recensito da franz (*)
dopo “Drown” (
qui) e “La breve favolosa vita di
Oscar Wao“ (
qui), è arrivato “È così che la perdi”, un libro di racconti, come il primo, e con i personaggi che si riaffacciano nelle pagine di tutti i suoi libri, non ci vogliono lasciare (per fortuna).
Junot Diaz sa scrivere, però questo è solo un libro da nove, un libro migliore di Oscar Wao è praticamente impossibile per Junot Diaz; ma un libro da nove è un libro bellissimo, e se qualcuno non lo sa è meglio che si dia una mossa.
questi emigrati domenicani, come tutti gli emigrati del mondo, hanno le nostre facce, i nostri pensieri, le nostre preoccupazioni, le nostre speranze, sono stati bambini come noi, per questo li conosciamo così bene, e gli vogliamo così bene.
c’è la vita dentro questo libro, come in tutti i bei libri, e si racconta e ci racconta.
chi leggerà i libri di Junot Diaz non sarà mai dispiaciuto di averlo fatto, ma se non va in biblioteca, o in libreria, se non trova chi glieli regala o glieli presta, è così che se li perde .
ps: le parole inglesi e spanglish sono di Junot Diaz, quelle italiane di Silvia Pareschi (lo sapevate?)
(*) così si presenta franz (rigorosamente minuscolo): «Ah, i libri! Sono bottiglie lanciate in mare, come nei film di pirati, i migliori sono mappe del tesoro, solo bisogna saper leggere quello che qualcuno, che non ci conosceva, ci ha donato. Credo davvero che quanto più s’allarga la nostra conoscenza dei buoni libri tanto più si restringe la cerchia degli esseri umani la cui compagnia ci è gradita. Noi siamo come nani sulle spalle di giganti e la lettura di tutti i buoni libri è come una conversazione con gli uomini migliori dei secoli andati. Una cosa è necessaria: non leggete come fanno i bambini per divertirvi o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere. Risponde qualcuno alla domanda sugli scrittori del momento: “Non so niente della letteratura di oggi, da tempo gli scrittori miei contemporanei sono i greci”. I libri non si scrivono sotto i riflettori e in allegre brigate, ciascun libro è un’immagine di solitudine, un oggetto concreto che si può prendere, riporre, aprire e chiudere e le sue parole rappresentano molti mesi, se non anni, della solitudine di un uomo, sicché a ogni parola che leggiamo in un libro potremmo dire che siamo di fronte a una particella di quella solitudine. Un libro è uno specchio. Se ci si guarda una scimmia, quella che compare non è evidentemente l’immagine di un apostolo».
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.