Einstein, il primo marzo 2010 e l’orologio della Posse
Si racconta che Albert Einstein, in fuga dalla Germania nazista, finalmente arrivò alla frontiera con gli Stati Uniti. Si vide consegnare un modulo da compilare. Fra le domande lesse: «Razza». Non ci pensò molto Einstein e scrisse l’unica risposta possibile «umana».
Buongiorno a chi legge questo blog. Mancano poco più di 4 giorni al 1 marzo e vorrei partire da lì, dalla saggezza di Einstein. Sapendo che «è più difficile spezzare un pregiudizio che un atomo» come disse lui che di entrambi se ne intendeva. Ma che «solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero».
Ho visto in questi giorni molte pazze e molti folli – di razza umana – impegnati per il primo marzo, a spezzare pregiudizi, a raccontare verità nascoste. A organizzarsi. Ho visto ieri mattina, alla stazione di Imola, mentre con Lul distribuivo volantini per il primo marzo, facce ingrugnate o perplesse certo ma anche sorrisi e consensi. E poco dopo, nelle strade di Padova, ho visto in azione ragazze e ragazzi con striscioni che piovevano dal cielo, con maschere allegre, con volantini fatti a quiz. A ricordare che il primo marzo 2010 potrebbe riprendere un cammino di libertà.
Spero che il primo marzo vedrò-vedremo in questa orrenda Italia qualcosa cambiare. Sarà solo un inizio ma potrebbe essere un buon giorno da ricordare, da cui partire.
A chi si sta impegnando dedico qui sotto notizie, riflessioni, proposte di letture pubbliche: sono materiali molto eterogenei ma mi pare tutti di qualche utilità .Altre informazioni e indicazioni sono ovviamente su http://www.primomarzo2010.it e sui siti anrtirazzisti.
UNO
«Il tuo Cristo è ebreo,
la tua democrazia è greca,
la tua scrittura è latina,
i tuoi numeri sono arabi,
la tua auto è giapponese,
il tuo caffè brasiliano,
il tuo orologio è svizzero,
il tuo walkman è coreano,
la tua pizza è italiana,
la tua camicia è hawaiana,
le tue vacanze sono turche,
tunisine o marocchine.
Cittadino del mondo,
non rimproverare il tuo vicino
di essere straniero».
Sono versi variamente attribuiti (e diversamente declinati): forse all’origine c’è la canzone di un gruppo rap francese. Ma chiunque ne sia l’inventore o l’inventrice sono parole sagge.
DUE
«Corri che sparano»: un blues per i migranti di Rosarno e della terra. Parole di Giorgio Nardi, musica e performance di Andrea Giannoni
«Corri che sparano, corri forte più che puoi, non respirare , non guardarti intorno,
corri forte e basta.
Corri come Abebe, corri come il giaguaro della tua terra, non ti curare se lui é predatore e tu predato, corri .
Corri come i tuoi antenati degli altopiani, hai solo le scarpe di diverso, il terrore è il solito.
Non pregare, non hai tempo, e il padreterno oggi ha chiuso bottega.
C’è un sole forte in cielo, che disidrata
C’è un caldo arido nell’aria, che non perdona
C’è una nuova crudeltà in paese, che non dà tregua
Corri come hai sempre dovuto fare, via dalla guerra e dalla fame, lontano da un vicino che non ti riconosceva più,
per un posto su una zattera , per un sogno di riscatto.
E ora corri lontano dall’incubo, da questo buco nero, nero come i tuoi spaventi, come la tua pelle nera, come la tua rabbia nera, come la tua fame nera
Scappa, che sparano.
Se tagli il traguardo avrai in premio aria da respirare, ossigeno per inebriarti
Se cadi, sarai trofeo. E ti scaveranno il petto per guardare nelle vene, loro pensano che non hai sangue rosso, ma liquami di merda.
Dai corri, lasciali con la curiosità in mezzo ai denti.
No, non puoi prendere le tue cose, corri. La foto di tua madre con tuo padre il giorno delle nozze e quella della sorellina sulle tue spalle marciranno in una balla di rifiuti , le adidas nuove buone per la festa bruceranno in una discarica, e il bongo di tuo nonno ha finito di danzare.
E’ un lusso anche ricordare, e tu non te lo puoi permettere.
C’è un sole che scortica la schiena che sembra d’essere a casa quando mancava l’acqua, prima dell’ecatombe, ci fosse almeno freddo e nebbia, neve magari, ma questo sole ……e questa terra, come la tua.
Tutti quei chilometri di sofferenza, tutto quel mare, per crepare qui che sembra casa.
Corri che sparano.
Figliolo, sei giovane, non sei ancora piegato e il fisico integro ti sorregge, ma prima di un morto che cammina cerca di restare un vivo che corre.
C’è una persecuzione antica che morde il culo
Un sudore freddo che non asciuga
Un’ignoranza nuova che non ascolta
E tu corri e trattieni il respiro e serra i pugni e tieni duro,
non è questo il tempo di bestemmie nè di urla, nessuna rabbia ti aiuterà,
il tuo è il tempo della fuga
e allora scappa, vola per questi campi a cui affidasti braccia e sogni prima che ti restituissero indigenza e incubi, tra colture di pomodori e sangue, di agrumi e odio, seminati a rancore, raccolti a rassegnazione.
Fatti vento sotto il cielo e serpente tra i filari e sii rapido e silenzioso e corri, corri e corri ancora.
C’è un caldo che soffoca
Un rumore che assorda
Un padrone che impreca
Scappa che sparano, pallini o pallettoni male diverso, stessa umiliazione.
E sempre quella è, che noi non conosciamo ma i nostri avi si, ma le memorie oggi non ti saranno amiche.
Hai poco tempo ancora prima che fissi l’alzo, lo allinei sulla tacca, traguardi sul mirino e poi ti becchi in pieno.
Corri che sparano
E se tirano basso, tu svicola e salta.
Saltella come Alì il grande quando gli gridavano Ali Buma Ye, Ali Buma Ye, la sua danza di guerra ti sia di auspicio e scudo, che quando gli schiavi s’arrabbiano sanno essere duri.
C’è aria di ossessione
C’è odore di violenza
C’è un nuovo ballo in giro, si chiama “dagli al negro”.
Corri che sparano.
Questo gioco ignorante che non volevi giocare ti toccherà ingoiarlo fino alla fine, confida solo nella tua destrezza e spera nella loro incapacità
e corri , corri forte,
corri che sparano».
Sperando che il tempo della fuga e dell’umiliazione stia per finire e che inizi l’ora della ribellione e della dignità.
TRE
Queste sono le riflessioni e le perplessità di Turi (cioè Salvatore Palidda) da sempre impegnato nell’antirazzismo.
«Cari amici, permettetemi di esprimere il mio pieno accordo con l’adesione alla mobilitazione del 1 marzo. Aggiungo: lanciare l’idea di uno sciopero degli immigrati è una cosa giusta ma è evidente che possa avere un significato simbolico … E’vero che la grande mobilitazione degli immigrati negli Stati Uniti è stata una tappa fondamentale come tutte le mobilitazioni storiche dei subalterni dal XIX secolo ossia momenti per infine “alzare la testa” ed è importante che in Italia dopo più di 35 anni di immigrazione straniera gli immigrati comincino a tentare di emanciparsi ma è evidente che purtroppo non si possa parlare di vero e proprio sciopero … Sappiamo tutti che la maggioranza degli immigrati vive ancora schiacciata in condizioni di quasi neo-schiavitù .
Ma c’è anche una questione da precisare : l’emancipazione degli immigrati non potrà mai avvenire se non è anche emancipazione di tutti gli italiani che subiscono il dominio violento nel mondo delle economie sommerse
A parte le bestialità di qualche intellettualino che pretende che gli immigrati facciano la rivoluzione al posto degli italiani …
sebbene sia sin troppo ovvio che la condizione dello straniero è senza comune misura la peggiore, ancor più se clandestino, ma non dimentichiamo che l’INCERTEZZA DELLO STATO DI DIRITTO che in Italia è peggiore che altrove rende vulnerabile anche qualsiasi regolare; nè va dimenticato che la schiavizzazione dell’immigrato permette anche quella di circa sette milioni di italiani che oscillano fra precariato e nero totale (con corollario di molestie o violenze sessuali per le donne e anche bambini)
Allora è evidente che ciò che ancora si stenta a costruire è una mobilitazione collettiva di immigrati e italiani vittime delle economie sommerse gonfiate sempre più dal trionfo liberista. Ma non possiamo ignorare che questa situazione si è aggravata per l’assenza di risposte efficaci da parte della sinistra e dei sindacati che solo tardivamente e marginalmente si interessano ai precari e agli immigrati mentre lasciano al caritatevolismo cattolico se non alle associazioni ambigue … l’elemosina o l’aiuto estremo (quasi sempre per una piccola minoranza e spesso solo per i cattolici).
Sappiamo che circa 850.000 immigrati sono iscritti ai diversi sindacati, una cifra enorme rispetto agli italiani sindacalizzati, ma sappiamo anche che a questa affiliazione sulla carta corrisponde una partecipazione assai scarsa sebbene qualche sindacato abbia cercato di promuoverla.
E’ forse ora che i sindacati si impegnino di più per promuovere seriamente in ogni pratica quotidiana la partecipazione degli immigrati e l’aggregazione di tutti i lavoratori schiacciati negli impieghi precari, semi-neri e neri.
Forse l’unica possibilità è rilanciare quotidianamente l’aggregazione a livello territoriale prima che sui luoghi di lavoro (dove assai spesso è impossibile) : perché non rifare in ogni quartiere una sorta di camera del lavoro territoriale? (magari evitando divisioni fra sigle)
Un abbraccio da Turi Palidda».
QUATTRO
E mentre ci si prepara per un primo marzo di lotta che, a livello simbolico ma anche organizzativo, possa ri-metterci in cammino non è il caso di scordarci delle provocazioni quotidiane contro immigrate e immigratei. Ma anche contro chi è solidale, come si racconta in questo appello.
In Italia non esiste ancora il “reato di solidarietà”. Giù le mani da padre Carlo D’Antoni
«Quasi due settimane sono passate da quel 9 febbraio in cui padre Carlo D’Antoni, parroco della chiesa di Bosco Minniti (Siracusa) insieme ad altre otto persone è stato posto agli arresti domiciliari, accusato dal Gip del tribunale di Catania di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’illecita permanenza, falso ideologico in atto pubblico e false dichiarazioni a Pubblico ufficiale. E’ a nostro parere un pesante segnale che viene inviato a tutti coloro che – come padre Carlo fa in prima persona da anni – continuano concretamente a fornire assistenza e accoglienza a quei migranti che hanno come unica colpa il non avere un documento o il non averlo ancora perfettamente a posto. Quanti sanno che per fare domanda di asilo il richiedente deve eleggere domicilio? Ma come può una persona appena arrivata, che non conosce nessuno, che non parla la lingua, dimostrare di avere un alloggio a disposizione? Ecco allora che centri di accoglienza, centri sociali e parrocchie come quella di Boscominniti si attivano per offrire un tetto, un pasto caldo e una dichiarazione di ospitalità, primo passo indispensabile per poter accedere alla procedura. Passato il primo periodo, la persona prova a rendersi autonoma, e magari si sposta per cercare lavoro: mantiene però un contatto con la parrocchia, con il centro che l’ha accolto e ospitato, punto di riferimento sul territorio, che consente di diminuire il fenomeno dell’irreperibilità dei richiedenti asilo.
Ecco quindi i pericolosi reati di cui è indagato padre Carlo, e che lo costringono ai domiciliari da due settimane, come un pericoloso criminale: aver dichiarato l’ospitalità per chi – in fuga da guerre e persecuzioni – ha trovato nella parrocchia di Boscominniti un rifugio, e aver rifocillato e accolto molti di loro, aiutandoli a districarsi nelle pratiche burocratiche.
Sappiamo che il soccorso e l’assistenza umanitaria senza scopo di lucro degli immigrati anche in situazioni di irregolarità non sono ancora reato in questo Paese, neppure dopo il pacchetto sicurezza. Chiediamo quindi che padre Carlo sia liberato, che la sua situazione sia chiarita al più presto e che possa tornare a svolgere la sua preziosa opera di solidarietà presso la sua parrocchia».
Prime adesioni: Annamaria Rivera (Università di Bari), Eugenio Melandri (Chiama l’Africa), Maria Immacolata Macioti (Università La Sapienza, Roma) Alessia Montuori (Senzaconfine), Iuri Carlucci (Ass. Azad-per la libertà del popolo kurdo), Shabir Mohamed (Ass. lavoratori pakistani in Italia), Sarah Di Giglio e Caroline Chamolt (Senzaconfine), Salvatore Palidda (Università di Genova), Nella Ginatempo, Vincenzo Miliucci, Confederazione Cobas.
Per adesioni: senzaconfine@libero.it. Anche io ho dato la mia adesione e invito chi visita questo blog ad aggiungere la sua.
Buon primo marzo in giallo.
Che ognuna e ognuno di noi segua il suggerimento dell’Onda Rossa Posse nel brano «Batti il tuo tempo»:
Rimetti le lancette
determina l’orario
cancella impossibile
dal tuo vocabolario.
Pubblicato sulla mia pagina di facebook e su quella del Comitato 1 marzo di Oristano.
Grazie.
Grazie di cuore, per il messaggio di ampio respiro e per i testi. Bisogna essere un po’ folli, sì, per mettersi in gamba solidaria: folli d’amore per l’umanità.
Un caro saluto,
Antoine Cassar