Essere campioni è un dettaglio, ovvero la deriva neofascista di Zibì Boniek

di Max Mauro

nazisti-stadi

Essere campioni è un dettaglio. La celebre frase di Socrates (il calciatore brasiliano morto nel 2011: per chi non mastica calcio) trova amara applicazione in una storia che ci giunge dalla Polonia. ll protagonista è Zbigniew Boniek, classe 1956, detto «Zibì», noto alle cronache calcistiche nostrane soprattutto per avere condiviso con Michel Platini alcune fortunate stagioni alla Juventus negli anni ottanta dello scorso secolo. E’ preistoria, per chi ha meno di quarant’anni, ma tant’è. Boniek è una leggenda vivente del calcio polacco e dal 2012 è il presidente della federazione calcistica di quel Paese, dopo aver provato anche ad allenare la nazionale. Ha tentato di allenare anche in Italia, ma senza troppa fortuna. Boniek è uno a cui piacciono le luci della ribalta e interpreta in maniera molto liberale il suo ruolo istituzionale. Ha un account di Twitter dal quale lancia messaggi a cadenza quotidiana, spesso più messaggi al giorno. Pubblica foto di se stesso a torso nudo (un novello Putin?) e commenta su ciò che gli pare. E’ probabilmente gratificato dall’avere 300.000 persone che lo seguono e non si trattiene, non riesce a trattenersi, forse non ci prova proprio.

Alcuni giorni fa ha postato la fotografia di un membro dell’Associazione antirazzista «Never Again» accusandolo di gettare discredito sul calcio polacco. L’antefatto: la scorsa settimana il Lech Poznan, attuale campione di Polonia, è stato multato dalla Uefa (rappresenta tutte le federazioni calcistiche d’Europa) perché i suoi tifosi hanno esposto uno striscione neonazista durante la partita di Champions League contro l’Fk Sarajevo. La Uefa ha condannato la società a giocare la prossima partita a porte chiuse e a pagare una multa di 50.000 euro. Va detto che questo è solo l’ultimo di una serie di episodi deprecabili che hanno visto protagonisti gli ultras di Poznan, noti per le inclinazioni neonaziste. La Uefa aveva già richiamato la società a un maggiore controllo della propria tifoseria nel 2011 e nel 2013, comminando sanzioni più leggere. «Never Again» è partner polacco di «Football Against Racism Europe» (Fare) che collabora con la Uefa nelle campagne contro il razzismo e le discriminazioni nel calcio.

La Uefa pone molta attenzione ad evitare che gli stadi vengano utilizzati per promuovere ideologie razziste e neonaziste. Controlla e sanziona regolarmente le società che non impediscono che questo accada. Purtroppo ciò capita di frequente nell’Europa dell’Est, e la Polonia non fa differenza. A Boniek tutto questo non deve far piacere. No, capiamoci, a lui non importa che il suo Paese abbia una fama di Paese razzista e fortemente nazionalista, ma dà fastidio che il “suo” calcio venga punito perché si fa tramite di simili ideologie. Il problema non sono le idee balorde di Boniek ma il modo in cui le comunica, facendo un uso a dir poco sconsiderato della sua fama e del suo ruolo istituzionale.

Non pago di aver esposto una persona alle attenzioni di migliaia di forsennati razzisti che ovviamente non hanno perso tempo a lanciare minacce commentando il sul post con frasi tipo: «Smettiamola di pensare! Spacchiamogli la faccia!». Non pago di aver messo a repentaglio la vita dei coraggiosi attivisti della sua associazione, Boniek ha anche re-twittato un “articolo” pubblicato su un blog neofascista dal titolo piuttosto eloquente: «Il verme rosso e la spia comunista Jacek Purski» (Purski è la persona messa alla gogna mediatica da Boniek).

Se pensate che questo basti e avanzi per demolire l’immagine di Boniek, vi sbagliate. Lui è proprio convinto di essere nel giusto. Continua a comunicare con questi toni sul suo account di twitter e ha persino scritto una lettera alla Uefa offrendo spicciole lezioni di storia, spiegando che nella «coscienza collettiva» del suo Paese «il comunismo è stato un regime criminale come il nazismo» e conseguentemente «anche i simboli comunisti dovrebbero essere proibiti». Questa ultima frase è forse il messaggio più inquietante, perché se l’uso dei social media può dare alla testa e magari una persona di una certa età (Boniek ha 59 anni) può non essere completamente in controllo del mezzo (e delle proprie idee, ci vien da dire), una lettera ufficiale è altra cosa. Ora rimane da capire come si comporterà la Uefa di fronte a queste uscite di uno dei maggiori esponenti del calcio europeo. Scusi signor Boniek, ma quanti «simboli comunisti» vede negli stadi del suo Paese o, per esempio, in Russia? Non si è accorto che clima si vive in molti stadi in Polonia?

Se siete arrivati fino a qui e avete pensato, magari anche involontariamente: beh, questo è peggio di Tavecchio, allontanate quel pensiero. Boniek è cittadino italiano e trascorre molto del suo tempo nella sua casa di Roma. Suo figlio ha frequentato le scuole e l’università in Italia. Se le cose buttassero male in Polonia Boniek potrebbe fare un pensierino alla presidenza della Figc. Chissà. Nel frattempo raccoglie consensi su Twitter fra i suoi non pochi “followers” italiani.

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Ciao Max,
    grazie per aver raccontato questa storia. Non è facile sostenere gli ideali dell’antifascismo e dell’antirazzismo nel mondo del calcio, e coloro che ci provano spesso sono derisi, nel migliori dei casi. Dopo un episodio del genere sarebbe il caso che la Rai non lo chiamasse più come commentatore televisivo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *