Elogio de «La lettura»
Un inserto esteticamente assai fruibile
di Gian Marco Martignoni
Storicamente gli inserti culturali sono il fiore all’occhiello delle testate giornalistiche che – nell’aspra contesa della non ampia fascia di lettori di più quotidiani del nostro Paese – dedicano loro una attenzione e una cura sempre più ricercate e addirittura sofisticate.
Da lettore de «il manifesto» sono un abituale acquirente del «Tuttolibri», edito il sabato con «La Stampa» torinese, come da sempre non perdo un appuntamento con l’austero inserto domenicale de «Il Sole 24 ore». Però, da quando è comparso in edicola mi sono affezionato anche a «La Lettura», l’ inserto domenicale de «Il Corriere della Sera», da qualche mese acquistabile separatamente al modico prezzo di euro 0,50.
Una bella novità, poiché con solo 25 euro all’anno è a disposizione un inserto esteticamente assai fruibile che a partire dalla prima pagina illustrata di volta in volta da un artista diverso (il tutto a cura dell’ottimo Gianluigi Colin) si presenta ultra ricco nelle sue 48 pagine dedicate a “Il dibattito delle idee”, “Nuovi Linguaggi”, “Arte”, “Inchieste” e “Racconti”. Quel che mi convince è la capacità di fornire interventi, recensioni, reportage, servizi fotografici e artistici, graphic novel di alto livello. Per il lettore appassionato c’è solo l’imbarazzo della scelta, che, come nel caso di domenica scorsa, non può che concentrarsi con piacere sull’ottimo pezzo di Carlo Vulpio «Napoli, lo sfratto della cultura».
Al centro dell’ articolo di Vulpio c’ è la figura di Gerardo Marotta, 89 anni, presidente dell’Istituto Studi Filosofici fondato a Napoli nel 1975 e la storia della sua prestigiosa biblioteca ove sono conservati ben trecentomila volumi preziosi e rari, ora depositati in scatoloni in varie sedi, giacché i finanziamenti inaugurati da Carlo Azeglio Ciampi sono stati brutalmente tagliati. Una vicenda che Ermanno Rea ha raccontato nell’interessante «Il caso Piegari» e che ha a che fare con gli appelli per l’Europa e per la Filosofia promossi dall’Istituto, «affinchè fosse l’homo philosophicus e non soltanto l’ homo economicus a decidere le sorti dell’Europa».