Dis-umanità digitali con Julian Nida-Rumelin e Nathalie Weidenfeld
L’ideologia della Silicon Valley, la fantascienza, il Mercato e l’intelligenza
di Fabrizio Melodia
«L’umanesimo digitale è basato su un’idea semplice cioè che la condizione umana non ha come vettore privilegiato le sole tecnologie. Gli umani sono esseri senzienti con propri diritti, dignità, autonomia decisionale e deliberativa. Tali caratteristiche non riguardano invece le macchine. L’umanesimo digitale non rifiuta però la tecnologia» afferma in un’intervista sul quotidiano «il manifesto» (del 18 ottobre) il filosofo tedesco Julian Nida-Rumelin, parlando del suo nuovo libro «Umanesimo digitale» scritto a quattro mani con la docente di cinematografia Nathalie Weidenfeld: lo trovate per i tipi della FrancoAngeli, 200 pagine per 18 euro, traduzione di Giovanni Battista Demarta.
Libro assai contro corrente a quella che, secondo gli autori, è la deleteria filosofia della Silicon Valley, il cui guru-profeta fu Steve Jobbs, un visionario che ha saputo davvero cambiare il mondo ma disumanizzandolo.
Nida-Rumelin e Weidenfeld cercano di dare una risposta forte alle derive “calcoliste” della nostra società iper tecnologizzata, riportando le persone a trovare nuove strade oltre al computer, altri modi di socialità verso il dialogo e la solidarietà reciproca.
Una bel pugno nello stomaco alla società dove politica, mercato e sociale sono sempre più tecnologia e funzionalità. Tutto è visto in funzione mercantile e funzionale, con gli esseri umani sempre più simili a robot e, quando non lo sono, vengono sostituiti. A tale incubo Nida-Rumelin e Weidenfeld contrappongono tesi forti come quella, assai provocatoria e dirompente, che la digitalizzazione non ha portato a un aumento della produttività, alla riduzione dei salari e alla disoccupazione di massa. E vedono nel reddito di cittadinanza una pericolosa scappatoia del Mercato che congelerebbe le disuguaglianze sociali, portandole all’estremo. Si cerchino altre strade, affermano. Ok ma ogni tanto sarebbe gradito tracciare qualche progetto di percorso sporcandosi le mani, soprattutto ai perplessi. Mannaggia. Sempre scaricare il lavoro sugli altri, questi pigroni di filosofi e professori.
Ah no aspettate, la professoressa Weidenfeld se ne esce, nella già citata intervista, con una inconsapevole genialata che traccia per lo meno l’idea per una ciclabile del futuro. Leggiamola: «Possiamo dunque dire che l’ideologia della Silicon Valley avrebbe avuto qualche difficoltà in più a diffondersi cosi velocemente senza il supporto della fantascienza. Al contrario, i digital humanities svolgono un ruolo essenziale nel non fare proprie queste storie edificanti e melodrammatiche delle storie narrate, ma di coglierne la dimensione metaforica o metonimica. Spesso infatti si dice robot per non dire afro americano. Perciò si può affermare che l’intelligenza artificiale non possiede intenzionalità, emozioni, capacità di avere sensazioni. Nella visione computazionale s’impone un’idea povera di fantascienza, ridotta a mera capacità di calcolo. Ma l’intelligenza è molto di più».
Da applausi, sono sincero. In effetti penso che ben poche persone credano davvero che esistano robot senzienti con cervelli positronici avanzati, androidi Nexus 6 che cercano di poter vivere di più alla faccia dei loro padroni, cyborg totali con solo l’anima a testimoniare la precedente umanità come ben descritto nell’iperbolico ma non per questo melodrammatico «Ghost in the shell», mangafumetto del bravo Masamune Shirow.
Ripensando ai robot positronici mi viene in mente quel significativo episodio di «Star Trek: The Next Generation» – di cui ho già parlato in precedenti post bottegardi – dal titolo «La misura di un uomo» che vede l’androide Data, robot positronico senziente, lottare in tribunale per vedersi riconosciuti i propri diritti come forma di vita diversa da quella biologica, ma pur sempre vitale.
E che dire di Roy Batty, androide operaio programmato per vivere solo 4 anni, ma innamorato della vita e arrabbiato con i suoi capitalistici creatori? O del cyborg totale Motoko Kusanagi, la quale si trova dinanzi a un’intelligenza artificiale senza corpo ma che vive nell’immenso oceano del cyberspazio? Un po’ come se Facebook, dal messaggio «Ciao Fabry, cosa stai pensando?» arrivasse al fatidico «Ciao Fabry, so cosa stai pensando».
Nessuno penserebbe di trovarli nella realtà. La fantascienza, come qualsiasi pratica filosofica che si rispetti, usa metafore per far comprendere i propri concetti. E come Steve Jobbs ha trovato ispirazione in «1984» di George Orwell, rendendo questo luogo un “paradiso” tecnologico persino più ardito del suddetto libro, molti scrittori e cineasti di fantascienza hanno utilizzato metafore e allegorie sorrette da strutture narrative forti, come la struttura tripartita aristotelica, che permette di costruire metafore compatte e potenti, le quali (raggiunto il climax melo-drammatico della vicenda) procurano una forte catarsi nello spettatore.
Quindi più che le metafore in sé – almeno a livello cinematografico se non narrativo – la pratica filosofica della fantascienza produce azioni concrete e rivoluzionarie. L’azione filmica genera empatia e la catarsi produce emozioni che restano dentro. Solidarizziamo con Data e Roy Batty perché vi vediamo riflessi noi stessi. E questo produce umanità, fratellanza, senso del bene.
Se il Mercato ha fatto nascere la guerra dei poveri contro i poverissimi per la prosperità dell’1 per cento di ricchi (dove invece che solidarizzare si pensa “Meno male che non sono io al posto di quei disgraziati”) la fantascienza si presenta rivoluzionaria persino in certi polpettoni hollywoodiani, come la recente saga supereroistica degli Avengers o il simpatico robottino spazzino del futuro Wall-E, o l’eroica cyborg Alita (al degrado della città spazzatura non permetterà che il male trionfi sulla Terra).
Pratiche rivoluzionarie di umanità che fanno bene tanto agli umanisti digitali quanto alle persone comuni. Per una buona palestra di umanità consiglio dunque «Umanesimo digitale»: costa molto meno di una palestra di fittness pilates e fa molto bene alla salute… mentale.