Effetti collaterali e amori perduti

Pensieri sopraggiunti dopo la lettura del libro “Effetti collaterali. Storie di resistenza quotidiana”, raccolta di racconti scritti da Leonardo Tancredi e pubblicati da Pendragon (Bologna, 2023)

di Gianluca Ricciato

È una ghost town sorda e angosciante la città in cui è ambientata la raccolta di racconti Effetti collaterali di Leonardo Tancredi, uscita a poca distanza temporale dalla fine della cosiddetta “era del Covid” (ammesso che quell’era sia mai finita o sia stata solo l’inizio di una nuova era, questa che viviamo appunto). La ghost town in questione mi ricorda molto la famosa canzone e il relativo videoclip degli Specials, quindi in questo caso la città sarebbe Londra, non a caso la stessa immaginata dall’inventore del Grande Fratello (il libro, non il format televisivo che ne ha distrutto il senso e lo ha regalato al capitale): cioè l’apocalisse orwelliana tanto evocata in questi anni.

Invece la città è Bologna, città adottiva dell’autore Tancredi, generato nella Puglia del Nord ma ormai insediato nell’Emilia da tempo, e Bologna era anche la mia città fino a un po’ di anni fa. La riconosco nei dettagli delle ambientazioni di Effetti collaterali ma non solo; la riconosco in un filo costante di atmosfera sensoriale che pervade il testo; e infine in una serie di umanità varia che un po’ mi manca e un po’ è il motivo per cui ad un certo punto decisi che ne avevo abbastanza. Della normalità di autisti e autiste dell’Atc (ora Tper), di Coop e Ipercoop come luoghi della nuova socialità, di tossicità e alienazione legali e illegali diffuse e inarrestabili, che mi sembravano aver trasformato la città dei miei sogni in un’immensa fiction del progresso della sinistra liberal complice primaria dell’economia globale, ma felice di abbeverarsi ancora ad una tradizione di sinistra vera, quella colpita e affondata ormai da decenni.

Questo per dire che sì, è vero, i personaggi di questi cinque racconti sono costretti dal “maledetto virus” (e dalla gestione della pandemia, aggiungo io e non loro) a dismettere desideri e bisogni in corso, ma i loro mali, i loro problemi e anche i loro desideri affondano le radici ben prima dell’arrivo del maledetto virus. Non so se Tancredi abbia voluto coscientemente descrivere questo ma a me sembra abbastanza chiaro. Nei cinque racconti tutto questo è quasi invisibile, ma secondo me è solo sottotraccia. In evidenza ci sono invece la coppia di anziani Renato e Mirella che fanno le follie per vedersi nel lockdown, la coppia di giovani Lucia e Lucio che scoppiano nel lockdown, il tenero Ibrahim vestito con la divisa della sicurezza fuori dal supermercato, la diabolica Melissa in cerca di una dose (che poi è la mia preferita ovviamente): sono loro che si prendono la scena e non la mollano mai, fino alla fine, perché le loro storie sono intrecciate in tutti e cinque i racconti.

Non ci sono quasi per nulla narrazioni sul covid in questi racconti, ma narrazioni nel covid, che è meglio in fondo, perché è letteratura. Si mostrano miserie e desideri, si mostrano bene, con una scrittura precisa e piacevole anche quando gli argomenti si fanno complessi o scottanti. Non trovo forme di consolazione in questi personaggi, che tutto sommato sono per qualche motivo tutti reietti della società, pur non essendo tutti ufficialmente borderline (ma forse perché siamo tutte e tutti ormai reietti di questa società?). La scena in cui Lucio sviene in una rotonda e si ridesta in mezzo alle erbacce, dicendosi ironicamente “La natura che si riprende lo spazio, eccola. E non mi vuole tra i piedi”, mi sembra emblematica.

Però c’è l’amore, e questo in fondo è il motivo di fondo: questi sono racconti d’amore, perduti e ritrovati, anche se più perduti forse. La voglia di amore è il motivo per cui questi personaggi stanno ancora lì aggrappati ai cornicioni delle Due Torri e non se ne sono ancora scappati su un altro pianeta. E se acquieto il mio lato critico li riconosco, l’amore di Bologna e la Bologna dell’amore, l’amore che è anche politica e che mi ha cullato per tanti anni ed era quello il motivo per cui si stava lì. Perché nonostante tutto ci batteva il cuore, e ci batte ancora perché Bologna ci ha insegnato a vivere seguendo le emozioni, i desideri e gli ideali, nonostante tutto. E allora non sarà un libro consolatorio né positivo, ma le storie d’amore di Effetti collaterali sono la voglia di vivere e la salvezza dei suoi personaggi in una Bologna agonizzante ma ancora viva. E anche solo per questo varrebbe la pena di leggerlo, perché sono storie avvincenti che forse meriterebbero più visibilità di quella che hanno avuto finora. Ma magari questa è stata solo la prima esperienza ufficiale di scrittura narrativa del Tancredi.

Per finire. Mi sembrano incredibilmente appropriati a questi racconti i versi di una delle ultime canzoni scritte dal cantautore bolognese Claudio Lolli, prima di lasciarci. La canzone si chiama Il grande freddo, i versi sono questi:

E quanto amore sprecato negli autobus
Tra gente che potrebbe volersi bene
Perché siamo tutti umani e mortali
Nella natura e nelle sue catene

E quanto amore perduto negli autobus
In questo circo di gente diversa
Per cui la vita è soltanto una lotta
Ma è troppo spesso una battaglia persa
Quanto amore abbandonato negli autobus
Da questi uomini multicolori
Rinchiusi sempre nelle loro celle
Senza sapere cosa c’è là fuori

Gianluca Ricciato

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