Due coraggiosi registi e attivisti sahrawi che documentano le violazioni dei diritti umani
di Habibulah Mohamed Lamin
(ripreso da https://it.globalvoices.org/)
chi documenta con le immagini guerre e violenze, soprusi e umiliazioni è pericoloso davvero.
diceva Woody Guthrie che la sua chitarra uccideva i fascisti.
per fascisti e soldati e tutte le autorità costituite anche giornalisti e fotografi sono pericolosi.
e tutti gli attivisti con la videocamera (insieme agli hacker) sono a rischio, in tutto il mondo.
I campi profughi dei sahrawi sono composti perlopiù da tende e case di fango sparse che si estendono nell’immenso deserto del Sahara dell’Algeria occidentale. Vennero creati quando il Marocco annesse il Sahara Occidentale nel 1975 e le 100 mila persone che li popolano dipendono dagli aiuti umanitari per far fronte ai bisogni di cibo, acqua e vestiti.
Nel 1976, il popolo Sahrawi fondò uno stato chiamato Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi, o RASD. La RASD opera in esilio nei campi e nelle zone del Sahara Occidentale controllate dal Fronte Polisario [it]. Dopo aver accettato il cessate il fuoco negoziato dall’Onu nel 1991, i sahrawi si sono serviti di mezzi pacifici per richiedere il loro diritto all’autodeterminazione. L’accordo di pace prometteva un referendum che avrebbe permesso ai Sahrawi di votare per l’indipendenza, ma ciò non si è ancora concretizzato.
Brahim Dahani
Dihani è venuto ai campi per partecipare ad un laboratorio organizzato dall’Unione degli Studenti Sahrawi (o UESARIO). Tutti i 16 studenti riuniti nella stanza erano desiderosi di imparare. Non appena il loro insegnante gli ha chiesto di riconoscere delle inquadrature cinematografiche, hanno iniziato: “grandangolo”, “no, campo lungo”, in un’atmosfera piena di entusiasmo.
“Sono venuto per imparare le tecniche di ripresa così da poterle utilizzare quando torno a casa”, ha detto Dihani. Secono lui, protestare nel Sahara Occidentale è difficile a causa del divieto imposto dal Marocco, che impedisce qualsiasi genere di raduno di manifestanti.
La repressione delle proteste da parte del Marocco è una questione che i gruppi internazionali di supporto e i funzionari dell’Onu documentano da molto tempo. Ad una seduta del Congresso sul Sahara Occidentale, indetta il mese scorso dalla Commissione Tom Lantos per i Diritti Umani, Eric Goldstein di Human Rights Watch ha espresso le preoccupazioni dell’organizzazione, che includono “le violazioni del diritto alla libertà di espressione, di associazione, di riunione e il diritto ad un equo processo, le torture nel corso degli interrogatori e la violenza della polizia verso i manifestanti”.
“La tua vita è in pericolo”, mi ha detto Dihani, “non appena metti piede fuori dall’aeroporto di El Aaiun”. Come ha spiegato, la repressione contro i media a cui lo sottopongono le autorità marocchine è un processo che prevede controlli severi. “Mentre torno a casa”, ha aggiunto, “mi aspetto ogni tipo di ispezione come la perquisizione senza vestiti e così via”.
Mariem Zafri
Mariem Zafri ha 33 anni e vive nella città di Smara, nei territori occupati dal Marocco. Ha da poco completato uncorso di attivismo video per i diritti umani organizzato da FiSahara e WITNESS.
Al ritorno dai campi verso casa sua nel Sahara Occidentale, le è stato sequestrato il volantino dei difensori dei diritti umani. “Sono stata oggetto di discriminazioni razziali, in quanto mi hanno messo in una stanza per gli interrogatori separata.” Ha descritto l’attivismo digitale nel territorio come uno specchio per riflettere su “la grave situazione dei diritti umani nella regione”. Per esempio, Zafri ha segnalato il processo militare del 2013 dei detenuti di Gdeim Izik, che ha portato alla condanna a morte per 9 civili sahrawi. I prigionieri politici avevano indetto lo sciopero della fame per 36 giorni. Quando alle famiglie fu impedito di far loro visita, hanno protestato a Rabat, cantando: “Nessuna legittimità per il tribunale militare”.
Zafri è d’accordo con le numerose organizzazioni sahrawi e internazionali che vorrebbero il mandato della MINURSO, la missione di pace dell’Onu nel Sahara Occidentale, esteso anche al monitoraggio dei diritti umani. Tale monitoraggio, dice Zafri, “permetterà ai Sahrawi di scendere in piazza ed esigere i loro diritti”. Attualmente, i diritti umani sono trattati di rado da giornalisti e sostenitori internazionali. All’inizio di questo mese, un gruppo di cittadini europei in visita a Gdeim Izik è stato espluso da Rabat dalle autorità marocchine. A Human Rights Watch è stato proibito di far visita al territorio.
Tuttavia, quando oggi il Consiglio di Sicurezza ha votato per il prolungamento della missione MINURSO, non è stata fatta alcuna modifica.
Video dei familiari dei prigionieri politici sahrawi in protesta a Rabat, Marocco.
Gli attivisti digitali del posto, come Zafri e Dihani, sono gli unici rimasti a documentare gli abusi nel Sahara Occidentale. Come mi ha detto Zafri, le sue possibilità di portare avanti questo servizio sono a rischio. “Sono sempre in pericolo, anche quando non sto riprendendo”.
Habibulah Mohamed Lamin è un giornalista che vive nei campi-profughi del Sahara Occidentale. Ha lavorato come interprete e traduttore per i visitatori dei campi, tra cui WITNESS, ed è direttore del Equipe Media Branch di Tindouf, un gruppo di attivisti digitali che opera nel Sahara Occidentale.
Nota dell’editor di Witness: durante un recente viaggio nei campi-profughi sahrawi [en, come tutti i link seguenti salvo diversa indicazione] a Tindouf in Algeria, WITNESS ha incontrato il giornalista locale Habibulah Mohamed Lamin. Questo messaggio di Lamin fa parte di Watching Western Sahara, un’iniziativa di WITNESS Media Lab che si occupa e contestualizza video sui diritti umani girati dagli attivisti digitali sahrawi. Questo post è stato originariamente pubblicato sul blog di WITNESS.