Donna, dove vai se la barba non ce l’hai?
The Bearded Lady Project
di Santa Spanò (*)
The Bearded Lady Progetto:Challenging the Face of Science (Il progetto della donna barbuta: Sfidare il volto della scienza) è nato dall’incontro tra la paleontologa, di fama internazionale, Ellen Currano, la regista e produttrice Lexi Jamieson Marsh e la fotografa Kelsey Vance. È iniziato tutto come uno scherzo tra Currano e Marsh, due donne che cercano di avere successo in campi dominati dagli uomini; entrambe, tutto è cominciato con una battuta, sono state d’accordo che la vita professionale di una donna sarebbe molto più semplice con la barba.
Lo sappiamo tutti che nello scherzo c’è sempre un fondo di verità, qui non è esattamente un fondo, anzi è verità bella e buona, tanto da chiedersi: Donna, dove vai se la barba non ce l’hai?
Chissà quante donne nel corso della loro vita si sono poste la domanda, Ellen Currano lo ha fatto ed oggi è il volto del sessismo nella scienza. Currano che è diventata professoressa all’Università del Wyoming prima dei 30 anni, con un curriculum d’eccezione, conosce bene i pregiudizi di genere che ha subito, alla giornalista di Quartz Katherine Foley, ha dichiarato: “Sei seduto in una riunione di facoltà e hai un’idea, tutti t’ignorano, poi il tuo collega maschio dice la stessa cosa ed è l’idea più sorprendente.”
Piccole cose sommate ad altre piccole cose che hanno spinto le tre donne a dare vita al The Bearded LadyProject: Challenging the Face of Science, un film documentario e un progetto fotografico itinerante, con una duplice finalità, “educare il pubblico sulle disuguaglianze e sui pregiudizi di genere esistenti nelle scienze, con particolare attenzione alla paleontologia… coinvolgere un pubblico interdisciplinare attraverso due mezzi creativi e interattivi: cinema e fotografia.” In secondo luogo “celebrare le donne ispiratrici e avventurose che hanno scelto di dedicare la propria vita alla ricerca di indizi sulla storia della vita sulla terra.”
Grazie per il video a Lexi Marsh
Sicuramente le donne con la barba avrebbero più credito e verrebbero ascoltate, nasce così l’idea provocatoria e pungente (non per la barba) di un progetto che ritrae le scienziate barbute.
Supportati dalla Currer NSF CAREER, Currano, Marsh, Vance, con la direzione fotografica di Draper White, hanno viaggiato attraverso gli Stati Uniti e il Regno Unito intervistando oltre cento scienziate e, naturalmente, ritraendole con la barba finta nei loro ambienti di lavoro. I ritratti in bianco e nero cercano anche di ricreare i ritratti storici delle scienziate che sono assenti dai libri e dai documentari scientifici.
Ricordate il mio post sugli erbari “Per fare un prato occorrono… Emily Dickinson, Margaret RebeccaDickinson ed Elizabeth Blackwell.”, quando sottolineavo con le parole di Jacqueline Banerjee che quando la botanica cominciò a trovare il suo posto nello studio della storia naturale e venne riconosciuta come scienza, il ruolo delle donne botaniche divenne insignificante e ad essere accreditati furono esclusivamente gli uomini. Il lavoro di molte donne rimane in gran parte sconosciuto al pubblico, in un mondo dominato dagli uomini, allora e come in buona parte anche oggi sono sempre gli uomini ad avere larghi riconoscimenti.
Certo non siamo più in epoca vittoriana, ma non è tutto rose e fiori, la rappresentanza femminile ad esempio nel campo delle geoscienze è solo il 16% circa, dice amaramente Ellen Currano alla regista Lexi Marsh: “ci sono giorni in cui vorrei poter solo schiaffeggiarmi la barba e andare al lavoro”.
Che il mondo è notoriamente dominato dagli uomini è un fatto, così come è un dato che “le donne guadagnano in media il 23% in meno degli uomini. Lo affermano le Nazioni Unite, secondo cui il fenomeno – noto come il gender pay gap – è “il più grande furto della storia”. Secondo i dati raccolti dall’organizzazione, non vi sono distinzioni di aree, comparti, età o qualifiche. “Non esiste un solo paese, né un solo settore in cui le donne abbiano gli stessi stipendi degli uomini”, anche a livello di promozioni la situazione non è certo più “rosa”, della loro rappresentanza e visibilità ne stiamo proprio parlando e corre l’anno 2019.
Le donne sono spesso nell’ombra, se non del tutto sconosciute. Quanti conoscono Florence Bascom, per restare nel campo delle geoscienze, il suo lavoro di ricerca ha migliorato la comprensione delle origini e della formazione delle montagne appalachiane e ha geograficamente mappato una buona parte degli Stati Uniti. Le sue ricerche sulla geologia piemontese sono ancora oggi utilizzate dai geologi che lavorano in quella regione.
Ne cito ovviamente alcune in omaggio al progetto, l’elenco sarebbe lunghissimo in tutti i paesi…
La nostra Florence Bascom si laureò all’Università del Wisconsin nel 1882, nel 1884 conseguì una seconda laurea, e un master in geologia nel 1887. Nel 1893, nonostante le rimostranze del presidente del college che si opponeva alla educazione delle donne, e pur dovendo sedersi dietro uno schermo durante le lezioni, divenne la prima donna a ottenere un dottorato presso la John Hopkins University.
Jeanne Allen Ferrin (BA, 1948) arrivò all’Università del Texas ad Austin per studiare geologia negli anni ’40, non era l’unica donna. Sua sorella Rosamond (BA, 1947) era già una studentessa del programma… lei e le altre studentesse hanno affrontato sfide cercando di farcela in un campo dominato dagli uomini. A loro è stato impedito di seguire corsi sul campo con i loro colleghi maschi. Sono state invece costrette a seguire corsi alternativi per raggiungere i requisiti di laurea. E non hanno sempre ottenuto il credito che meritavano.
“Gli uomini non volevano che nelle loro classi ottenessimo le A”, ha raccontato Jeanne Ferrin, “Se ottenevi un buon voto, affermavano che era perché eri una ragazza; ma non è vero, abbiamo lavorato sodo. “
Quando Rosamond Allen Haertlein andò a lavorare per la Gulf Oil a Shreveport, era l’unica donna geologa della compagnia e una delle sole quattro donne nella società geologica locale. Disse che gli uomini non sapevano bene cosa farsene di lei.
Il 10 luglio 2008, il Consiglio di amministrazione della University of Texas System ha istituito il Fondo per la Facoltà di Rosamond Allen Haertlein e Jeanne Allen Ferrin a beneficio della Jackson School of Geosciences dell’Università del Texas. Il Fondo è stato voluto e finanziato da Albert Haertlein (BS, 1978), figlio di Rosamond e nipote di Jeanne, in onore di sua madre e di sua zia. “Erano le prime donne in geologia, non le prime, ma certamente lo sono state in un momento difficile”, ha dichiarato Haertlein. “Quindi ho pensato che sarebbe stato bello assicurarsi che i loro nomi fossero associati allo sforzo di promuovere le donne in geologia”.
Una nuova prospettiva per impartire nuovi valori alle generazioni future perché le differenze di genere non si trasformino in differenze sociali ieri come oggi e non solo negli ambienti accademici.
Se “The Bearded Lady Project” è un film documentario e un progetto fotografico che celebra il lavoro delle paleontologhe femminili e mette in evidenza le sfide e gli ostacoli che devono affrontare, le donne nella vita di tutti i giorni affrontano ignoranza, pregiudizi, luoghi comuni, disparità, disuguaglianza, offese, aggressioni e morte, e chi più ne ha ne metta.
Come testimonia la morte di Sahar Khodayari, conosciuta anche come la ragazza blu, una giovane donna iraniana di 29 anni che si è data fuoco davanti a un tribunale di Teheran per protestare contro il divieto per le donne di entrare negli stadi.
Racconto di Sahar perché in Iran è illegale per le donne entrare in uno stadio e lei ha sfidato la legge travestendosi da uomo per seguire la sua squadra del cuore, ma è stata scoperta e arrestata con l’accusa di “commettere apertamente un atto peccaminoso”, la pena prevista per questo delitto va dai 6 mesi ai 2 anni di carcere, lei ha voluto compiere un gesto estremo contro il maschilismo e il patriarcato imperante, si è immolata dandosi fuoco, è morta l’8 settembre scorso.
Racconto di lei perché se Ellen Currano e le sue colleghe indossano la barba in modo ironico e provocatorio per Zeinab, come per Sahar, la storia è decisamente diversa.
Zeinab iraniana, come Sahar, la barba la indossa per necessità. Prima di entrare allo stadio deve trasformarsi in uomo, si fascia il seno, indossa una parrucca, la barba finta, e si esercita a parlare con un tono profondo e serio, tutto per nascondere la sua femminilità.
In Iran l’intimidazione nei confronti delle donne si è inasprita molto a causa dei movimenti di emancipazione femminile, gli agenti della “polizia morale” in nome della decenza non esitano ad aggredirle, a picchiarle, facendo uso di manganelli e arrestarle se non portano il velo o sono eccessivamente truccate.
Le donne dal 1979 non possono certo entrare in uno stadio, figurarsi giocare a calcio, la sola e unica possibilità è portare la barba e sperare che sia credibile, almeno fino ad oggi, con la morte di Sahar e l’attenzione che la tragedia ha sollevato, il Governo ha deciso che dal 10 ottobre prossimo, solo per gli incontri internazionali, le donne potranno assistere alle partite. Si prevede una massiccia presenza di corpi di guardia, perché se le donne entrando allo stadio non dovranno temere il carcere, non sarà così per gli estremisti che potrebbero riversare il loro odio aggredendole e addirittura violentandole.
Quasi quasi meglio la barba… irrita, ma non uccide. Almeno finchè un giorno nelle piazze di tutto il mondo le donne, invece di darsi fuoco, potranno dare fuoco alla barba.
… mantieni la calma e vai avanti.
FONTI:
https://trowelblazers.com/florence-bascom/
http://www.jsg.utexas.edu/news/2008/10/new-endowment-honors-women-geologists/
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(*) ripreso da lasantafuriosa.blogspot.com