”, per ciò che rappresentano.

Pioniere di questo concetto è stato l’articolo 71 della Costituzione dell’Ecuador del 2008,  un articolo strettamente legato alla concezione indigena della natura che,  invece di essere considerata semplicemente come una risorsa incondizionatamente disponibile e di cui ci si può appropriare a piacimento, diventa la Madre Terra, la Pachamama nella lingua quechua, l’origine della vita e quindi al centro dell’etica della salvaguardia.

Dice l’articolo 71: “La natura o Pachamama, il luogo in cui si riproduce e realizza la vita, ha il diritto che si rispetti integralmente la sua esistenza, il suo mantenimento e la rigenerazione dei suoi cicli vitali, funzioni e processi evolutivi. Qualsiasi persona, comunità, popolo o nazione, potrà esigere dall’autorità pubblica la realizzazione dei suoi diritti. Per applicare e interpretare questi diritti si dovranno osservare i principi stabiliti dalla Costituzione. Lo stato stimolerà le persone naturali e giuridiche, nonché i collettivi, affinchè proteggano la natura e promuoverà il rispetto di tutti gli elementi che formano un ecosistema”

Si tratta di un esempio fondamentale di quella nuova corrente di pensiero che il sociologo portoghese  Boaventura de Sousa Santos definisce la sociologia de las emergencias. E’ vero che negli ultimi anni, in Ecuador, come in altri paesi latinoamericani a guida progressista, tale precetto è stato sistematicamente annullato nella pratica, in nome dello sviluppo capitalista. Ma la politica estrattivista adottata anche dal governo ecuadoregno prima di Rafael Correa e poi di Lenin Moreno, non è riuscita a cancellare completamente la sua portata innovativa a livello giuridico e costituzionale, a dimostrazione della forza insita nella lotta insorgente anticapitalista, anticolonialista e antipatriarcale dei popoli indigeni latinoamericani. Ai margini della politica dominante, germogli di alternative concrete sorgono ovunque.

Il caso più recente e che merita molta attenzione è quello della concessione di diritti umani al fiume Whanganui, anche chiamato Te Awa Tupua, un fiume da sempre considerato sacro dal popolo maori della Nuova Zelanda.

“Ko au te awa Ko te awa ko au: Io sono il fiume, il fiume sono io”, recita un vecchio proverbio locale. Dopo 140 anni di negoziazioni, il fiume è stato riconosciuto dallo Stato come un’entità viva, che deve essere protetta per poter garantire la continuità piena della sua esistenza. Il Ministro che ha condotto le trattative, giunto alla conclusione del lungo e faticoso processo di riconoscimento della personalità giuridica per il fiume Te Awa Tupua, ha affermato che “la decisione di concedere personalità giuridica ad un fiume è singolare, ma coerente con la concezione che la popolazione Iwi ha da sempre del Whanganui, come dimostra la sua cultura e la sua tradizione.

Questo riconoscimento di un pluralismo giuridico, assegnando personalità giuridica ad un essere vivo ma non umano, non è una pura dichiarazione rimasta sulla carta, come invece è parzialmente successo con l’articolo 71 della Costituzione dell’Ecuador. Infatti gli accordi con il Governo Neozelandese hanno previsto un indennizzo di 60 milioni di dollari al popolo maori per i danni arrecati al fiume nel corso degli anni. Pochi mesi dopo, sulla stessa base giuridica, la Nuova Zelanda ha concesso ugualmente personalità giuridica alla montagna Taranaki, uno strato vulcano dell’isola settentrionale del paese, affermando che le otto tribù maori locali saranno guardiane della montagna sacra che essi considerano come antenato, membro a tutti gli effetti della loro famiglia. Il nuovo stato giuridico della montagna implica che qualsiasi danno o abuso esercitato su di essa  debba essere considerato come un danno o abuso alla stessa tribù.

Ma ciò non succede soltanto nella Nuova Zelanda: in India ed altri paesi del mondo, si stanno intraprendendo lotte sul piano giuridico per concedere lo status di essere vivente  a entità non umane.

E’ comprensibile la resistenza da parte delle grandi multinazionali, perché se si diffondesse ed affermasse questa nuova concezione giuridica, i possibili indennizzi che dovranno pagare le imprese che contaminano i fiumi non si limiterebbero soltanto più al valore dei pesci scomparsi, ad esempio, ma dovranno far riferimento a tutti gli ecosistemi collegati al fiume. Questo aumento esponenziale del risarcimento renderebbe insostenibili molte delle loro attività.

La lotta per la Madre Terra deve dunque continuare. Ad esempio nell’isola Marè, in Brasile, dove il suo ricchissimo ecosistema è stato distrutto fin dagli anni 60, a causa della contaminazione causata dalle industrie ed imprese multinazionali sorte nel cosiddetto complesso portuario di Aratu, a pochi kilometri dall’isola.

Negli ultimi anni, il problema ha assunto dimensioni paragonabili a quelle di un vero e proprio disastro ambientale e calamità sanitaria. Ci sono colonne di fumi pestilenziali espulsi sena filtri, portati ovunque dal vento, carico e scarico di prodotti altamente tossici, come zolfo e ammoniaca, senza nessuna precauzione, che si disperdono nell’aria e nel mare, intaccando pesantemente la salute delle popolazioni locali e il loro tenore di vita. Una agenzia ufficiale ha denunciato la presenza sistematica nelle acque e nel suolo di otto contaminanti: arsenico, cadmio, piombo, rame, cromo, ferro, mercurio e zinco. Sono stati rilevati tassi di cancro superiori alla media del paese, ed ora i fenomeni cancerogeni stanno colpendo anche i giovani.  Il governo brasiliano si è rifiutato di portare avanti indagini epidemiologiche che possano stabilire una relazione tra le cause contaminanti  e le malattie; in fondo prevale un’idea razzista, perché l’isola di Marè è “un’isola di soli negri”. Ma le popolazioni locali non si arrendono, non vogliono accettare che lo sviluppo prevalga sulla vita umana e degli essere viventi non umani.

Per questo non dobbiamo soltanto essere solidali con loro: dobbiamo lottare con loro, affinché anche la loro isola , con i suoi abitanti, i suoi paesaggi e gli ecosistemi che la compongono, sia riconosciuta finalmente come un soggetto degno di diritti umani e come tale protetto e preservato.

Non è un’utopia, è l’unica possibilità per l’uomo e la natura di sopravvivere.

(*) vicepresidente Associazione Lisangà

 

 

Teresa Messidoro

Un commento

  • Ho letto questo articolo con una mia amica dell’Ecuador. Lei mi ha chiesto di congratularmi con l’autrice dell’articolo. Trova molto bello il suo impegno per includere gli elementi della natura (fiumi, montagne, laghi e tanti altri) come soggetti giuridici . È un’ eccellente forma di aiutare l’ecosistema.

    Christiana C. Brito
    Virginia Menendez.(la mia amica).

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