Due testi startrekkisti
Una poesia (nuova) di Fabrizio Astrofilosofo Melodia più il recupero di una voce della «Enciclopedia Aliena Intergalattica»
SARO’ SEMPRE SUO AMICO, JIM!
(dedicata a Santa Spanò)
Sono qui, Jim
ecco, mi guardi, oltre questo vetro
è tutto andato secondo il piano
sono riuscito a ricalibrare
i motori a curvatura
certo, ho assorbito una bella dose
di radiazioni
ma almeno ce l’abbiamo fatta
abbiamo sconfitto Khan e la sua ira
ora possiamo riprendere il viaggio
anche se l’amaro in bocca rimane
non è cosi che doveva andare
erano armi progettate dall’uomo
in un tempo in cui non si conosceva perdono
la logica non imperava come adesso
noi Vulcaniani eravamo come voi
ecco perché mi sento cosi vicino
una parte di me urla e sbraita
ma io la metto a tacere, Jim
come quando le dico
che sarò sempre al suo fianco
con la mia logica e la mia scienza
e giocheremo a scacchi
e suonerò per lei e il dottor McCoy
troppo emotivo e sanguigno
lo so, Jim
ho disobbedito a un suo ordine
dovevo lasciare il locale motori
prima della fusione del nocciolo
ma non potevo fare altrimenti
dovevo salvarvi
lo so, Jim, lei ha fatto una mossa da volpe
come con la Kobayashi Maru
si, Jim, non piangere, ti prego
ormai sto morendo
avvelenato dalle radiazioni
ma non ti preoccupare
ho messo un po di miei ricordi
in un hard disk esterno
il buon McCoy saprà dirti
e non ti preoccupare
non è logico piangere
per il sacrificio di uno per salvarne mille
bisogna essere felici
e ricordare sempre
che il nostro cervello deve vincere
e che mai dovranno esserci
mondi troppo vuoti
che non possano conoscere amore
ecco, Jim,
lasciami andare
cosi, ecco
allunga la mano
aprila piano
come ti ho insegnato
quel giorno al mio Pon Farr
ecco da bravo
ricordati, sarò sempre tuo amico
lunga vita e prosperità.
I vulcaniani
Con l’occasione la “bottega” ripropone la voce della «Enciclopedia aliena intergalattica» di Fabrizio (Astrofilosofo) Melodia
«L’irreale non esiste» (Surak, fondadore della filosofia vulcaniana).
Dopo la terza guerra mondiale, l’umanità si ritrovò davvero ridotta al lumicino: troppi morti e troppo inquinamento a causa delle armi atomiche e batteriologiche avevano davvero ridotto a mal partito tutta la superficie un tempo fiorente e rigogliosa del vituperato terzo pianeta del Sistema Solare.
Ognuno pensava a se stesso, arrabattandosi nella miseria e nella malattia, costretti a mettere insieme il pranzo con la cena, spesso a base di topi o roditori vari.
Un uomo solo, un vecchio scienziato stanco e disilluso, cercò una via diversa, un modo per non sprofondare ancora di più nella follia: credette nel suo sogno, costruire una nave spaziale per esplorare nuovi mondi e magari scoprire di non essere proprio soli in questo benedetto universo.
Non fu una cosa facile: come il buon Noè (l’arca, ricordate?) fu preso decisamente per pazzo, un visionario che costruiva qualcosa di assolutamente futile e irrealizzabile.
Eppure, molto tempo dopo e grazie a un piccolo aiuto in differita (l’Enterprise E, proveniente dal futuro, contribuirà alla realizzazione del viaggio prima che i Borg possano cambiare il corso degli eventi), il dottor Zefram Cochrane realizzerà la prima nave spaziale dalla carcassa di un vetusto razzo vettore, dotandola di motori a curvatura di sua invenzione.
Il primo viaggio durerà pochissimo, giusto il tempo di affacciarsi dalla finestra e ammirare quanto è grande l’universo e quanto siamo piccoli rispetto a esso.
Tale prova non passerà inosservata.
Poco dopo l’impresa, mentre tutti sono in pieno festeggiamento e Cochrane ci dà dentro di whiskey fatto in casa, una luce irrompe nei cieli, spazzando tutta la zona.
Gli umani, atterriti, fuggono per ogni anfratto possibile, mentre agli occhi di Zefram Cochrane si palesa uno spettacolo da togliere il fiato: una nave stellare atterra in mezzo alle carcasse sparse in ogni dove.
Dopo l’atterraggio, una figura incappucciata si fa strada nel polverone, per poi abbassarsi il copricapo e mostrare un colorito un poco verdognolo e dalle delicate orecchie a punta.
E’ il primo contatto con una razza extraterrestre, almeno secondo la versione dell’universo di “Star Trek”, l’incontro con i Vulcaniani.
Eh sì, la prima volta fu un poco difficoltoso, visto che non avevano ancora inventato il traduttore universale da impiantare direttamente nella gola dei terrestri, ma con del buon whiskey e un po’ di sana musica rock non ci sono frontiere culturali che tengano… a parte che i Vulcaniani sono vegetariani, non bevono alcolici e hanno una grande passione per la musica classica.
Durante la missione quinquennale dell’ Enterprise NCC-1701 al comando del capitano James Tiberius Kirk, il nostro Spock non perderà occasione, pur nella sua algida riservatezza, di raccontare aneddoti, storie e antefatti del suo popolo, facendo divertire con i suoi puntuali battibecchi con il dottor “Bones” McCoy.
Il pianeta Vulcano, situato nel quadrante 40 Eridani A, è un planetoide molto aspro e sostanzialmente desertico.
A detta di Spock, il pianeta Vulcano fu colonizzato intorno al 500.000 a. C. terrestre da coloni provenienti da Sargon.
Anticamente i Vulcaniani erano una razza molto violenta. Nel IV secolo un filosofo di nome Surak condusse i Vulcaniani fuori dalla spirale di guerra e violenza predicando la soppressione delle emozioni e fondando una nuova cultura basata sulla logica. Alcuni Vulcaniani rifiutarono gli insegnamenti di Surak, abbandonarono Vulcano e andarono a colonizzare il pianeta Romulus, dando inizio alla civiltà dei Romulani, società che mostra una preoccupante analogia e somiglianza con l’antico impero romano terrestre.
I Vulcaniani sono molto simili ai terrestri e mostrano tratti somatici di tipo europeo, asiatico o africano. Sono distinguibili per le orecchie a punta e le sopracciglia non arcuate. Tipicamente più forti e longevi dei terrestri (l’aspettativa di vita si aggira intorno ai 250 anni) e in caso di necessità possono restare svegli fino a due settimane di fila.
Sono anche più sensibili agli odori, più resistenti alle alte temperature e possono respirare anche in un’atmosfera rarefatta, possiedono inoltre una terza palpebra interna all’occhio, proprio a causa delle avverse condizioni ambientali, come dimostrano le difficoltà incontrate dal capitano Kirk durante una delle sue prime visite al pianeta natale di Spock.
L’emoglobina dei Vulcaniani è basata sul rame, anziché sul ferro come quella dei terrestri e pertanto il loro sangue è verde (o color ruggine, nelle vene). Per questo motivo la pelle dei vulcaniani risulta di un colore vagamente verde, come si è visto in un episodio in cui Spock rimane ferito gravemente da un colpo d’arma da fuoco.
La società vulcaniana è strutturata in base alla famiglia, altro tratto che accomuna i due pianeti fondatori della Federazione dei Pianeti Uniti. I matrimoni sono essenzialmente combinati fin dalla nascita e soddisfano le rituali regole alla base della razionalizzazione del periodo dell’accoppiamento. Infatti, periodicamente ogni 7 anni, i Vulcaniani subiscono un’irresistibile spinta all’accoppiamento nota nella loro lingua come “Pon farr”. Durante questo periodo, il maschio è spinto da un’intensa passione: il Plak-tow, la febbre del sangue. Sotto l’effetto di questa febbre, il maschio vulcaniano perde tutta la sua capacità logica: il suo unico, intenso desiderio è quello di trovare una compagna. Si tratta di un’esperienza talmente violenta che se un partner non è disponibile deve essere placata attraverso la meditazione o il combattimento rituale. Questo è indicativo dei rimasugli di passionalità e violenza rimasti ancora profondamente radicati nell’intimo inconscio simbolico di questa popolazione, che paga molto caro la propria rinuncia alle emozioni in nome di un ideale più alto di pace e fratellanza.
La cultura vulcaniana è permeata dalla soppressione di tutte le emozioni e l’esaltazione della logica pura attraverso tecniche di meditazione e disciplina mentale che i Vulcaniani imparano fin da piccoli. Un’importante disciplina rituale per la purificazione delle emozioni è il “Kolinahr”.
In generale i Vulcaniani sono una specie non-violenta e preferiscono non ricorrere alla forza a meno che non sia necessario. Hanno sviluppato un’arte marziale (“tal-shaya”) dal contenuto profondamente filosofico e ritualistico che usano come tecnica di disciplina mentale, non diversamente da alcune arti marziali orientali sulla Terra. Alcune tecniche, come la “presa vulcaniana” sono molto efficaci nel mettere fuori gioco un avversario.
Inoltre i Vulcaniani hanno sviluppato una forma di misticismo estremamente complessa. Credono nell’esistenza di un “katra” (approssimativamente corrispondente all’anima di molte religioni terrestri, similmente al “Ka” degli antichi egizi). Inoltre sono capaci di effettuare una fusione mentale con un altro essere vivente.
Alcuni individui, come ci ha dimostrato nei fatti il signor Spock, sono in grado di trasferire il loro “katra” in un’altra persona poco prima della morte.
Come si può facilmente notare, vi sono molti punti di comunanza fra terrestri e vulcaniani, in particolare a livello filosofico.
In ultima istanza, la metempsicosi è vissuta in modo molto consapevole, anche se in maniera più scientifica, come avrebbero potuto pensarla i Pitagorici, ai quali Platone si riferisce in tutto il dialogo sull’anima e la reincarnazione.
«Poiché dunque il pensiero di un dio si nutre di intelletto e di scienza pura, anche quello di ogni anima che abbia a cuore di accogliere quanto le si addice, quando con il tempo abbia scorto l’essere, ne gioisce e, contemplando la verità, se ne nutre e si trova in buona condizione, finché la rotazione circolare non riconduca allo stesso punto. Durante l’evoluzione esso vede la giustizia in sé, vede la saggezza, vede la scienza, non quella alla quale è connesso il divenire, né quella che è diversa perché è nei diversi oggetti che noi ora chiamiamo enti, ma quella che è realmente scienza nell’oggetto che è realmente essere. E dopo aver contemplato allo stesso modo le altre entità reali ed essersene saziata, si immerge nuovamente nell’interno del cielo e torna a casa. E una volta arrivata, l’auriga, arrestati i cavalli davanti alla mangiatoia, li foraggia di ambrosia e dopo questa li abbevera di nettare»: così Platone, «Il Fedro ovvero Della bellezza», in «Dialoghi», versione di Francesco Acri, Cde, Milano, 1988).
Come si può notare, il turbamento d’amore, per i Vulcaniani, viene ricondotto alla contemplazione e alla scienza pura, sopprimendo completamente l’irrazionalità, la quale farebbe deragliare concretamente ogni possibilità di mirare il vero sapere e il giusto tendere verso all’etica.
«A un certo punto mi feci l’idea che tutte le città soggiacevano a un cattivo governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una buona dose di fortuna, si trovavano in condizioni pressoché disperate. In tal modo, a lode della buona filosofia, fui costretto ad ammettere che solo da essa viene il criterio per discernere il giusto nel suo complesso, sia a livello pubblico che privato. I mali, dunque, non avrebbero mai lasciato l’umanità finché una generazione di filosofi veri e sinceri non fosse assurta alle somme cariche dello Stato, oppure finché la classe dominante negli Stati, per un qualche intervento divino, non si fosse essa stessa votata alla filosofia»: sempre Platone, in «Lettera VII», traduzione di Giovanni Reale, in «Tutti gli scritti», Milano, 1997).
La società e il modo di vivere vulcaniano sono dunque essenzialmente platonici e come non notare le somiglianze fra la disciplina di purificazione “Kolinahr” e la contemplazione delle idee?
«Cose, come per esempio la grandezza, la sanità, la forza e, in una parola, della sostanza di tutte le cose, di ciò che ciascuna è. La verità di esse si contempla forse mediante il corpo o avviene che chi di noi si accinge più degli altri e con più accuratezza a pensare ciascun oggetto della sua indagine in sé, costui si avvicina il più possibile alla conoscenza dell’oggetto? E potrà farlo nel modo più puro chi si dirigerà verso ciascun oggetto, il più possibile, con il solo pensiero, senza intromettere nel pensiero la vista e senza trascinarsi dietro con il ragionamento alcun altro senso, ma utilizzando solo il puro pensiero di per se stesso, andrà a caccia di ciascuno degli enti in sé nella sua purezza, dopo essersi liberato il più possibile da occhi, orecchie e, a parlar propriamente, da tutto il corpo, perché turba l’anima e non le consente di acquistare verità e intelligenza, quando comunica con essa. Non è forse costui, Simmia, se mai altri, che coglierà l’essere? È straordinariamente vero, disse Simmia, ciò che dici, Socrate»: Platone in «Il Fedone ovvero dell’immortalità dell’anima», traduzione di Francesco Acri, Einuadi, 1970).
Dunque i Vulcaniani non sarebbero cosi alieni come a prima vista potrebbe sembrare. D’altronde le scoperte archeologiche, portate alla luce anche dal capitano Jean Luc Picard durante una sua spedizione, parrebbero confermare l’ipotesi che gli esseri viventi della galassia provengano tutti da un unico ceppo originario, quello di una razza sorta ai primordi dell’universo e che, al termine della propria esistenza e anch’essa sull’orlo dell’estinzione, seminò la propria impronta genetica nel brodo primordiale.
In poche parole, siamo tutti fratelli di altri pianeti.
E non siamo soli.
Per approfondire, consiglio caldamente un testo assolutamente da gustare, «L’etica di Star Trek» di Judith Barad ed Ed Robertson, pubblicato da Longanesi nel 2003.