“Ehi, ma è l’America che brucia”: considerazioni…

sulla fantascienza di John Brunner fra apocalisse ed ecologia

di Fabrizio «Astrofilosofo» Melodia  

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.  Siamo dentro «Tutti a Zanzibar», romanzo-choc (del 1968) di John Brunner.

Il mio incontro con questo geniaccio incompreso della fantascienza avvenne quando mi scontrai con un suo volume mentre stavo leggendo a sbafo un Arthur C. Clarke («Incontro con Rama»). Devo dire che Clarke non mi prendeva, troppo legnoso per i miei gusti di giovincello liceale, ma quando per errore la mia mano toccò quel tomo che mi cadde sulla spalla, lanciai un paio di sane imprecazioni che si rivelarono mantra profetici. Lo raccolsi con stizza, leggendo distrattamente il titolo, «Tutti a Zanzibar». E che era, fantascienza turistica? Oppure fantasy folle? O che altro? Lessi il nome dell’autore, John Brunner: mai sentito. Inglese, nato a Preston Crowmarsh il 24 settembre 1934 e defunto a Glasgow il 26 agosto 1995.

Iniziau a leggere e saltando da una pagina all’altra i miei occhi capitarono sul brano che ho sopra riportato. Il mio sornione e mefistofelefico libraio Giampaolo, già traduttore di gran parte della saga di Dune, mi guardò con il sorriso di chi la sa lunga, mi conosceva ormai da parecchio tempo e sapeva che quando mi brillavano gli occhi… era cosa fatta, la curiosità aveva raggiunto la modalità ON. «Non ti mettere mica a leggere Brunner, guarda che non è facile, è stato più volte paragonato a James Joyce per quanto riguarda la fantascienza» mi disse, con occhi da gatto che ha mangiato topo e formaggio insieme.

«Guarda che ho letto e studiato Joyce molto bene, ho mal digerito l’Ulisse ma ho adorato i dublinesi… lo prendo» gli risposi.

Non me ne pentii. «Tutti a Zanzibar», scritto nel 1968, è una delle opere che rimangono nell’empireo della fantascienza, pietre miliari non solo del genere, ma della letteratura: romanzo politico, di lotta e denuncia.

Brunner sostiene di aver tentato di raffigurare le conseguenze non solo sociali, ma anche psicologiche, prodotte dalla sovrappopolazione. La pressione demografica, lungi dall’essere analizzata in maniera ingegneristica, è osservata da particolari angolazioni, che consentono di cogliere aspetti inediti non solo sulla complessità di alcuni fenomeni sociali, ma anche sulla precaria condizione dell’essere umano. Lo stesso scrittore – nella prefazione alla edizione italiana del romanzo – dice: «poiché non ho mai assistito a una lezione di scienze in vita mia, posso forse considerarmi, in questo senso, un precursore della attuale tendenza della science-fiction, in cui la maggior parte di scrittori di talento attivi nel campo, proviene dalle discipline letterarie e artistiche e dalle scienze umane» come sottolinea Erica Venera Sapienza nella sua bellissima e ricca tesi di laurea dal titolo «Fantascienza e società nella narrativa di John Brunner», discussa presso l’università di Catania.

Un’analisi particolareggiata, che accosta diversi punti di vista e piani di lettura, spesso con uno stile sincopato e spezzettato, memore della lezione di Joyce: si possono trovare brani simili al flusso di coscienza usato per rappresentare il murmure di pensieri di Molly Bloom. Brunner accosta e mescola spezzoni di giornale, di telegiornale, radio e televisione, rappresentata già nella sua crudeltà. Un vero e proprio pastiche letterario che rende questa opera un’autentica estrapolazione concreta di denunci.

Protagonisti (se così si può definirli, tanto appaiono dispersi nel mare d’ informazioni della società moderna) sono uno studente schiacciato dalla banalità della realtà quotidiana e un esecutore dinamico preoccupato solo della propria carriera nell’azienda in cui lavora.

Entrambi comprenderanno maggiormente le contraddizioni che lacerano la società moderna, giungendo a un grado d’illuminazione che comunque non garantisce il miglioramento dell’uomo, dato che Brunner conclude il romanzo con l’affidarsi totale della salvezza umana a un computer senziente, citazione forse della celebre immagine finale del libro «Così parlò Zarathustra» del filosofo Friedrich W. Nietzsche, quando le persone – non comprendendo la voce d’incitamento di Zarathustra a essere il senso della Terra, ad assumersi in pieno il peso e la gioia della libertà – s’inchinano nuovamente dinanzi a un asino, in una ricerca disperata di un Dio che mai troveranno.

Rimasto allibito dalla lettura di «Tutti a Zanzibar», tornai a cercare altro materiale: Giampolo era pronto e mi fornì quello di cui avevo bisogno. Feci conoscenza del romanzo «L’orbita spezzata», pubblicato nel 1969, tremenda e precisa analisi sociologica su violenza e razzismo. La vicenda è ambientata nel 2014 negli Stati Uniti d’America, una società corrotta e paranoica, devastata dal consumismo, con una miscela esplosiva per quanto riguarda l’odio “razziale”. Mattew Flamen, un famoso giornalista alle dipendenze della rete televisiva Holocosmic, tenta di denunciare le magagne del potere seguendo una duplice pista di indagine. Cerca di smascherare sia le astute manovre dei Gottshalk, il più grande cartello industriale nel campo degli armamenti, sia le misteriose terapie impiegate dal dottor Mogshack presso l’ospedale per malati mentali Ginsberg. All’interno di quella clinica si trovano reclusi, senza alcun esito positivo, Celia Flamen, moglie del giornalista, e un paziente “di colore”, Harry Madison. Quest’ultimo, pur essendo dotato di un aspetto subnormale, possiede una mente superiore alla norma, un talento ineguagliabile per gli elaboratori elettronici e un fisico apparentemente invulnerabile. Queste vicende si intersecano con quelle di Lyla Clay, una giovane donna dalle facoltà psichiche particolarmente sviluppate. Secondo l’opinione corrente, Lyla Clay è una “pitonessa” ovvero un essere umano dotato di eccezionale empatia, in grado, attraverso l’ingestione di speciali allucinogeni, di emettere oracoli. Dopo essere stata ingaggiata dall’ospedale Ginsberg per tentare un esperimento terapeutico nei confronti dei pazienti ivi ricoverati, Lyla si ritrova sola e smarrita per la morte del suo compagno-impresario ucciso durante una sommossa popolare di “neri”. Altre figure di spicco sono Pedro Diablo, giornalista “di colore” impegnato nelle sue trasmissioni a prendere di mira le armi dei Gottshalk e il sociologo Xavier Conroy. Entrambi accomunati da un medesimo destino, si vedono costretti a lasciare le loro rispettive città in quanto scomodi al potere costituito. Il fulcro della storia si snoda intorno alle indagini condotte da Flamen sulla clinica Ginsberg e sulla lobby dei Gottshalk. La clinica, con le divisioni gerarchiche all’interno della propria struttura, riflette il radicato modello di stratificazione sociale statunitense. I computer dell’ospedale suddividono il genere umano in tre categorie: corpo medico, pazienti e pazienti potenziali. Inoltre, in quell’ ospedale «non erano solo la razza, il sesso, la religione e gli altri soliti confini sociali a formare barriere di isolamento ma anche le varie categorie di disturbi mentali». La la situazione più angosciante è quella per cui, dietro la tranquilla facciata della rispettabile clinica, si cela la lucida follia del suo responsabile che reputa necessario sottomettere alle sue cure l’intera popolazione degli Usa.

Il medesimo desiderio di potere, questa volta però economico, determina la sfrenata politica dei Gottshalk. Il loro obiettivo strategico è incrementare vertiginosamente le vendite di nuovi armamenti, in particolare il cosiddetto Sistema C. A tale scopo favoriscono l’ingresso negli Usa di un rivoluzionario “di colore” proveniente dalla Gran Bretagna, Morton Lenigo. Il piano prevede l’insorgere del panico fra la popolazione bianca per le eventuali sommosse organizzate dai neri e ciò indurrebbe automaticamente a un aumento della vendita delle armi di attacco e di difesa personale. Tuttavia in questo progetto, più che lo scopo di un mero guadagno, si annidano insidie molto pericolose. I Gottshalk in realtà mirano alla distruzione della civiltà in meno di vent’anni, secondo la logica aberrante che «l’ultima risposta paranoica a ciò che è percepito come mondo ostile è quella di distruggerlo prima che esso ti distrugga». Questa è l’estrema agghiacciante verità divulgata dal paziente “di colore” Madison. Egli rivela, altresì di non essere un individuo in carne e ossa bensì l’ultimo ritrovato della tecnologia Gottshalk, un vero e proprio robot.

Brunner analizza attentamente quello che può accadere quando la tecnologia sfugge al controllo umano, la qual cosa potrebbe persino essere intrinseca. Questo filo conduttore attraversa quasi tutta la fantascienza ma in Brunner assurge non tanto a metafora quanto a estrapolazione concreta e scientifica sul problema della tecnologia che assume in sè i valori del Mercato e del Sistema Monetario, assurgendo necessariamente a baluardo del capitalismo. L’essere umano è merce e la distruzione dell’ambiente è conseguenza della rinuncia alla libertà e figlia della venerazione del Dio Mercato con l’Unica Testa che Ragiona per Tutti.

Concludo con l’ultima lettura brunneriana di quel periodo, lo scioccante «Il gregge alza la testa», pubblicato nel 1972, che ci presenta una società devastata dal terribile e irreversibile inquinamento bio-chimico.

Il titolo è una citazione dal «Lycidas» del poeta inglese John Milton – «Il gregge alza la testa, ed è digiuno / nel vento respira una nebbia mefitica / marcio di dentro, colpito dal contagio» – con la quale Brunner conclude il romanzo.

La vicenda, ancora una volta, è ambientata negli Stati Uniti, non più però in un periodo futuro bensì in un presente “prossimo”, la metà degli anni 70. Lo scenario è terribile: l’acqua che scorre dai rubinetti uccide i neonati sotto i sei mesi e fa ammalare gli adulti, il cibo è adulterato, i mari inquinati, l’aria è talmente irrespirabile da costringere i cittadini all’uso di maschere con filtri speciali e infine i cieli sono bagnati da una pericolosa pioggia acida come ricorda Erica Venera Sapienza nella citata tesi di laurea.

Un vero e proprio incubo a occhi aperti, talmente possibile da essere pericolosamente vicina al reale. Basta ricordare i morti per esposizione ad agenti cancerogeni nell’ambiente di lavoro, le morti per avvelenamento da diossina (tra i quali molti neonati): tutto passato sotto silenzio perché è meglio non sapere, mai pensare che i padroni siano obbligati a investire sulla chimica pulita, loro devono guadagnare cifre vertiginose a spese della popolazione e poi lasciare a casa tutti i lavoratori, comunque condannati a morire.

In questo senso «Il gregge alza la testa» è un romanzo ottimistico, anche troppo. Il protagonista si chiama Train, un nome che rimanda al verbo “to train”, addestrare o educare. E’ uno studioso che raggiunge una certa celebrità grazie a un suo iniziale sostegno alle industrie inquinanti e ai governi garanti. Poi sopraggiunge in Train un ripensamento che lo conduce a rinnegare quel modello di vita per andare a vivere come un vagabondo, col falso nome di Fred Smith, nei bassifondi della città. Questa scelta consente a Train di ritrovare se stesso, di sentirsi finalmente libero e vitale. La sua esperienza genera numerosi adepti, i cosiddetti «trainiti». Il termine, coniato dagli organi di informazione, si riferisce a gruppi di studenti e radicali che, sebbene privi di una struttura organizzativa, costituiscono un movimento a difesa dellìambiente e contro le industrie produttrici di sostanze dannose.

La narrazione si colora di toni ancor più drammatici allorché alcune scorte avariate da un allucinogeno vengono inviate ai Paesi del terzo mondo. Questo incidente provocherà una forma gravissima di follia omicida in grado di propagarsi, a macchia d’olio, negli Usa con conseguenze letali e catastrofiche: dall’Europa vedranno levarsi nel cielo una densa e spessa colonna di fumo nero, comprendendo che è l’America a bruciare, in un’apoteosi di suicidio di massa.

Una dimostrazione scientifica attraverso l’uso del paradosso, sembra la tecnica usata da John Brunner in questo romanzo che chiude il ciclo dei suoi romanzi più impegnati. Un messaggio che non lascia fraintendimenti di sorta, una tragedia annunciata: la fantascienza scende nei bassifondi per tastare con mano la malattia che devasta dall’interno il corpo agonizzante del mondo, succhiato avidamente dai vampiri capitalistici.

Attivista di Greenpeace, insieme alla moglie Marjorie, John Brunner continuò strenuamente – anche nel mondo reale – la sua lotta contro il capitalismo e la distruzione dell’ambiente, della società e dell’uomo, da vero umanista fantascientifico quale era.

 

Redazione
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5 commenti

  • aggiungo che Brunner ha scritto anche romanzi storici… per il quale fu snobbato dai suoi fan della fantascienza… trattare tutto come scatole isolate non va bene… e questo Brunner ce lo dimostra per bene nei suoi scritti…
    è un modo di pensare consumistico… cambiamolo… vivremo sicuramente meglio…

    • Importante considerazione. E’ in questa vocazione un po’ autistica che la fantascienza vede contraddetti i suoi valori, le sue potenzialità, negata la sua propensione al pensare speculativo. Isolandosi dal resto del mondo la fantascienza rende inefficaci gran parte delle sue qualità.

  • Grandissimo Brunner: grazie a dibbì e all’astrofilosofo per averlo ricordato, nell’80° anniversario della nascita (1934-2014).

  • ho letto e riletto John Brunner nei miei anni passati; mi è venuta voglia di leggerlo di nuovo! grazie. Anche per avermi ricordato l’anniversario.

  • ho “Tutti a Zanzibar” a portata di mano, mi sa che lo metto sul comodino:)

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