Dissenso, fino a che è possibile
articoli di Carlo Rovelli (ripreso da l’AntiDiplomatico) e Massimo Cacciari (ripreso da infosannio.com)
Di Cesare, Balzerani e un paese infelice che scorda i maestri da Croce a Gramsci – Massimo Cacciari
Donatella Di Cesare è una filosofa di rilievo internazionale, formatasi in scuole di assoluto rigore scientifico ed etico in Italia e all’estero. Da questo dato di fatto si dovrebbe partire, se si intendesse davvero comprendere e non fraintendere e strumentalizzare la sua estemporanea nota sulla morte della Balzerani. Ma si sa, ormai nulla viene contestualizzato, storicizzato, vige solo la regola dell’agguato contro l’avversario politico, in ansiosa attesa della sua gaffe, del suo inciampo, della sua battuta infelice. Non siamo tutti pre-preoccupati prima di aprir bocca di non ledere qualche non scritta norma del politically correct, della cancel culture, imperanti ogni giorno di più?
Tutti gli scritti e i comportamenti della Di Cesare dimostrano la sua radicale avversità a ciò che ha significato e comportato l’azione del terrorismo degli anni di piombo. Questa azione ha bloccato non solo il “riformismo” dei partiti della sinistra storica e del sindacato unitario, ma anche quei movimenti nella scuola e nelle fabbriche in polemica con questi ultimi, ma assolutamente contrari alla linea della lotta armata. Il terrorismo ha agito da potente fattore reazionario nella politica italiana, esattamente nel senso di chi metteva le bombe a Piazza Fontana, a Brescia, sui treni. Può la Di Cesare pensare che costituisse una speranza rivoluzionaria? Via, siamo seri. Che intendeva dire – anche se certo non lo ha espresso con chiarezza? Esattamente ciò che allora, in quegli anni tragici che hanno segnato in negativo tutta la nostra storia fino a oggi, disse Rossana Rossanda: anche il terrorismo rosso, piaccia o no, nasce da un humus comune, da un confusissimo ma reale crogiuolo di lotte, speranze, illusioni che ha segnato gli anni tra i ’60 e i ’70. Anche il terrorismo, che ha agito potentemente nel disintegrare quelle speranze di riforma della scuola, delle istituzioni, della cultura tutta di questa nazione, nasceva dagli anni della contestazione, dal ’68 italiano e europeo. Non era necessario finisse così. Non c’è nulla di necessario e razionale nella storia. E allora è giusto, è buono anche, riconoscendo colpe e fallimenti, e anzitutto i propri, avere misericordia anche dell’avversario, trovare una parola di pietà anche per lo sconfitto, anche per quello sconfitto che più di altri ha favorito la tua stessa sconfitta.
Diceva un grande liberale, e in situazioni ben più drammatiche di quelle in cui oggi viviamo: a volte è necessario entrare in guerra e combattere il nemico, ma nient’affatto necessario “farsi l’animo della guerra”. Non è necessario portare nella guerra “l’animo del bestione” che la concepisce come “distruzione del nemico”. E aggiungeva questo liberale non credente: bisogna essere in grado di vedere nello stesso nemico il fratello. Questo Paese ha dimenticato tutti i suoi maestri, siano liberali o cristiani, siano i Croce o i Gramsci. Sta diventando il Paese dell’intolleranza e della chiacchiera, delle facili demonizzazioni e delle censure. Spetta ai suoi intellettuali, di ogni parte, reagire a questa deriva, protestare contro canee come quella scatenata sul “caso” della Di Cesare e contro gli inauditi provvedimenti che si accingono a prendere a suo carico (ma mi auguro non sia vero) i suoi stessi colleghi, gli organi di direzione della sua stessa università! Dobbiamo attenderci commissari del popolo presenti alle nostre lezioni per controllare la nostra “linea di condotta”? Si è così ciechi e sordi da non vedere la deriva che collega le gogne per chi criticava le politiche sanitarie durante il covid, le liste di proscrizione per i presunti filo-putiniani con casi anche apparentemente solo personali come questo della Di Cesare? Le valanghe vanno fermate sul nascere. Quanto manca un Pasolini! Quanta nostalgia di corsari (e dei giornali che ne pubblicavano gli scritti)!
Dissenso, élites e “anelare alla dittatura”. La risposta di Carlo Rovelli a Mattia Feltri sull’intervista pubblicata da l’AntiDiplomatico
Non è rimasta inosservata l’eccezionale intervista di Luca Busca al fisico e grande intellettuale italiano, Carlo Rovelli, pubblicata da l’AntiDiplomatico. Decine e decine le testimonianze di apprezzamento che ci sono giunte in redazione. Una qualità di contenuti e una capacità di comprensione dei fenomeni attuali che è linfa vitale nei tempi bui. Non è rimasta inosservata al punto da urtare la suscettibilità atlantica di Mattia Feltri, direttore dell’Huffington Post, che gli ha dedicato una risposta – “Una storia spaziale” – pubblicata, oltre che dal suo giornale online, anche su La Stampa.
Di seguito pubblichiamo la risposta magistrale che Carlo Rovelli ha inviato all’Huffington Post. Non bisogna fare alto che leggerla e rileggerla.
(A.B.)
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di Carlo Rovelli – Huffington Post
Caro Mattia Feltri,
ti ringrazio per il tuo commento a una mia intervista. Ti ringrazio per le parole di stima, per l’invito che rivolgi ai lettori a cercare la mia intervista online, e anche per le forti critiche: queste sono sempre buone occasione di scambi di idee. Accolgo l’invito al dialogo e provo a rispondere, in amicizia.
Giudichi “ardimentosa” l’idea, a cui accenno, che nelle nostre società le élites controllino il dissenso proprio permettendo libertà d’espressione invece che sopprimendola. L’idea non è mia. Come accennato, risale a Herbert Marcuse e alla sua critica classica ai rischi delle democrazie moderne; è un’idea abbastanza nota. L’informazione mainstream, controllata dalle élites al potere, si alza sopra la cacofonia permessa proprio dalla libertà e mantiene in questo modo la sua influenza. Tu obietti che “i giornali vendono sempre meno: il complotto fa acqua”. A me sembra che questa obiezione confonda “i giornali” con “l’informazione mainstream”. I giornali vendono sempre meno, ma l’informazione resta dominata dalle grandi reti televisive e da chi controlla internet, sia i siti più seguiti sia i social. Le televisioni, anche quelle di orientamenti politici opposti (in America per esempio CNN e Fox News, ferocemente opposte fra loro), sono entrambe controllate dalla grande ricchezza. E non è certo un caso che uno degli uomini più ricchi del mondo abbia appena comprato uno dei social più diffusi. Chi controlla televisioni, social e giornali mantiene un grande potere sull’opinione pubblica, e chi ha molta ricchezza ci tiene molto a controllare televisioni, internet, e, anche se vende meno, la carta stampata. Devo davvero ricordarti quale famiglia italiana ha voluto per decenni mantenere il controllo della Stampa, su cui ha pubblicato (oltre che su Huffpost) il tuo commento alla mia intervista? Non lo ha certo fatto per beneficenza, quella famiglia…
La tua seconda critica riguarda un passaggio che presenti come “sulle mostruosità del neoliberismo”. Immagino tu ti riferisca alla mia frase “Il risultato del neo-liberismo è stata la concentrazione attuale della ricchezza, che nelle nostre società non si vedeva dal medioevo, e quindi una disparità sociale sempre più marcata.” Non vedo in cosa questa frase ci sia qualcosa di sbagliato. È una fatto, confermato da molte statistiche, su cui concordano gli economisti. Non è un giudizio di valore, né una dichiarazione di mostruosità: per alcuni la concentrazione della ricchezza va bene, nella misura in cui contribuisce all’arricchimento generale. Anche per i cinesi, a proposito. Ma sul fatto, non credo ci siano dubbi.
Poi critichi quello che chiami “un palpitante elogio della Cina” perché scrivo che “ha sollevato da povertà e analfabetismo mezzo miliardo di persone”. Ancora una volta, questa non è un’opinione, è un dato di fatto. Protesti perché scrivo che chi ha ottenuto questo è «un partito comunista che pone radicalmente l’interesse comune al di sopra dei privilegi singoli». Qui non capisco bene la protesta: non è proprio questo mettere la collettività sopra gli individui il motivo per cui in occidente, dove l’individuo viene prima della collettività, c’è tanta critica alla Cina? Scrivi: “Non vorrei sembrare insolente, ma la Cina c’è riuscita [a sollevare da povertà e analfabetismo mezzo miliardo di persone] proprio grazie al capitalismo e alla globalizzazione, ovvero fenomeni nati in occidente e che hanno finito per indebolirlo consegnando ai paesi più poveri gli strumenti per arricchirsi.” Caro Feltri, perché dovresti essere insolente nel dire questo? È esattamente quello che sostengo nell’intervista, e in tanti altri scritti: la Cina ha fatto propri strumenti sociali, ideologici, tecnologici e altro, nati in Occidente e si è arricchita, come tante altre parti del mondo, imparando dall’Occidente. Che male c’è? Ci fa piacere che il resto del mondo raggiunga un po’ del benessere che abbiamo noi, o no?
In questo processo, tuttavia, come giustamente osservi, l’Occidente ha perso lo strapotere economico che aveva qualche decennio fa e quindi si è indebolito, conservando solo la supremazia militare. Questo è esattamente quanto sostengo nell’intervista. Del resto non sono solo idee mie; negli ultimi anni sono usciti molti libri che analizzano questo processo in dettaglio, mi sono limitato a riportare queste analisi. La Cina, come altri paesi, ha importato idee e aspetti della cultura occidentale, facendoli propri, ma modificandoli, adattandoli e ricombinandoli fra loro e con aspetti della cultura locale. In particolare, da Deng in poi la Cina ha trovato il modo di avere un libero mercato e un sistema economico capitalistico, come giustamente scrivi tu, dove però il potere politico mantiene per sé l’ultima parola. Il partito comunista cinese ha permesso l’accumulazione del capitale e della ricchezza individuale, ma si considera il garante dell’interesse comune contro una eccessiva presa di potere da parte delle élites economiche create da questo stesso capitale. È questa politica che ha permesso che il grande sviluppo economico della Cina degli ultimi 30 anni sia andato di pari passo con la costante ridistribuzione della ricchezza che ha permesso l’uscita dalla povertà estrema di mezzo miliardo di persone che ha stupito il mondo. Come vedi, non sono in disaccordo con quanto scrivi. Questo controllo della politica sulla ricchezza non piace alle élite economiche occidentali, ovviamente, e questa, a mio giudizio, è una delle ragioni della feroce propaganda anti-cinese, nell’informazione mainstream, controllata da queste élites. Ci sono anche altre cose che non ci piacciono della Cina di oggi, né a me né a te. Per esempio il fatto che non permetta l’espressione libera del dissenso come da noi. Ma non deve piacerci tutto quello che fanno gli altri, ovviamente. Non dobbiamo mica essere tutti eguali. Non mi sembra che qualcosa di quanto tu scrivi contraddica quello che dico nell’intervista.
Infine, chiudi con una curiosa giravolta, scrivendo “Ed è per questa debolezza [la perdita di potere relativo dell’Occidente, su cui siamo d’accordo] che molti ora detestano la democrazia e anelano alla dittatura.” Non so a chi ti riferisci, ma se volevi riferirti a me, certo qui sbagli! Non detesto per nulla la democrazia, e ancora più certamente non anelo alla dittatura! Sono geloso della democrazia del paese dove vivo. Vorrei che fosse più genuina e meno preda dell’interesse di pochi ricchi. Vorrei più democrazia, non meno. Però vorrei soprattutto più democrazia nel mondo. Perché trovo non solo miope, data la crescente debolezza dell’occidente, ma anche un po’ ipocrita, brandire la democrazia per evitare che sia più democrazia nel mondo. Pensaci un attimo: per molti “difendere la democrazia” oggi significa difendere la legittimità del residuo strapotere militare sul mondo di una sparuta minoranza di paesi e persone. Sarebbe questa la “democrazia”? Democrazia, io credo, vuol dire seguire quello che domandano la maggioranza dei cittadini del mondo, l’assemblea generale delle Nazione Unite, la corte internazionale di giustizia. Invece, in nome della “democrazia” molti difendono il declinante strapotere dell’Occidente su tutti gli altri. Anche quando alle Nazioni Unite c’è una grande maggioranza, contro un solo veto. Difendono perfino l’arrogarsi da parte di alcuni paesi del diritto di bombardare altri, come sta facendo una missione di guerra a cui partecipa anche l’Italia, in Yemen, contro il volere delle Nazioni Unite. A me questa non sembra democrazia. Il problema importante, a me sembra, non è confrontare sistemi politici locali: nel mondo i diversi popoli possono esplorare sistemi politici diversi, vedere cosa funziona, cosa va bene e cosa va male. Possiamo tutti imparare qualcosa gli uni dagli altri; la Cina ha imparato tantissimo dall’Occidente e secondo me qualcosina potremmo imparare pure noi da un paese che cresce economicamente molto più di noi, e con grande coesione sociale. Saremmo un po’ più saggi. Invece di pensare a chi domina chi, o chi è il migliore di tutti, pensiamo piuttosto come vivere insieme, come imparare gli uni dagli altri. Come collaborare, invece di massacrarci, invece di armarci fino ai denti gli uni contro gli altri, e sopratutto invece di descriverci l’un l’altro come demoni malvagi, e insultarci l’un l’altro, terrorizzati dalla nostra stessa ombra. Se tu questo lo chiami “anelare alla dittatura”, temo di non essere stato abbastanza chiaro, nella mia intervista.
Con amicizia, Carlo