Esercizi di potere

di Betty Argenziano (*)

Oggi voglio raccontarvi una storia personale perché “il personale è politico, e il politico è personale” (cit.). La mia storia è di certo identica a quella di ogni altra donna del mondo inserita in un “regime” patriarcale, dove vige il controllo di un genere sull’altro al fine dello sfruttamento (economico, sessuale, riproduttivo).

Come sapete il movimento #MeToo ha messo in luce la questione delle molestie e dell’esercizio di potere ai fini sessuali; in questo post parleremo del sessismo quotidiano esercitato verbalmente, di quei piccoli esercizi di potere dei quali gli uomini amano servirsi per rimarcare la loro posizione gerarchica di dominatori, anche se non hanno posizioni aziendali di potere, anzi in taluni casi hanno un inquadramento inferiore. Ma veniamo alla mia vicenda personale.

Lavoro in una grande azienda, ma il mio ufficio è composto da poche persone: quattro donne e sette uomini. Siccome quando indossi le lenti della femminista cominci a vedere cose che gli altri non vedono, recentemente ho deciso di compiere un rilievo del sessismo quotidiano nelle relazioni tra colleghe e colleghi: in sostanza si tratta di prendere nota di tutte le frasi sessiste pronunciate dagli uomini nell’ottica di presentare poi l’elenco all’Ufficio Personale chiedendo azioni correttive a livello culturale, come in alcuni contesti lavorativi evoluti si sta facendo negli Stati Uniti. Non vi è alcuna intenzione persecutoria da parte mia, infatti non solo non prendo nota di chi ha pronunciato la frase, ma le mie intenzioni non sono meramente delatorie: è un’operazione propositiva, orientata verso un’auspicabile evoluzione umana che possa superare questi meschini esercizi di potere. È soprattutto il tentativo di demolire la base su cui poggia la cultura dello stupro. Vi elencherò alcune frasi annotate, tutte vere e tutte scritte un secondo dopo averle udite. Poi vedremo cosa è successo.

Porca puttana” e le sue varianti: puttana Eva, porca zoccola, porca troia. Questa frase è la più ripetuta, almeno 20 volte al giorno e anche da una collega: ogni volta io aggiungo “ma piuttosto, porco di quel puttaniere!”, che francamente nel mercimonio tra i due il puttaniere è decisamente quello più meritevole di biasimo. L’esercizio di potere qui è molto chiaro: il concetto sotteso di “porca puttana” è “non sgarrare, perché se lo fai sarai etichettata puttana”;

  • Ho accusato un collega di mansplaining perché sono architetta, ho pure un dottorato e lui voleva spiegarmi il mio lavoro: invece di scusarsi per aver sottovalutato la mia preparazione e sopravvalutato la sua, mi ha detto che mi avrebbe legata a un palo e abusato di me. Tutto in tono scherzoso, la cultura dello stupro si avvale spesso della frase “ma fattela una risata”;

  • Sulla intranet aziendale compare un articolo su una collega il cui ruolo apicale viene definito Chief Eccetera Eccetera: c’è la foto, è una trentenne di aspetto gradevole. Un collega chiede ad un altro “Secondo te cosa fa una Chief Eccetera Eccetera?”, l’altro prontamente risponde “Pompini!”. Il sottotitolo é Se fai carriera non è perché sei preparata e idonea a quel ruolo, ma perché hai ceduto ad un ricatto sessuale esercitato da un uomo potente;

  • Ma perché non ho fatto il pappone?”;

  • La stitichezza è un problema femminile”;

  • Tra un uomo e una donna possono esserci 16 anni di differenza, ma solo se è lui più vecchio”;

  • Un collega tiene aperta la camicia esponendo un tappeto di peli, e mi invita a dare un’occhiata a quelli “più giù”;

  • Avrei bisogno di un massaggio”, ammiccando;

  • Le donne ecuadoriane sono fatte come boiler da 80 litri”;

  • Hai capito perché qui siamo soddisfatti? Tutti i giorni così”, accompagnato da un gesto masturbatorio;

  • Ma tu ne hai presa di figa nella vita? A pagamento vero?”, il modo più semplice e immediato per degradare le donne da persone a pezzi di carne. Il collega mi vede che scrivo e aggiunge “scrivi il cazzo che ti pare”, perché sa che la cultura dello stupro è dalla sua parte;

  • Zittellaccia, secondo me non ne prendi”, come se il maschilismo non fosse la più antica forma di razzismo, e il femminismo fosse misandria;

  • Parlando tra uomini di una collega: “Com’è che questa ce la siamo fatta sfuggire?”, l’altro risponde “Non mi piacciono bionde e vecchie”;

  • Se devo tradire la moglie, almeno che sia gnocca”;

  • Ciclisti froci non ne ho mai conosciuti”. Ovviamente il sessista doc è anche omofobo;

  • Carla Bruni, grossa mignotta”.

  • Tu che sei un’esperta di ciulare…”;

  • Se non indossi i tacchi, porti “scarpe da suora laica”;

  • Alludendo alla mancanza di avvenenza di una collega con la quale aveva litigato “Me la sarei mangiata… anche perché non le si può fare altro”. Fosse stata bella l’avrebbe “castigata”, tipico sproloquio da cultura dello stupro;

  • Tizia ha l’ufficio chiuso”, e l’altro commenta “Per forza, fa pompini”.

  • Infine una battuta che vi farà accapponare la pelle per la bassezza del suo livello e che merita un post a parte: “La forma della vulva, con la fessura verticale, sembra disegnata apposta per strisciare la carta di credito”. Ergo, tutte le donne sono comprabili. Ma torneremo sulla questione dello scambio sessuo-economico e su questa frase da miserabile.

Nel mio contesto lavorativo non ci sono concrete minacce di stupro, forse solo deboli molestie sessuali, in fondo sono tutti brave persone: nessuno picchia moglie e figlie/i, si occupano amorevolmente della famiglia, sono solo italiani medi maschilisti. Eppure non sanno rinunciare all’esercizio di potere, pur ricoprendo profili professionali senza alcun potere: uno di loro mi ha avvertita che se ne avessi parlato con l’Ufficio Personale sarei stata una “cogliona che non sa stare al mondo”, lasciando intendere che neppure loro sarebbero stati dalla mia parte, perché le molestie verbali non sono un vero problema. L’Ufficio Personale forse non ha il livello culturale adeguato ad affrontare questo tema, quello capace di capire il problema e cercare di migliorare la situazione. O forse lo ha, lo vedremo, anche se noi siamo 30 anni indietro rispetto ad altri paesi. In particolare il collega che mi ha definita “cogliona” ha una paura fottuta di dover rinunciare al dileggio, perché è quello che vi ricorre più spesso, quello forse più conservatore, che per sentirsi veramente maschio deve umiliare una donna: la sindrome dello specchio di Virginia Woolf, dove gli uomini per percepirsi più grandi nello specchio devono rimpicciolire le donne. Così io sarei “una cogliona che non sa stare al mondo”, ossia una che non ha capito che bisogna subire in silenzio, abbozzare, “farsi una risata”. È vero, non so stare in questo mondo di merda, dove il sexage stabilisce che noi siamo solo vagine ambulanti, e anche se sono solo una formica contro Golia cerco come posso di promuovere una cultura nuova. Con certi vecchi forse è una partita persa, ma conto sulle nuove generazioni e sul desiderio di tutte le donne di vivere in un mondo che non utilizzi la cultura dello stupro per opprimere metà dell’umanità.

(*) ripreso da alledonnepiacesoffrire.wordpress.com che si apre con questa citrazione di Emmeline Pankhurst: “Dobbiamo liberare metà della razza umana, le donne, così loro possono aiutare a liberare l’altra metà”

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