Europa: bisogna cambiar strada

di Gian Marco Martignoni

Per non attardarsi nella fuorviante contesa dentro o fuori dall’euro bisogna prendere atto con il partigiano Manolis Glezos (classe 1922, uno degli storici dirigenti di Syriza in Grecia) che

«il fatto che sembra prendere il sopravvento l’Europa del capitale non deve abbatterci ma stimolarci a lottare di più, cooperando come sinistra tutti insieme».

Una posizione quella di Glezos al contempo materialistica e pragmatica poiché, volenti o nolenti, il trattato di Maastricht altro non è che la plastica costituzionalizzazione del primato del mercato e dell’impresa, sulla base – dopo gli accadimenti del 1989 – della trionfante ideologia neoliberista. Al punto che nel successivo trattato di Lisbona agli Stati nazionali vennero assegnate funzioni di semplice supplenza, cioè residuali, delle «forze di mercato», cosicché Rossana Rossanda ebbe a definire nel 2003 quel testo come «la Costituzione sovietica alla rovescia».

Quindi, se è vero che siamo in presenza di una Europa egemonizzata dai grandi capitali delle imprese multinazionali (a meno di una sempre possibile deflagrazione europea per via del processo di “germanizzazione” in corso e dell’asimmetria fra nord e sud del continente) è necessario sostenere la candidatura di Alexix Tsipras a presidente della Commissione Europea, al fine di rafforzare lo schieramento della sinistra radicale e comunista che si batte per una alternativa al fallimentare modello neo-liberale.

Contrastando innanzitutto le pulsioni euroscettiche che i movimenti di destra e populisti alimentano sulla scia del malessere sociale provocato dalla più violenta crisi economica del capitalismo dopo il 1929, in quanto non è ipotizzabile alcun recupero di sovranità nazionale in un mercato su scala mondiale contraddistinto dalla formazione di aree macro-regionali di dimensione continentale.

Giustamente a questo proposito l’intellettuale romeno Lucian Boia nell’intrigante pamphlet «Fine dell’occidente?» (apparso recentemente per Ediesse) segnala che a determinare un base di civiltà comune europea è «la comprensione del fatto che separate – le ventisette nazioni- sarebbero troppo marginali in uno scenario mondiale dominato da strutture mastodontiche, dagli Stati Uniti alla Cina».

Pertanto urge un ribaltamento delle politiche dell’austerità adottate dalle tecnocrazie europee, che con l’intento di “socializzare” le perdite del sistema bancario – ben mille miliardi di euro sono stati dirottati in questa direzione – hanno causato una profonda spirale recessiva e il dilagare di disoccupazione e precarietà a livello di massa. Serve quindi un piano coordinato a livello europeo di investimenti in attività socialmente ed ecologicamente sostenibili, rilanciando la solidarietà fondata sulla protezione sociale e i sistemi di Welfare, nonché avviando politiche di redistribuzione dei redditi mediante l’introduzione dall’armonizzazione fiscale, al fine di combattere la crescita delle diseguaglianze sociali.

A questo scopo è necessario che le decisioni in materia di politica economica vengano sottoposte a controllo democratico, per cui i negoziati sul Trattato transatlantico per il commercio (Ttip) – che prevedono una grave involuzione dei processi democratici per favorire gli investimenti del sistema delle imprese multinazionali contro le legislazioni degli Stati sovrani – devono essere immediatamente sospesi.

Purtroppo, anche per la inadeguatezza palesata dal centro-sinistra a livello europeo sia sul piano teorico che su quello pratico, è in crescita l’astensionismo e i rapporti di forza per il mondo del lavoro sono tutt’altro che favorevoli.

Ma la sopravvivenza dell’Europa – come afferma il manifesto degli intellettuali legati alla rete Europen – potrà avvenire solo se si cambierà strada sul piano della giustizia sociale, della responsabilità ambientale, della democrazia e della pace, e naturalmente se sarà sostenuta attraverso un rilancio della mobilitazione sociale e popolare coordinata su scala internazionale.

P.S. Al di là di come è nata la lista Tsipras in Italia (con la grave esclusione dei comunisti italiani) la lettura del libretto «Europa Ribelle», uscito in edicola con il quotidiano «il manifesto», nel confermare una certa effervescenza politica della sinistra radicale e comunista in tutto il continente, mi ha convinto che non sto buttando un po’ delle mie energie perché si raggiunga il quorum del 4%, proprio perché al suo interno vi sono figure specchiate come quella di Francesco Gesualdi.

Drammaticamente il nostro “caso” è il più arretrato d’Europa e il vergognoso ceto politico della sinistra radicale e comunista dovrebbe leggere e sottolineare o imparare a memoria «Europa Ribelle» per imparare umilmente qualcosa dall’esperienza degli altri Paesi.

Nelle conclusioni di Goffredo Adinolfi sul Portogallo è dato leggere: «la capacità di un’elaborazione politica sembra essere più concreta e razionale in Portogallo che in Italia». Nello scritto di Jacopo Rosatelli sulla Germania a proposito della Linke, dopo aver detto che in quel partito convivono alcune correnti riconosciute dallo statuto, ciò comporta che «al di là delle differenze criticamente hanno saputo “dare una forma” ai conflitti interni, disinnescando i meccanismi autodistruttivi, e valorizzando i punti in comune».

Credo che da queste considerazioni possano scaturire le basi per una sana autocritica in Italia, solo se ne abbia tempo e voglia.

DUE NOTE TECNICHE

1 – Sulle minacce e sull’assurda segretezza del Ttip consiglio qui in blog «Ttip: diritti contro profitti» di Andrea Baranes

2 – «Europa ribelle» (112 pagine a 7 euri) resterà in edicola ancora qualche giorno come pure l’analogo libretto («Ventotene, un manifesto per il futuro): entrambi sono editi dal quotidiano «il manifesto» e da manifestolibri.

 

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