Etnopsichiatria? Qualunque cosa sia a Torino non serve
Il 15 gennaio il Centro Frantz Fanon, da oltre dieci anni ospite, cioè in convenzione, dell’Asl-1 di Torino ha chiuso. All’improvviso e insensatamente. Dal settembre 2009 operava in base a una gara d’appalto «per le attività cliniche e di mediazione culturale rivolte alla popolazione immigrata», in una parola sul versante dell’etno-psichiatria che non è «una nuova malattia» (l’ho sentito dire da una funzionaria del Comune di Imola in un dibattito) ma affronta il disagio del vivere come si manifesta in altre culture e, assai spesso, si amplifica nelle migrazioni.
L’insensatezza sta anche in questo. E’ vero che i locali dell’Asl-1 si devono spostare ma per gli altri servizi della stessa sede (Centro diurno e Gruppo residenze del Dsm, il dipartimento salute mentale) sono previste, pur a fatica, altre soluzioni, insomma il servizio non si interrompe. Per il Fanon chissenefrega, è roba da migranti: “se stanno male si curassero a casa loro” è il discorso incivile che i razzisti e i succubi media ripetono cercando di farlo apparire sensato.
Di cosa si occupava nel concreto il «Centro Frantz Fanon»? Un servizio di counselling – ovvero un’attività che orienta, sostiene e sviluppa le potenzialità delle persone, promuovendone atteggiamenti attivi, propositivi e stimolando le capacità di scelta – di psicoterapia e di supporto psicosociale per immigrati, rifugiati e vittime di tortura. Attività preziose e qualità del lavoro riconosciuta a livello internazionale dove il Fanon è incontestabilmente ben noto.
Invece dal 15 gennaio il Centro Fanon è senza casa. In un comunicato si ricorda che «alle ripetute richieste di poter continuare a svolgere il nostro lavoro presso altri locali, alle sollecitazioni inoltrate dal direttore del Dsm, ai dirigenti aziendali, nessuna risposta è pervenuta» a ridosso dell’obbligo di abbandonare i locali. Anzi no, una comunicazione è arrivata in puro burocratese: «Dottoressa, le rammento che la disdetta del contratto di via Vassalli Eandi 18 è già operativa pertanto l’immobile dovrà essere completamente libero dal 15 gennaio 2013 per procedere alla consegna.
Cordialmente.»
Passando dall’ipocrita «cordialmente» alla ben poco cordiale realtà, il Fanon spiega cosa sta accadendo in queste ore: «250 pazienti (adulti, minori, nuclei familiari seguiti nel 2012 e al momento in carico presso il Centro Fanon), molti dei quali affetti da gravi patologie, non potranno più essere seguiti dal nostro gruppo di lavoro, la cui esperienza, prima e unica in Italia, è stata oggetto in questi anni di apprezzamenti e riconoscimenti nazionali e internazionali. Lo ricordiamo senza alcuna presunzione, solo per dire dell’indifferenza e della miopia delle istituzioni al cospetto delle risorse esistenti e dei bisogni di cura dei cittadini stranieri: un’altra espressione della violenza delle istituzioni e dei loro dispositivi burocratici». Poco burocratese e molta chiarezza.
Non si arrende il Fanon e si organizza chiedendo aiuto anche alle molte persone (italiane e non) che ritengono indispensabile questo tipo di servizio pubblico; se volete saperne di più potete rivolgervi ad associazione.fanon@infinito.it o al telefono 011 70954214.
Giornalisticamente sarebbe stato giusto, efficace raccontare (pur nel rispetto della privacy) alcune fra le tante storie che il Fanon affronta ogni giorno: questa settimana non è stato possibile per ovvi motivi (il “cordiale” sfratto) ma«Corriere dell’immigrazione» si impegna a tornarci su. E’ però interessante vedere, come sul sito del Fanon, si inquadra questa vicenda in un contesto più generale del quale sono vittime le persone straniere come quelle italiana “doc”.
Ecco, un po’ sintetizzato, il lungo testo che spiega – come meglio non si potrebbe – le ragioni tutte politiche di un taglio spacciato per tecnico.
«Tutto, ancora una volta, sembra essere fatto in nome del nuovo dogma politico-economico di cui un capitalismo perverso e criminale non smette di invocare l’esigenza: ridurre i costi della spesa pubblica. In un vortice che si abbatte indifferentemente e ciecamente su rami secchi (molti dei quali, per altro, continueranno a riprodursi grazie a privilegi intoccabili) e centri d’eccellenza, a
pagare il prezzo più alto saranno ancora una volta i più vulnerabili: coloro che meno di altri hanno accesso alle risorse pubbliche, coloro la cui sofferenza rimane spesso invisibile. È il momento, tuttavia, di dire (di ripetere) qualcosa intorno alla logica di questi tagli, una logica che non è mai oggettiva né, come ipocritamente si sostiene, efficace nel ridurre sprechi e distorsioni. Il costo dell’attuale convenzione fra Asl-1 e l’associazione Frantz Fanon è, per anno, meno di 65.000 euro. Il gruppo di lavoro è composto di circa 15 operatori (psicoterapeuti, medici, psichiatri, psicologi, mediatori culturali, educatori). Si tratta di un costo irrisorio se si considera il lavoro realizzato dal Centro Frantz Fanon: nel corso di questi anni abbiamo potuto seguire oltre 1600 pazienti anche perché buona parte del lavoro svolto è stato realizzato in modo volontario o ricorrendo ad altre sorgenti di finanziamento. Si tratta di un costo, quello del Centro Fanon, irrilevante in particolare se lo si confronta con altre tipologie di spesa: quella, a esempio, relativa ai costi per il ricovero annuo di un solo paziente (!) presso una comunità psichiatrica, e irrilevante se misurato con quello di altre spese di un’Azienda sanitaria. È tuttavia evidente che questi dati non bastano a sostenere la nostra esperienza né l’urgenza di un intervento specialistico rivolto a vittime di tortura, rifugiati, richiedenti asilo, a coloro che non troverebbero in altri servizi dell’Asl analoghe risorse terapeutiche. Non ne siamo affatto sorpresi, tutt’altro, e ciò per almeno due motivi: il primo inesorabilmente contingente e miserabile, il secondo più complesso. Il primo: non c’è da stupirsi che un’azienda sanitaria operante in una Regione il cui governatore appartiene a un partito come la Lega Nord sia del tutto indifferente ai problemi posti dalla sofferenza della popolazione immigrata. Garantire un lavoro clinico complesso all’altezza della loro domanda di cura non è certo una preoccupazione per un gruppo politico che ha offeso ripetutamente la condizione degli immigrati, approvando nel precedente governo una legge che infrange i più elementari diritti umani (l’istituzione dei Cie), giungendo a privare per un periodo che può durare sino a 18 mesi della propria libertà donne e uomini che hanno commesso la sola colpa di sognare un destino migliore o che, più drammaticamente, hanno voluto sottrarsi alla morte e alla violenza. Coloro che sono interessati a riprodurre il proprio potere nei meandri di un potere cieco e indifferente ai bisogni reali, coloro che rappresentano l’Altro solo nei termini di un disprezzo sistematico se non razzista, non possono essere certo interlocutori di un simile progetto.
Ma c’è un altro motivo, si è detto, che rende tutto sommato prevedibile il silenzio di
un’Asl. Ogni qualvolta si chiede conto delle loro scelte, si risponde sempre che queste sono motivate, oggettive, “nell’interesse di…”. Tuttavia l’oggettività, scriveva Fanon ne “I dannati della terra”, invocata dai giornalisti occidentali quando chiamati a dar conto dei loro giudizi sui comportamenti dei colonizzati, si rovescia sempre implacabilmente e inesorabilmente contro questi ultimi. Possiamo oggi riprendere questo stesso argomento, avendo solo cura di scrivere: contro i dominati, gli immigrati, i marginali. Una classe politica ubriaca del suo potere, sostenuta da un ceto di burocrati pronto a offrire servile il suo armamentario di leggi, circolari e commi, prolifica all’ombra di un’oggettività che finisce per colpire, ormai lo sappiamo, sempre e solo i più deboli.
“L’uomo parla troppo. Occorre insegnargli a riflettere. E per questo occorre fargli paura. Molta paura. Per questo io ho parole-archi, parole-proiettili, parole-coltello”: così scriveva Fanon in una celebre lettera indirizzata al fratello, testimone delle sue esperienze e dell’ipocrisia e delle contraddizioni che andava scoprendo nell’Europa dei diritti… Da Fanon abbiamo tratto una lezione di impegno e di coerenza, di coraggio e di indocilità, che non sarà certo messa in discussione dall’indifferenza delle istituzioni né dal razzismo che le abita, spesso mascherato dalla retorica della sicurezza o da quella della razionalità economica.
L’obbedienza non è più una virtù: è questo un altro principio che ha guidato sempre la nostra pratica, sussurrato con forza da don Milani anni addietro quando un altro razzismo si abbatteva contro altri “stranieri”, un principio che continua a indicare un percorso che alcuni di noi testardamente continueranno a seguire nel tentativo di realizzare un lavoro rigoroso, al servizio di chi soffre, quale che sia la sua condizione, la sua appartenenza, il suo statuto giuridico. Senza differenze di sorta».
Più chiaro di così…
Aggiunge l’appello del Fanon che «per fare tutto questo abbiamo urgentemente bisogno del vostro sostegno. Sì: questa volta si tratta anche di un sostegno materiale, utilizzando le modalità che riterrete più opportune. Vogliamo continuare altrove, già a partire dal mese di gennaio 2013, la nostra esperienza. Vogliamo mantenere il Centro Frantz Fanon aperto. I soci dell’Associazione hanno deciso all’unanimità, nell’assemblea del 17 dicembre 2012, di contribuire a questo progetto donando parte del loro contributo annuo per le attività svolte. Ma questo non sarà sufficiente, nel primo anno, per pagare l’affitto di una sede che possa disporre di un numero minimo di locali e, facilmente accessibile, costituire uno spazio dignitoso per l’accoglienza e la cura degli immigrati. Stiamo già presentando progetti che prevedano il contributo per l’affitto della sede, ma le risposte – se positive – saranno utilizzabili solo a partire dai prossimi anni. E a noi servono risorse ora. Per questo, per tutto questo, chiediamo ai numerosi amici e compagni di viaggio che – in Italia e altrove – hanno seguito con interesse la nostra esperienza, chiesto suggerimenti per riprodurla in altri contesti, condiviso con noi riflessioni, iniziative e pratiche innovative, di aiutarci perché il lavoro del Centro Frantz Fanon possa proseguire il proprio cammino come sempre: senza compromessi. Non siamo mai stati bravi per quanto riguarda la “ricerca fondi”. Non saremo bravi neanche questa volta nel predisporre strategie di marketing e sponsorizzazioni. Abbiamo pensato a due formule di donazione: ‘amici’ (10 euro) e ‘sostenitori’ (50 euro), ma qualunque altra formula sarà ben accolta! La donazione può essere fatta sul conto corrente bancario intestato all’Associazione Frantz Fanon: UNICREDIT, Via Principi d’Acaja 55F, 10138 Torino – IBAN: IT 23 L0 200801118000003061841. Sul sito www.associazionefanon.org vi terremo costantemente informati sugli sviluppi per l’individuazione della sede e la sua apertura. Grazie sin d’ora». Così il documento del 20 dicembre firmato da Roberto Beneduce, responsabile del Centro Frantz Fanon, e da tutte le socie e tutti i soci dell’associazione.
Se anche il giornalista può togliersi la divisa della falsa oggettività e dichiararsi dunque anti-razzista (non esiste in questo campo una via di mezzo o una neutralità) la conclusione può essere doppia: l’adesione della nostra testata a questo appello e l’invito a chi legge ad aderire ma anche a invitare in altre città qualcuna/o del Famon per raccontare l’altra faccia della Luna cioè il meraviglioso, importante lavoro svolto in questi anni. Conoscere da vicino il quotidiano impegno del Fanon non gioverà solo agli “specialisti” perché chiunque lavora a lenire le sofferenze delle persone si sta impegnando per l’umanità intera.
BREVE NOTA (CHE DOVREBBE ESSERE BEN PIU’ LUNGA)
Questo mio post è uscito su «Corriere dell’immigrazione», al quale occasionalmente collaboro e del quale ho già parlato in blog. Aggiungo che questo articolo necessita di due “appendici”. La prima è – come dicevo nel testo – che sarebbe importante poter far capire di più del lavoro del Fanon con storie concrete; spero (nel rispetto della privacy) di poterne raccogliere qualcuna e raccontarvela. La seconda “appendice” che sinceramente non saprei fare (e dunque chiedo aiuto) è questa: per anni la Torino della Fiat è stata anche «una fabbrica della follia» con gli immigrati (interni allora) in prima fila nell’impazzire come nell’incremento del sesso pagato (le cifre della prostituzione a Torino negli anni del boom economico sono da record) e poi vi furono le grandi lotte che resero un po’ più vivibili la fabbrica e la città; oggi nella Torino de-industrializzata chi (oltre il Fanon) e come cerca di aiutare il benessere mentale di residenti e di vecchi o nuovi migranti? Se qualcosa esiste… chi ci aiuta a raccontarlo? (db)
torino grazie alle lotte operaie è stata una citta’ per anni portata ad esempio per il welfare che ha costruito e mantenuto finchè ci sono stati gli operai,un welfare laico e aperto alle istanze e ai bisogni che man mano emergevano, torino è stato laboratorio di tantissime esperienze ad esempio a meta’ degli 70e si è costituito il primo gruppetto di animatori che con un furgone si recavano in parchi cittadini proponendo l’ascolto di musica pop rock di avanguardia ai ragazzi che stazionavo lì, sono poi nate esperienze di teatro di musica ecc sempre a torino si sono chiusi istituti per minori,disabili ecc per aprire comunita’ alloggio dove far vivere in modo umano tutte queste persone e dove possibile accompagnarle al rientro nella loro famiglia, insomma fino all’altro secolo l’ente pubblico si è occupato del benessere psico fisico degli abitanti di questa citta’, l’intervento privato esisteva ma sotto forma di cooperative, ed era comunque minoritario, con il passare degli anni l’imperativo politico è stato la privatizzazione seguito dai tagli alla spesa pubblica ma parallelamente all’interno degli enti è emersa la necessita’ di avere una quantita’ incredibile di funzionari, dirigenti e direttori quindi i tagli fatti ai servizi sono serviti anche a finanziare questa operazione
quasi tutti i servizi rivolti alla popolazione in gestione diretta sono stati chiusi ( comunita’ alloggio, dormitori,case di riposo e da quest’anno anche 9 asili nido) e solo parzialmente reintegrati con servizi privati_ questi servizi costano molto meno della gestione diretta gli operatori assunti dalle varie cooperative costano la meta’ per non parlare poi della chiesa cattolica che con la sua organizzazione è in grado di “assistere” a bassissimo costo ( anche se penso che i finanziamenti che vengono erogati non siano poi così scarsi). Attualmente nella nostra citta’ stanno emergendo nuovi poveri e sono tanti,tra di loro vi sono alcune significative differenze , la prima è la visibilita’ oiù sei visibile, identificabile più sei un problema
I profughi della guerra nei balcani, chiamati zingari, rom anche se magari erano sedentari e magari di ceppo slavo ( va beh sono sottigliezze,,, a torino i meridionali erano tutti napuli anche se siciliani) sono fastidiosi perchè non si accontentano di vivere nelle bidonville che gli ha costruito il comune in zone periferiche della citta’ ma, si sono autocostruiti altre due bidonville in due zone della citta’ e i politici non vogliono vederli,i senza fissa dimora che dormono nelle eleganti vie del centro , ci sono gli anziani da 500 euro al mese di pensione che rubano per mangiare e fanno pena, quelli ricoverati nelle case di riposo privatizzate dove il personale è insufficiente e la direzione chiede ai portinai di turno la notte di fare il giro nei reparti per contrallare che i nonnini non muoiano.i bambini disabili che non hanno l’insegnante di sostegno, gli immigrati africani che finchè stanno buoni lavorano per un misero salario, affittano case fatiscenti pagandole come regge ecc vanno bene ma se poco poco esternano una difficolta’ o una sofferenza qui siamo nei guai, il centro fanon e i suoi operatori sono una preziosa risorsa, sono innanzitutto senza pregiudizi, non pensano di essere onnipotenti e di detenere tutto il sapere sanno confrontarsi, ascoltare riflettere e sopratutto con chiunque si rivolga a loro offrono un aiuto concordato e senza ricatti o obblighi di sorta, io li stimo per la loro professionalita’e la loro disponibilita’ conseguentemente accetto anche le imperfezioni,
Dico questo perche’ purtroppo ormai l’universo di cura,aiuto all’altro si connota sempre di piu’ di ” contratti” capestro tra chi ha bisogno di aiuto e chi dovrebbe agire l’aiuto, con la totale( in alcuni casi )inconsapevolezza da parte dell’operatore sociale o sanitario di mettere in atto un vero e proprio ricatto.
Per stasera mi fermo qui ma chissa’ se pensi che possa essere utile possiamo fare una seconda puntata.
P.S. anche oggi la prostituzione ha un fatturato da capogiro e….. non solo quelle dei ricchi anche le tantissime donne che tutti i giorni sono sulle strade italiane