il giorno del rapimento di Aldo Moro, come pure il 2 agosto del 1980, sono giorni che non passano mai, che hanno bloccato la storia italiana: siamo ancora lì.
Fabrizio Gifuni è Moro, non lo interpreta, è proprio lui, un lavoro da premio Oscar, come pure Margherita Buy, Noretta, la moglie di Aldo Moro.
il film, in sei parti, racconta alcuni aspetti della storia, da punti di vista diversi.
gli attori sono tutti bravi, e l’ipotesi di Moro vivo, come nella fine del film precedente, è l’inizio di Esterno notte.
non è un film a tesi, non dà risposte: fa domande, rende inquieti, mostra le facce.
la facce dei politici sono veramente quelle di bugiardi, falsi, imbarazzanti, attori sostituibili nelle mani di qualcun altro, i generali e i politici della P2, la Cia.
alla fine resta la domanda: e se Aldo Moro fosse uscito vivo?
buona imperdibile visione (in autunno passerà in tv)
intanto si può vedere e ascoltare qualcosa qui , qui , qui
si può leggere qualcosa qui, qui
Il complesso militar-cinematografico – David Sirota
Poche le sceneggiature antimilitariste che arrivano sul grande schermo: è uno degli effetti del rapporto perverso tra l’industria dello spettacolo e quella della guerra di cui film come Top Gun sono espressione
L’esercito che si infiltra silenziosamente in uno studio cinematografico… l’idea potrebbe sembrare la trama immaginaria di un film, ma Top Gun: Maverick ci ricorda che è fin troppo reale. Il nuovo blockbuster è l’ultimo prodotto di un’elusiva sinergia tra Forze Armate e Industria dell’ intrattenimento di cui pochi sono a conoscenza, ma che informa una parte sostanziale di ciò che leggiamo, vediamo e sentiamo sull’esercito e sul militarismo.
È nei film che questo sistema di furtiva propaganda militarista prevale – nonostante sia a malapena rivelato agli spettatori.
Per esempio, per aiutare regista e produttori a portare a termine il sequel di Top Gun, la marina militare ha consegnato piloti, aerei da caccia, e portaerei, e ha perfino infranto le sue stesse regole di addestramento al volo per fare in modo che Tom Cruise apparisse il più figo possibile. In cambio, la produzione del film non ha solo pagato una tariffa per affittare gli aerei da 11.000 dollari all’ora – ha permesso al Pentagono di contribuire alla costruzione del film.
Come rilevato nell’episodio più recente del Lever Time podcast del professor Roger Stahl dell’Università della Georgia, direttore del film documentario Teatri di Guerra: Come il Pentagono e la CIA conquistarono Hollywood, la richiesta di rendere pubblici gli archivi ha rivelato che agli ufficiali militari è stato permesso di apportare modifiche a Top Gun: Maverick, incluso far sì che «argomenti cruciali» riguardanti per esempio reclutamento e politica estera fossero inseriti nel film.
Adesso, per capitalizzare sul successo del film, l’aeronautica militare manda in onda pubblicità per il reclutamento prima delle proiezioni.
Come ha detto a Fox News un ufficiale di reclutamento di spicco «vogliamo trarre vantaggio dall’opportunità di legare non solo il film all’idea del servizio militare ma al fatto che abbiamo lavoro e abbiamo reclutatori che li aspettano».
Questo formule equivoche non sono inedite. Da decenni, l’esercito lavora fianco a fianco con Hollywood per aiutare nella produzione di film promozionali e show televisivi, e per scoraggiare la produzione di film che criticano le forze armate e il militarismo come ideologia.
Il modo in cui funziona è piuttosto semplice: gli uffici adibiti ai film dell’esercito offrono agli studi cinematografici l’accesso gratuito o a buon prezzo a basi, portaerei, aerei e tutti gli altri tipi di hardware. Ma c’è un inghippo: in cambio dell’accesso, gli studi devono sottoporre i copioni perché vengano editati riga per riga in modo che i film siano a favore dell’esercito.
Questa pretesa ha creato una dinamica potente a Hollywood. Ottenere l’accesso agli strumenti militari gratuitamente o a tariffa ribassata rappresenta effettivamente un sussidio importante per gli studi cinematografici che accondiscendono alle richieste di propaganda dell’esercito – e in alcuni casi, l’esercito ha usato questo potere per spingere i registi a distorcere la storia americana.
D’altro canto, se l’accesso è negato spesso i film non vengono realizzati – perché gli studi sanno che sarebbero più costosi da produrre.
I leader militari conoscono da tempo e a fondo il potere di influenzare i prodotti culturali – e di farlo segretamente.
«La mano del governo deve essere attentamente nascosta, e, in alcuni casi oserei dire, totalmente eliminata» ha scritto il presidente Dwight Eisenhower in una lettera del 1953, che delineava la sua strategia per influenzare l’immagine estera degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda:
Gran parte di questa specifica cosa dovrebbe esser fatta attraverso accordi con ogni sorta di imprese operate privatamente nel settore dell’intrattenimento, del teatro, della musica, e così via.
Un’altra parte si farebbe attraverso accordi clandestini con riviste, giornali e altri periodici, e case editrici.
Eisenhower, ex generale, si riferiva agli sforzi del governo di influenzare l’immagine estera degli Stati Uniti – ma questa strategia è anche ciò che guida il connubio Forze Armate-Industria dell’intrattenimento che in modo impercettibile piega l’opinione pubblica americana, a partire dalle invasioni militari fino al budget del Pentagono.
A seguire un estratto del capitolo “Operation red down” del mio libro Back to our Future (Ritorno al nostro Futuro), che si addentra fino in fondo in questo sistema di propaganda invisibile.
L’esercito lavora con i produttori di Hollywood dal 1927, quando ha contribuito alla produzione di Wings, vincitore della prima Academy Award per il Miglior Film. Nei primi due terzi del ventesimo secolo, il coinvolgimento del Pentagono è stato fluttuante, ma ha sempre mirato a raggiungere i bambini. Negli anni Cinquanta, per esempio, l’esercito ha lavorato con Lassie a show che mettevano in luce la nuova tecnologia militare, e ha prodotto “Mouse Reels” per il Club di Topolino, uno dei quali mostrava dei bambini in visita al primo sottomarino nucleare. Come ha scoperto il giornalista investigativo David Robb, un promemoria del Pentagono notava allora che i media diretti ai bambini «sono un’opportunità eccellente di avvicinare un’intera nuova generazione alla Marina nucleare».
Questa linea ha trovato il suo culmine nel 1968, quando il Pentagono ha prodotto The Green Berets, un film che combina il potenziale attrattivo del cowboy John Wayne per gli adolescenti con un messaggio a favore della guerra nel Vietnam.
Gli anni Settanta hanno visto molti meno film di guerra supportati dal Pentagono per un pubblico ormai affaticato dal Vietnam e dalle sue conseguenze, che permeavano i notiziari serali. Ma secondo l’Hollywood Reporter, appena il militarismo raeganiano ha iniziato a sollevarsi, gli anni Ottanta hanno visto «una crescita costante delle richieste di accesso alle strutture militari e nel numero di film, show televisivi e home video a tema militare».
In cambio dell’accesso, l’esercito ha iniziato a esigere un pagamento… Sempre più, perché produttori e registi potessero accedere alle più semplici ambientazioni militari, i gatekeeper del Pentagono richiedevano correzioni importanti di trama e dialoghi, in modo da assicurarsi che l’esercito fosse in buona luce, anche se quelle trame e quei dialoghi originali rappresentavano la verità verificabile.
All’interno dell’industria cinematografica questo non era un vero segreto. In un rapporto del 1986 di Maclean’s, alcuni ufficiali dell’esercito hanno ammesso che quando i registi andavano da loro a chiedere i permessi, le richieste venivano rifiutate se gli stessi ufficiali ritenevano che le forze armate non fossero rappresentate «abbastanza eroicamente per i loro standard».
In una storia di Variety del 94, l’intermediario a Hollywood del Pentagono, Phil Strub, è stato ancora più diretto: «Il criterio principale che usiamo [per decidere se dare l’approvazione] è… come può la produzione proposta giovare all’esercito… può essere utile per reclutare [e] è in linea con la politica attuale?»…
continua qui