Egitto, la nostra rivoluzione continua
Tratto dal programma di Amy Goodman, “Democracy Now!” del 28 novembre 2011. E’ una parte della più ampia intervista con la giornalista Mona Eltahawy. La traduzione e l’adattamento sono di Maria G. Di Rienzo.
AMY GOODMAN: Abbiamo con noi la giornalista egiziana-statunitense Mona Eltahawy. E’ stata arrestata dalle forze di sicurezza, mercoledì scorso, nei pressi della Piazza Tahrir a Il Cairo. E’ stata portata al ministero degli Interni e trattenuta per 12 ore, nel corso delle quali è stata brutalmente picchiata ed assalita sessualmente. Mentre era prigioniera è riuscita a mandare un messaggio su Tweeter: “Picchiata arrestata nel ministero degli Interni”. Mona Eltahawy è appena tornata da Il Cairo la notte scorsa e siamo lieti che sia almeno in condizione di stare con noi in studio. Tuttavia, hai gesso su tutte e due le braccia, Mona. Benvenuta a “Democracy Now!“. Dicci esattamente quel che è successo.
MONA ELTAHAWY: Grazie per avermi voluto qui, Amy. E’ stato mercoledì notte, quando mi sono diretta con un amico attivista verso la strada Mohammed Mahmud, che era il luogo in cui i dimostranti e le forze di sicurezza continuavano a scontrarsi. Non appena siamo arrivati là, hanno cominciato a sparare. Per cui siamo corsi al coperto in quella che credevamo una zona sicura. Ma abbiamo di colpo capito che eravamo intrappolati dagli agenti governativi da quel lato della barriera. Ci hanno trattenuti fino a che non è arrivata la polizia antisommossa, che ha portato via il mio amico e circondato me. Ce n’erano quattro o cinque ed hanno semplicemente cominciato a picchiarmi con i loro manganelli. Sono bastoni molto grossi e questi poliziotti sono noti per la loro brutalità.
Ho tentato di proteggermi con le braccia, per questo mi hanno rotto il braccio qui e la mano qui. Poi mi hanno trascinata nella “terra di nessuno”, la zona fra i dimostranti e le forze dell’ordine, e là hanno cominciato ad assalirmi sessualmente. Mettevano le mani dappertutto, sui seni, in mezzo alle gambe. Ho perso il conto del numero di mani che hanno tentato di infilarsi nei miei jeans mentre continuavo ad essere picchiata.
Mi hanno strappato i capelli. Mi hanno chiamata puttana e figlia di puttana. E mi hanno trascinata sino al Ministero degli Interni, dove gli assalti sono continuati sino a che un militare non ha detto ai poliziotti di portarmi dentro. Là sono rimasta circa sei ore, con il pretesto che la mia identità doveva essere verificata. Ma non ci si mette sei ore ad identificare una persona. Poi sono stata consegnata all’intelligence militare, che mi ha tenuta bendata per circa cinque ore: sempre perché dovevano verificare la mia identità.
Guardando indietro, ora, penso che quello che è in effetti accaduto, quello che credo sia accaduto, è che quando hanno guardato i miei files al Ministero degli Interni si sono accorti che, come molti altri giornalisti in Egitto, ne avevo parecchi. Ed hanno scoperto che stavano trattenendo una giornalista che aveva scritto assai contro il precedente regime. Avevo esposto un mucchio di violazioni dei diritti umani. La mia posizione sulla rivoluzione è nota. Perciò, penso che stessero cercando di capire, durante le 12 ore, se ero più nociva in cattività o libera. E nonostante il dolore fosse terribile, non mi hanno fornito trattamento medico. Comunque, hanno sbagliato i loro conti, perché non appena mi hanno rilasciata, io ho cominciato la campagna per svergognarli ed esporre al pubblico le loro azioni.
AMY GOODMAN: Spiegaci esattamente chi sono.
MONA ELTAHAWY: Quelli che mi hanno picchiata e molestata sono i poliziotti antisommossa: dei coscritti, di base. Si potrebbe definirli il grado più basso dei soldati del Ministero degli Interni, e sono costoro ad essere in “prima linea” durante le proteste. Praticamente non hanno freni: il Ministero degli Interni lascia che si scatenino sui dimostranti perché sono come automi, non sanno far altro che picchiare. E con le donne… La violenza sessuale contro le donne è una cosa importante, qui, perché fu il regime di Mubarak a cominciare quest’orrenda politica del prendere a bersaglio le attiviste e le giornaliste: volevano che ci vergognassimo, volevano che stessimo zitte. Cominciò nel 2005. Ma l’esercito, ora… Mubarak non è più al potere. E’ l’esercito, il Supremo consiglio delle forze armate. Anche loro usano la violenza sessuale: nel marzo scorso almeno 17 attiviste sono state sottoposte ai cosiddetti “test di verginità”, che sono aggressioni sessuali. E adesso eccoci di nuovi. Chi è in carico dell’Egitto? E’ la giunta militare. Perciò la giunta è responsabile di quello che il Ministero degli Interni e la polizia fanno. Sperimentiamo la stessa violenza che abbiamo sperimento sotto Mubarak, a volte persino peggiore. Per cui, alla fine della giornata ti guardi indietro e dici: Abbiamo cominciato questa rivoluzione in gennaio, fra le altre cose, anche contro la brutalità poliziesca, e questa brutalità continua. Il che, a me, indica che il Supremo consiglio delle forze armate ha fallito nel guidare l’Egitto e deve fare immediatamente un passo indietro. E questo è esattamente ciò che i dimostranti a Piazza Tahrir stanno chiedendo.
AMY GOODMAN: Parlaci di questo. Durante il fine settimana abbiamo seguito i reportage di Sharif Abdel Kouddous. Un gran numero di persone ferite ed uccise.
MONA ELTAHAWY: E’ orripilante. Almeno 40 persone uccise e migliaia di feriti. Io sono solo una di quelle migliaia. Di moltissimi altri egiziani non saprete nulla. Per cui, il mio gesso è solo un simbolo di quella violenza. E’ cominciato tutto con una dimostrazione pacifica contro l’espansione della legge marziale. L’esercito e la polizia hanno invaso Piazza Tahrir ed hanno tentato di disperderla con la violenza. Hanno ucciso diverse persone, hanno bruciato le tende. Ed è stato in reazione a ciò che era accaduto in Piazza Tahrir che i dimostranti sono andati sulla strada Muhammad Mahmud, dove io sono stata arrestata, perché quella è la strada da cui i poliziotti antisommossa vengono, partendo dal Ministero degli Interni. Il sadismo… E’ proprio sadismo, Amy. I gruppi pro diritti umani hanno documentato che i poliziotti miravano deliberatamente alle teste, cercando di centrare gli occhi. Molti attivisti hanno perso un occhio o entrambi.
AMY GOODMAN: Chi controlla questi agenti?
MONA ELTAHAWY: Si suppone che sia il Supremo consiglio delle forze armate, alla cui testa sta il maresciallo Mohamed Hussein Tantawi. Era il ministro della Difesa di Mubarak. Ora è il capo del Supremo consiglio. Io lo chiamo il Supremo consiglio dei Mubarak, perché in effetti abbiamo rimpiazzato un Mubarak con 18 Mubarak. Erano tutti uomini di Mubarak. Sono saliti di grado nell’esercito di Mubarak. E il maresciallo era il suo ex ministro. Mubarak ha 83 anni, quest’uomo ne ha 81. Come ha detto un’attivista in Piazza Tahrir, è più vecchio di suo nonno.
E comunque dovevano lasciare il potere ai civili in Egitto entro lo scorso settembre. Si sono definiti i guardiani della rivoluzione perché non hanno sparato, perché non hanno aperto il fuoco sugli egiziani durante i 18 giorni. Ma arrestavano, e torturavano, e facevano i “test di verginità” alle donne. Noi abbiamo questo proverbio, in Egitto, che dice che l’esercito e il popolo sono una sola mano. Ora io dico a tutti che a me la mano l’hanno rotta, e che hanno rotto le mani di tanti altri egiziani, e che quella relazione si è conclusa. Sempre di più la gente comune, persino quelli che non sono stati coinvolti nella rivoluzione, guardando alla violenza che esercito e polizia scatenano sulle persone stanno capendo che questi non sono i guardiani della rivoluzione, ma sono quelli che stanno tentando di scippare la nostra rivoluzione da noi.
AMY GOODMAN: Quali sono le richieste delle persone che protestano in Piazza Tahrir?
MONA ELTAHAWY: Sono sempre le stesse, quelle che vengono fatte dal 25 gennaio: una leadership civile per l’Egitto, la fine della violenza di stato e della brutalità contro i dimostranti, ed anche la giustizia per i morti degli iniziali 18 giorni. A cui si aggiunge la giustizia per le famiglie che hanno perso persone amate da allora ad oggi. Nessuno è stato processato per aver sparato e ucciso durante i 18 giorni in cui ci siamo liberati da Mubarak. E si chiede anche la fine dei processi militari. Fino ad ora 12.000 persone, civili, hanno dovuto presentarsi in tribunali militari per rispondere di varie accuse. I civili non dovrebbero essere giudicati da tribunali militari. Quindi, c’è una serie di richieste molto chiare. La gente ha fame di ricostruire questo paese. E’ questo che mi dà speranza.
AMY GOODMAN: E’ difficile sentirti parlare di speranza con le braccia ingessate e le dita blu. Perché hai speranza?
MONA ELTAHAWY: Ho speranza perché le persone che mi hanno fatto questo non sono l’Egitto. Le persone che mi hanno fatto questo sono quella parte di Egitto, o meglio il gruppo che ha occupato l’Egitto per decenni, di cui stiamo tentando di liberarci. Noi stiamo continuando la nostra rivoluzione. Non permetteremo loro di rubarcela. E sono ottimista perché tanti egiziani questo gesso l’hanno firmato. Così tanta gente in Piazza Tahrir mi ha baciata in fronte, mi ha abbracciata, e mi ha detto: “Dovranno rispondere di quel che hanno fatto” ed anche “Ci riprenderemo l’Egitto che ci hanno scippato”.
Sono qui con così tanti messaggi di amore e sostegno da Piazza Tahrir, che penso che lo spirito della Piazza farà guarire le mie braccia più velocemente. Questo è per l’Egitto. Voglio dire: gente ha perso occhi, gente è stata uccisa, gente ha perso persone care. Ciò che è accaduto a me è minuscolo, al confronto. Ma io ho una voce nei media che altri non hanno, perciò voglio usare la mia voce per far sapere al mondo che la nostra rivoluzione continua.