El Salvador: no hay guerra que dure cien años
di Maria Teresa Messidoro
“Non ci sono guerre che durino cent’anni”: così si intitola un bellissimo libro fotografico che documenta la guerra civile che ha insanguinato per dodici anni, dal 1980 al 1992, El Salvador.
Eppure, nel piccolo Paese salvadoregno, le strade della capitale e delle altre città continuano ad essere insanguinate, trasformando El Salvador in uno dei Paesi più violenti al mondo.
Fino a marzo 2012, si parlava di una media di 14 morti ammazzati al giorno, in uno stato grande come il Piemonte e con circa sei milioni di abitanti.
Da marzo, invece, si registrano “soltanto” 5 morti al giorno, cosa è successo di miracoloso ?
L’ondata di violenza è stata scatenata da anni dalla lotta tra le due principali bande giovanili, “las pandillas”, dette anche “maras”, bande importate dai quartieri popolari statunitensi, dove molti salvadoregni sono stati costretti ad emigrare illegalmente, per fame o per sottrarsi alla guerra civile; chi è stato obbligato a tornare in Salvador, ha purtroppo esportato un modello di vita basato sul sopruso, sul non rispetto della vita, sulla violenza verso tutti, incluse le donne, sull’uso spregiudicato dei sequestri e degli assassini per recuperare soldi.
I governi precedenti, in assenza di un adeguato progetto educato di prevenzione e di reinserimento di questi giovani nella società civile, hanno utilizzato misure repressive sempre più dure, senza nessun risultato, come dimostrano le case con le inferiate, interi quartieri svuotati all’ora del tramonto, bus e macchine incendiate quotidianamente.
L’attuale governo, il primo dopo la guerra guidato dal partito di sinistra FMLN, nato dalle forze guerrigliere presenti in Salvador, ha cercato – grazie anche alla mediazione della Chiesa Cattolica , della Chiesa Evangelica e di alcune organizzazioni della società civile – di trattare una tregua tra le bande, in cambio di un trattamento più umano per i dirigenti delle due bande, quasi tutti in carceri di massima sicurezza, possibilità di ricevere posta, visite dei familiari, nonché la previsione di corsi di formazione e di reinserimento graduale nella società dopo aver scontato le lunghe e dure pene previste.
Di fatto la tregua sta funzionando, “risparmiando” finora almeno 1200 morti, ma non si sa cosa succederà nei prossimi mesi, soprattutto se le imprese salvadoregne saranno disposte a coinvolgersi in progetti di reinserimento lavorativo di ex pandilleri e se le organizzazioni civili riusciranno effettivamente a diminuire il rischio per i giovani di essere attratti dalle bande.
Problema nel problema è la violenza contro le donne: il Movimento Salvadoregno de Mujeres, MSM, l’Organizzazione di Donne Salvadoregne per la Pace, ORMUSA, il Movimento di Donne Melida Anaya Montes, Las Melidas, l’Associazione di Donne per la dignità e la vita, Las Dignas, e lo stesso Istituto Governativo Salvadoregno per lo sviluppo della Donna, ISDEMU, non cessano di denunciare i casi di femminicidio: nei primi sei mesi del 2012 sono stati ancora registrati 231 assassini di donne, anche se nello stesso periodo dell’anno precedente se ne contavano 349, tutti compiuti con estrema crudeltà, contro persone comprese tra i 18 e i 60 anni di età.
La diminuzione deve essere imputata soprattutto alla tregua tra bande, perché troppo spesso le donne sono vittime delle vendette incrociate, trofei da esporre in questa guerra fratricida che non risparmia certamente i soggetti più deboli, soprattutto ragazzine anche quindicenni, costrette a vivere sulla strada per fuggire a situazioni familiari molto problematiche.
Un’educazione basata sui concetti di Responsabilità, Solidarietà, Equità, Uguaglianza, Diversità, Rispetto, Fiducia, Democrazia e Sorellanza, un’educazione per donne giovani ed adulte, ma anche un’educazione famigliare diversa che riesca a combattere il “machismo” ancora imperante: ecco il “reto”, il compito della società salvadoregna per i prossimi anni, prima che sia troppo tardi.