Educazione alla pace e geopolitica

di Johan Galtung (ripreso da serenoregis.org/)

60 anni di teoria e prassi di pace si possono riassumere in:

EQUITA’ x ARMONIA

PACE =    ———————————

TRAUMA x CONFLITTO

Quattro focus teorici, quattro compiti politici e quattro materie educative.

Qualunque vera educazione dovrebbe preparare alla pratica, guidata da una teoria generale.

Procedendo dalla destra del denominatore alla sinistra del numeratore, la formula significa:

  • mediare soluzioni ai conflitti accettabili e sostenibili;
  • conciliare le parti del conflitto bloccate in traumi del passato;
  • empatizzare con tutti i contendenti divisi da linee di faglia sociali/mondiali;
  • costruire cooperazione a beneficio reciproco e uguale.

La mediazione è verbale, basata sui dialoghi con le parti, ma i Quattro compiti sono molto concreti, pratici; per persone che fanno, non solo parlano; per persone pratiche come i funzionari.  Quindi la Gran Questione:

L’educazione-prassi-teoria di pace è compatibile con la mentalità militare – comunque definita, e ci sono molte culture militari al mondo – o no?

Pensatori così diversi come Nietzsche e Gandhi consideravano l’apparato militare come esemplare a causa dello spirito di corpo e della disponibilità al sacrificio, perfino della propria vita.  Per Gandhi la casta kshatriya (militare) era un modello: egli voleva guerrieri non-violenti, con la stessa perseveranza, indispensabile anche nella mediazione. Avanzare, ma assicurare la ritirata, ha un parallelo nella mediazione: non proporre alcuna soluzione, alcuna azione che non sia reversibile. Per quanto ben intenzionati, ci si può sbagliare / si può aver torto.

Il massimo genio militare del secolo scorso: Vo Nguyen Giap, uno storico appena morto a Hanoi all’età di 102 anni. Verso fine 1989 ebbi una lunga conversazione con mon général riguardo alla [sua] vittoria sui francesi, poi sugli americani, e al pareggio con i cinesi.  La sua risposta: contro i vietnamiti un nemico deve combattere con l’intera popolazione, non solo i “maschi in età di servizio militare”; contro il VietNam un nemico deve combattere con ogni componente autosufficiente, nessun effetto domino solo da una “capitale”; e la storia vietnamita ha 2000 anni di addestramento con i cinesi.  Bene, Giap doveva coordinare tutto ciò; che terminò con molta pace.

Seconda Gran Questione: la pace è compatibile con le civiltà?

Problematica per un Occidente che ha colonizzato il mondo e per l’egemonia globale USA; problematica per tutti gli imperi, compresi quello sovietico e cinese han verso i loro vicini.  E per il Giappone, lento a riconciliarsi.  Meno per l’islam – che può considerarsi difensivo verso il secolarismo occidentale. E molto meno per il buddhismo, eccetto che in quanto religione di stato. Ma gli stati, salvo i maggiori, stano declinando in rilevanza, e così il patriottismo cieco disposto a fare qualunque guerra. Ancora problematici sono un Occidente e degli USA che si considerano troppo superiori, eccezionali, per dialoghi di civiltà fra uguali. Impareranno; l’alternativa è l’isolamento.

Come i militari, i mediatori pensano in termini di intenzioni, capacità e circostanze per tutte le parti, aggiungendo al comportamento violento e atteggiamenti di astio le incompatibilità fra i loro valori e gli interessi; gli obiettivi, in breve. La nostra esperienza: non c’è parte senza qualche valore o interesse legittimo; anche se è in conflitto con quello/i di qualcun altro, i nostri, per esempio.  Si costruisca su quello, creativamente.

La strada della mediazione passa per la ricerca di qualche minimo cambiamento nella realtà, cosicché siano ragionevolmente soddisfatti gli obiettivi legittimi di tutte le parti per dei rapporti migliori; la strada militare spesso passa per un massimo cambiamento nell’altro contendente – la morte – in modo che cessi il suo perseguire obiettivi che c’intralciano.  I mediatori tentano di connettere, di arrivare con ponti al buono che c’è su tutti i versanti; la mentalità militare può cercare di indurre un’inabilitazione nell’altro.  Un problema chiave: i mediatori costruiscono su quanto c’è di valido, di legittimo in tutti i contendenti, cercando nuovi ponti per cementare rapporti. Comunque sia, i proiettili militari non sono abbastanza accorti da colpire solo quel che c’è di cattivo risparmiando il buono; uccidono l’intera persona; irreversibilmente, tra l’altro.  Quindi, se si ritiene indispensabile qualche violenza, che la si renda non-letale, per favore.

Eppure, più di recente ci sono stati anche militari frapposti per evitare le uccisioni, per mantenere la pace. Il peacekeeping accomuna le mentalità mediatorie e militari, avendo dentro tutte le civiltà. Una grande esperienza d’apprendimento.

Aggiungere competenze di polizia, di nonviolenza, di mediazione, alla perizia militare; renderle così numerose da costituire un tappeto blu fra i contendenti, non solo berretti blu; al 50 per cento donne, e poi infermieri/e, medici, consegne alimentari; aggiungere elementi umanitari alla Responsabilità di Proteggere (R2P). però tutte queste competenze devono essere insegnate e addestrate e imparate, non sono innate.

Ora, un secondo sguardo alla formula in considerazione di quanto sopra.

La pace si basa su rapporti equi, relativamente orizzontali. Un esercito, tradizionalmente verticale, sa essere bravo in questo? La domanda sottovaluta l’enorme massa di cooperazione orizzontale militare; fra alleati, fra settori delle varie forze, fra comandanti allo stesso livello, fra la truppa ordinaria; in crisi reale fra tutti loro.

La pace si basa sull’empatia, la comprensione profonda di tute le parti. SunTzu ne faceva un elemento basilare della mentalità militare; la novità sarebbe la ricerca dei punti di forza, del buono, anziché delle debolezze, del cattivo, negli altri – e viceversa per sé per sé stessi. Molto simile.

La pace si basa sulla riconciliazione, sullo sgombrare il passato, sul costruire un futuro. L’esperienza recente indica che i veterani su ambo i versanti sono meglio al riguardo che i politici, condividendo come appariva dall’altro lato, mettendo in discussione la saggezza della guerra, Avanti, veterani!

La pace si basa sull’identificazione del conflitto soggiacente, sulla ricerca di soluzioni anziché l’affrontare, aggredire l’altro lato in una ricerca rabbiosa di vittoria. Orientamento alle soluzioni anziché alla vittoria, che peraltro c’è comunque: della pace sulla guerra. I militari di tutti i versanti potrebbero impegnarsi nel dialogo sui problemi in una ricerca congiunta di soluzioni anziché in incontri violenti. Il nemico può non essere l’altro lato bensì l’idea di un nemico. Ci sono divari, ma non insuperabili. È necessaria dedizione, oltre a competenze e conoscenza, formazione – ben nota ai militari.

L’ONU ha aperto alla possibilità che la stessa persona indossi due berretti: uno blu dell’ONU, e l’elmetto del proprio esercito. Generali: siamo per strada.

da qui

Redazione
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2 commenti

  • alberto campedelli

    Solo una annotazione: la violenza e le guerre sono promossi da individui che al massimo arrivano a 40 anni. Dopo viene naturale perseguire la pace in una società non violenta che cerchi di armonizzare e far convivere le differenze. Prima c’è l’illusione che la guerra possa servire a qualcosa. Ma questo la storia ci dimostra che è impossibile. Io ho 71 anni e ne ho viste ditutti i colori, ma quello che dovrebbe prevalere è l’amore, fra individui e fra le nazioni. Utopia? Forse ma la speranza è l’ultima a morire……! Un abbraccio virtuale Alberto

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