Dossier fs 44
di Mauro Antonio Miglieruolo
Il dossier sta volgendo al termine. Ancora un paio di mercoledì e bisognerà apporre la parola fine.
Per il momento iniziamo invece con le delizie delle copertine relative ai primi cento numeri dei Romanzi di Urania.
L’averle potuto godere negli anni in cui sono state disegnate e poi pubblicate è uno dei motivi principali di consolazione
di questa mia tarda età. Consolazione gradevole: nulla a che vedere con quella amara che ho udito una volta esplicitare sussurando dall’eccellente mio medico di base di allora, dr. Viola, quando l’informai di una delle tante “riforme” sulla sanità apprestate del governo (dal solito pessimo governo): “meno male che sono vecchio”.
Al che gli faccio eco, dicendo a mia volta, meno male che sono vivo e ho ancora la possibilità di trasmettere qualcosa delle mie esperienze, letterarie e politiche, alle persone che non le hanno attraversate; scontando oggi la necessità di entrare nelle contingenze nuove: le più aspre e difficoltose.
Speriamo possano risultargli di una qualche utilità.
Mauro Antonio Miglieruolo
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Nonostante la devastante gioventù, i pensieri non erano da lanterne rosse. Predominava la volontà di sapere cosa diavolo mai si fosse inventato l’autore per giustificare quel bel titolo e dare luogo a una sì straordinaria immagine.
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Una delle più moderne che conosca. Paragonabile alle tante che furoreggiano su Internet o nelle riviste di oggi.
Inutile sottolineare che il titolo faceva comunque agio sull’illustrazione.
Ma dove li andavano a trovare!
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Delusione che non mi stancavo mai di riprodurre, iterando la lettura. Segno che tanto deludente poi il romanzo non doveva essere!
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Altra imperdonabile indegnità grafica. Altro indimenticabile romanzo di fantascienza. Non forse il migliore (anche se da collocare tra i migliori), ma è certamente il più noto. Per me anche il più letto.
Strano lavoro (una sfida dell’autore, scrivere un romanzo senza dialogo), originalissima ambientazione.
Mi chiedo dove sia il buon senso di tanti intellettuali che spregiano la fantascienza senza neppure averla letta (o letto la prima che capitava). Come non rendersi conto che dietro tanta semplicità (ma che in questo caso non inciampava nella semplificazione) c’èra tutto il secolo che andavano attaversando? Le pulsioni, i desideri, i bisogni, i voli pindarici di tre-quattro generazioni. Le stesse che poi si affrontavano sull’agone politico, che resistevano all’avidità e violenza padronali, che gettavano le basi di quello che sarebbe stato l’humus ideologico e valoriale della seconda metà del Novecento, condizionando e favorendo il risorgere del romanzo nel fine secolo.
Poveri noi in che mani siamo: segno anche questo dell’incultura, del provincialismo e dell’insufficenza dei ceti dirigenti italiani.
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Bellissimo ma deprimente romanzo le cui tematiche occorrerebbe sviluppare.
Mi limito qui a segnalare che i sostenitori dell’happy end non hanno tutti i torti. Io avrei voluto una fine migliore, diversa da quella a cui, coerentemente con le proprie premesse, conduceva il romanzo.
Il quale non solo attinge alla politica (critica a un certo tipo di comunismo? O inevitabile sbocco del consumismo?), ma anche alla filosofia. Si è padroni dei propri servi, con il tanto di corruzione dell’umano che questo comporta; con in più la prospettiva di diminuirsi diventandi schiavi dei servizi prestati; e forse anche, se le cose vanno un po’ troppo oltre (come in effetti stanno andando), servi dei propri servi. Servi tutti delle macchine.
Noi sappiamo, io so, che questo non può essere. Non per quanto attiene agli esseri umani. I servi umani non possono sostituirsi ai padroni, pena la perdita del potere che li ha sollevati dalla loro infelice condizione. I lavoratori hanno una sola via per liberarsi dall’oppresione e dallo sfruttamento. Quella di liberare anche coloro che hanno generato l’alienazione universale e che sul campo di battaglia politica li contrastano. Per liberare se stessi, devono liberare tutti. Altra strada non è possibile. Ogni altra strada porta alla soggezione di cui ci parla Williamson: porta al peggiore degli incubi nel peggiore dei mondi possibile.
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E ecco a voi il famoso numero 100, sugello a una stagione straordinaria che avrebbe conosciuto altri momenti significativi, ma non avrebbe mai più proposto la medesima intensità con stessa frequenza.