Enichem Ravenna: operai morti, padroni innocenti
di Vito Totire
Sentenza appello Enichem Ravenna: totalmente priva di fondamento. Cresce e si consolida lo “scudo penale” per i padroni?
La sentenza di appello non è una sentenza ma una sorta di amnistia. Se i padroni volevano l’amnistia però dovevano chiederla assumendosi la responsabilità di questa istanza (sulla quale ci saremmo comunque espressi negativamente).
Partendo dall’Ilva, passando per l’epidemia di Covid, il ceto politico sta prendendo sempre più dimestichezza con il tema dell’impunità per i padroni anche quando si parla di stragi oppure omicidi colposi plurimi (ampiamente oltre i trenta i morti accertati a Ravenna).
Nella vicenda amianto di Ravenna la depenalizzazione del reato di omicidio colposo plurimo sarebbe forse più “ergonomica” visto che argomentare, spiegare e portare prove inoppugnabili pare diventato inutile. Basta una teoria priva di fondamento scientifico per confondere le acque e indurre alcuni magistrati ad esigere, dalle vittime, prove “diaboliche” e impossibili. Fra le righe – ma non tanto – ci viene chiesto di dimostrare la sequenza cronologica della fase di induzione e delle numerose e successive fasi di progressione del tumore! Semplicemente assurdo! La certezza scientifica del fatto che il processo oncogenetico sia di lunghissima durata – avendo “bisogno” di tutte queste lente fasi – è fuori discussione.
Gli imputati con i loro avvocati (invece di invocare lo scudo penale) hanno dovuto scegliere una strada molto tortuosa tentando di riscrivere medicina, patogenesi e oncologia. Con risultati pessimi: il danno che stanno procurando alla verità, alla giustizia, alla comunità civile è enorme. Per un risultato, al momento, piccolo-piccolo: la “quasi assoluzione” degli imputati.
Ovviamente attenderemo le “motivazioni” per esprimere un parere più articolato, in attesa del RICORSO PER CASSAZIONE CHE CERTAMENTE PROPORREMO: ma si capisce che siamo su un terreno molto pericoloso. Chiediamo e auspichiamo che la Cassazione rinvii questa sentenza ad altro e nuovo collegio della corte d’appello di Bologna.
Siamo dispiaciuti per questa che consideriamo una battuta d’arresto. Fra le conseguenze: molti cittadini ne trarranno una profonda e comprensibile sfiducia nella magistratura.
Questo processo rende la idea di quanto sia facile negare il principio scritto pro-memoria sulle pareti dei tribunali: «la legge è uguale per tutti». La sentenza dimostra che ci sono giudici secondo i quali è sufficiente che emergano divergenze fra consulenti (difesa, accusa e parti civili) per dichiarare che «la comunità scientifica non è unanime» e che quindi, per questo, non si può accertare la responsabilità penale.
Considerato che la sentenza di primo grado aveva piedi di argilla (appunto l’aver scambiato per rilevanti «divergenze nella comunità scientifica» la mera riproposizione, da parte della difesa, di teorie infondate e paradossali) questo collegio ha una grave responsabilità: avere evitato di avviare una consulenza tecnica d’ufficio cioè aver fatto esattamente quello che la difesa ha chiesto facendo comprendere in tutti i modi – con “argomentazioni” pretestuose e irripetibili – di «non gradire» i consulenti scelti dal precedente collegio giudicante.
La difesa vorrebbe scegliere lei i consulenti e non farli decidere re ai giudici. Il nuovo collegio ha “tagliato la testa al toro” ritenendo di non avere bisogno di un consulenza tecnica d’ufficio. Un errore clamoroso. Già dal dispositivo (vedremo le motivazioni entro 90 giorni) la Corte evidenzia di aver aderito a teorie non solo assolutamente prive di fondamento scientifico, ma estremamente nocive per la sanità pubblica e per le politiche di prevenzione collettiva.
Infatti sostenere che nel processo di sviluppo del mesotelioma l’esposizione successiva alla “prima” è ininfluente, non solo è assolutamente sbagliato ma indurrebbe ad attenuare la prevenzione in tutti i casi in cui la “prima “ esposizione non si è potuta evitare. Pensiamo anche ai danni che questa nefasta “teoria” potrebbe causare alle popolazioni di Paesi che l’amianto non lo hanno ancora messo fuori uso.
Venendo al nocciolo di questa infondata decisione :
- LA SENTENZA NON E’ DI ASSOLUZIONE TOTALE IN QUANTO, COME IN PRIMO GRADO, VIENE CONFERMATA LA CONDANNA DI NUMEROSI IMPUTATI PER AVER CAUSATO UNA ASBESTOSI POLMONARE; è un punto della sentenza di primo grado che è stato appellato anche dagli imputati ma essi sono stati ricondannati;
- ORA CHI CONOSCE LA QUESTIONE AMIANTO SI CHIEDE: ma allora le condizioni di lavoro nel petrolchimico erano tali da poter indurre una asbestosi polmonare parenchimale? I giudici anche in appello dicono di sì! Per la prevenzione della asbestosi alcune agenzie internazionali hanno indicato, anni fa, come cautelativa l’esigenza di non superare una esposizione a 1000 fibre/litro d’aria per 25 anni! Non entriamo nel merito di queste “dosi” ma diciamo che si tratta di patologia universalmente riconosciuta come correlata eziologicamente ad esposizioni molto alte;
- Quello che le abituali capacità cognitive umane (di noi comuni mortali) non possono comprendere è come questo ambiente di lavoro “asbestosigeno” possa non aver causato patologie tumorali abestocorrelate che sono indotte da livelli di esposizione più bassi di quelli che possono causare asbestosi !
- La sentenza paradossalmente avrebbe avuto una minima coerenza interna se avesse deliberato l’assoluzione totale degli imputati;
- per giungere alla assoluzione per i mesoteliomi è stata messa in campo una spiegazione infondata ma ci torneremo sopra. Intanto la sentenza di appello non cita neppure le “motivazioni” delle assoluzioni per i lavoratori morti per tumore polmonare; a parte quanto già detto, si tratta di tumori che possono facilmente essere causati da esposizioni molto più basse di quelle che inducono asbestosi. Dobbiamo ricordare che nel polmone di una delle vittime colpito (anche) da tumore polmonare è stata rilevata la presenza di 900.000 fibre per grammo di tessuto secco: a sedici anni dalla uscita dalla fabbrica. Ma questo lavoratore non viene neanche citato nel dispositivo della sentenza, come non viene citata la moglie di un operaio colpita da un cosiddetto mesotelioma “paralavorativo” (lavoro domestico, lavaggio della tuta). Leggeremo le motivazioni.
- Dobbiamo anche ricordare che in una coorte di soggetti esposti si stimano corrispondere a ogni “caso” di mesotelioma da 1 a 3 o forse 5 o addirittura 10 (secondo alcune indagini) tumori polmonari; dove sia finita questa enormità di «tumori polmonari attesi» è questione che abbiamo posto nel dibattimento di primo grado e su cui torneremo in futuro, In Italia al percorso penale di questi casi arriva solo la punta dell’iceberg, anche se questo non evoca responsabilità dirette dei giudici,
- “Rimozioni” a parte, il perno della sentenza di appello ruota sulla assoluzione dalla accusa di aver causato i mesoteliomi. Tesi assurda sottolinea il nostro avvocato Gugliemo Giuliano.
- Le parti civili che rappresentiamo sostengono che con l’aumentare della dose cumulativa aumenta il rischio e l’incidenza della malattia; viceversa noi non abbiamo mai parlato di effetti della entità della dose cumulativa sulla riduzione del tempo di latenza. Per il semplice motivo che gli epidemiologi non hanno osservato un nesso inverso tra dose e latenza; dunque la assoluzione fonda sulla contestazione di una tesi, “sconosciuta” agli epidemiologi e introdotta dalla difesa!
- Questa sentenza di appello, se non fosse respinta dalla Cassazione, come auspichiamo, pretenderebbe di riscrivere da zero la eziologia del mesotelioma e annullerebbe l’esistenza dei mesoteliomi professionali. Non sarà infatti che prima di lavorare 30 anni come coibentatore chiunque potrebbe avere inalato una fibra entro i suoi diciotto anni di età, cioè prima di entrare in fabbrica? Nessun senso logico ma sarebbe un “ottimo” suggerimento anche per l’Inail che infatti già ora riesce a negare l’eziologia professionale dell’amianto … quando può.
Questa sentenza è la negazione delle conoscenze della comunità scientifica, è la negazione della logica, è adesione acritica a teorie “negazioniste” devastanti per la salute pubblica.
Si abbia allora la coerenza di chiedere “scudi penali”. Il governo in carica ha tentato di seguire questa strada per l’epidemia in corso ma è stato bocciato dal Parlamento, che, questa volta, ha avuto consenso di tutto il Paese!
Commenteremo le “motivazioni” la cui uscita è prevista entro 90 giorni e ricorreremo in Cassazione.
A settembre – se Covid permetterà – convocheremo un convegno nazionale pubblico a Ravenna per:
- Ricorso in Cassazione
- Per verità e giustizia
- Per i diritti degli esposti ad amianto e a tutti i rischi lavorativi e ambientali per la salute
(*) Vito Totire è presidente nazionale AEA, l’Associazione esposti amianto e rischi per la salute
LA VIGNETTA – scelta dalla “bottega” – è di Mauro Biani