Fahrenheit 451*

articoli e video di Alessandro Robecchi, Antonio Minaldi, Ugo Giannangeli, Nora Hoppe, Michele Giorgio, Andrea Zhok, Alessandro Di Battista, Piergiorgio Odifreddi, Ariel Umpièrrez, Liat Kozma, Wiessam Abu Ahmad, con un disegno di Mr Fish

Gaza. la dura rappresaglia di Rafah come la “zona di interesse” di Israele – Alessandro Robecchi

Il quadrante 2371 della striscia di Gaza si colloca, nelle cartine dell’esercito israeliano, appena a ovest di Rafah, una città con oltre un milione di profughi, famiglie, donne, bambini, civili. In un volantino diffuso tra la popolazione, l’esercito di Israele ha indicato il quadrante 2371 come “safe zone”, cioè zona sicura, o “zona umanitaria”. Insomma, un posto dove chi non ha più nulla – scacciato dalle sue case al nord di Gaza rase al suolo, spostato verso il centro della Striscia, poi spostato a sud quando è stato raso al suolo il centro – può piantare una tenda. Poi, la sera del 26 maggio 2024, la “zona sicura” è stata bombardata da aerei israeliani con proiettili incendiari, facendo della “zona sicura” un rogo spaventoso. Il conto dei morti, 45-50 vittime, è un numero stupido: la quantità di persone che avranno la loro vita cambiata per sempre dalla notte del 26 maggio non è calcolabile, tra feriti, ustionati, bambini rimasti orfani, che hanno perso madri, padri, fratelli.

Conosco i balletti della propaganda, e quindi non mi dilungo: chi ha visto qualche immagine – sui social, più che altro, perché le televisioni non gradiscono, minimizzano – sa di cosa stiamo parlando. Stiamo parlando di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema. Di una rappresaglia sulla popolazione civile innocente.

La guerra è brutta, la guerra è una merda, è tutto quello che ci fa schifo, chiunque la faccia. Ma quella di Gaza non è una guerra, o per meglio dire non è solo una guerra, ma una deliberata distruzione di un territorio (scuole, moschee, case, ospedali, tendopoli, campi profughi) accompagnato dallo sterminio della popolazione civile.

So che i sostenitori di Israele si offendono molto se qualcuno paragona l’attuale operazione israeliana alle gesta di quelle SS che compirono l’Olocausto, una macchia indelebile, incancellabile, sulla storia dell’umanità. Eppure, con le immagini e le notizie che ci vengono da Gaza, il paragone non sembra così assurdo. L’immagine del soldato israeliano che si fotografa mentre incendia la biblioteca di un’università ha fatto il giro del mondo. Qualche anima bella ha provato a gridare al fake, ma invece no: il soldato si chiama Tair Glisko, 424simo battaglione, Brigata Givati, ha pubblicato la foto sui suoi social. Ne La zona di interesse, il bellissimo film del regista (ebreo) Jonathan Glazer (ha vinto due Oscar), si racconta la storia della famiglia Hoss, il capofamiglia Rudolf, comandante del campo di sterminio di Aushwitz, e la moglie che cura il suo bellissimo giardino e vive una vita agiata, felice della sua sistemazione. Accanto al giardino, l’inferno in terra del campo, che non si vede mai: si sentono i suoni, rumori, raffiche, lamenti, sterminio scientifico e pianificato. Quel che importa alla famiglia Hoss è il bel giardino, la loro “zona di interesse”. Una delle scene più agghiaccianti è quando la signora Hoss e le sue amiche si spartiscono i vestiti delle deportate ebree, cappotti, pellicce, biancheria. Da sei mesi, i social sono pieni di immagini di soldati israeliani che penetrano nelle case sventrate della popolazione palestinese uccisa o deportata e si fotografano ridendo con la biancheria delle donne palestinesi, o i giocattoli dei loro bambini, scherzando sul bottino di guerra, disumanizzando un intero popolo. Bisogna guardarle, quelle fotografie, guardarle bene. Si capirà che ciò che oggi fa Israele a Gaza non è diverso da quello che faceva la famiglia Hoss, nel bel giardino accanto ad Aushwitz.

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Genocidio e sostituzione etnica in Palestina – Antonio Minaldi

Si usa spesso la parola genocidio per indicare quanto sta attualmente avvenendo in Palestina per mano israeliana, utilizzando, (per ironia della sorte e della storia), un termine coniato nel 1944 da un avvocato ebreo polacco (Raphael Lemkin) per descrivere le politiche di sistematico sterminio degli ebrei perpetrate dai nazisti.

Si può concordare con tale scelta, ma io credo che ancora non basti. Per descrivere quanto sta succedendo mi pare plausibile che al termine “genocidio” si aggiunga l’espressione “sostituzione etnica”, ad indicare che non si tratta soltanto del tentativo di cancellare una minoranza, come fu nel caso dell’olocausto nazista, ma della volontà di sostituire un popolo o una etnia, che storicamente abita e vive in un territorio, con una di più recente immigrazione.

Capisco come possa apparire strano l’uso di una espressione che gode di grande discredito tra i più seri studiosi ed analisti, essendo associata ad una teoria complottista tipica dei suprematisti bianchi di casa nostra, che con sostituzione etnica, o “grande sostituzione”, pretendono di raccontarci come “… l’immigrazione di massa in Europa non è frutto di un moto spontaneo, ma risponde ad un deliberato piano di sostituzione delle popolazioni europee bianche e di fede cristiana…” (cit. Treccani).

Eppure questo modo di dire (pensiamo anche qui con grande ironia della sorte e della storia) ci pare perfetto per indicare quello che noi occidentali abbiamo fatto (o abbiamo tentato di fare) in cinque secoli di storia del colonialismo in giro per il mondo, di fatto prendendo possesso di terre non nostre e costringendo le popolazioni locali, definite, in modo sprezzante come “nativi”, all’estinzione o più spesso distruggendone l’identità, in termini di storia e di cultura, per poterli schiavizzare, e poi rinchiudere in appositi spazi, comunemente definiti come “riserve”.

Un processo che è stato portato avanti a livello globale e che è spesso arrivato alle sue estreme conseguenze divenendo ormai irreversibile come nelle Americhe ed in Oceania. E se i popoli dell’Asia e dell’Africa si sono salvati dalla “sostituzione etnica”, non è stato per nostra benevolenza, ma per situazioni particolari. In Asia per via delle grandi culture millenarie che preesistevano all’arrivo dello homo occidentalis. In Africa per tante ragioni, tra le quali non ultima (almeno a mio avviso), lo straordinario incremento demografico che ha portato la popolazione a moltiplicarsi di dieci volte in poco più di un secolo (da 120 milioni a inizio del secolo passato agli attuali 1,2 miliardi), come in una sorta di spontanea reazione al tentativo di cancellazione della loro esistenza.

Se interpretiamo in questi termini il rapporto tra Israele e Palestina, capiremo ancora meglio che le attuali vicende non si originano con i fatti del 7 ottobre, ma hanno invece radici profonde nella storia dello Stato ebraico.
Il 1948 è forse la data simbolo che segna l’inizio delle attuali politiche di sostituzione etnica, quando, a seguito della guerra arabo-israeliana, si ebbe l’espulsione, senza possibilità di ritorno dopo il conflitto, dei Palestinesi dalle proprie terre per opera dell’esercito sionista. Un episodio che viene ricordato come nakba, che in arabo significa letteralmente “disastro”, “catastrofe” o “cataclisma”.
Da allora la caccia al palestinese da sradicare dalle sue terre non si è più arrestata, pur assumendo nel tempo forme diverse che possiamo tentare di classificare e riassumere come pratiche di segregazione, deprivazione culturale, genocidio e di recente anche ipotesi di deportazione verso terre altre e lontane.

Il fatto stesso che l’annientamento del palestinese possa essere attuato con mezzi diversi, più o meno violenti, o più o meno subdoli, determina anche l’esistenza di un pluralismo di posizioni politiche all’interno dello Stato ebraico, come può essere dimostrato dalla forte opposizione recentemente cresciuta nei confronti di Netanyahu, del suo governo e a volte anche dei suoi metodi violenti e sbrigativi.
Personalmente, tuttavia, non sono ottimista sulle possibilità di una sostanziale inversione di tendenza nelle politiche di Israele. Anche quando si esprime su posizioni più moderate, tutta la società israeliana è fortemente impregnata dalla idea del diritto di conquista e difesa della “terra promessa”. Ne fa fede il comune sentire. Ne fanno fede i programmi scolastici che di questo mito sono impregnati fin dalle elementari. E d’altra parte non è un caso che lo spirito aggressivo dei coloni è quello che sempre meglio esprime la società israeliana. E neppure è un caso che chi non è allineato, e può permetterselo, preferisce lasciare il paese.

Vi è, in conclusione, un solo elemento di ottimismo possibile, e consiste nel fatto che il mondo, come ha detto qualcuno, è un villaggio globale e quanto succede in Palestina può essere visto e conosciuto in ogni angolo del globo.
Certo non saranno gli Stati, e i governi che li rappresentano, che potranno cambiare l’ordine delle cose, visto che le scelte di geopolitica, per loro stessa natura, sono determinate sempre da interessi parziali ed egoistici e mai da questioni di valore etico. Eppure riteniamo possibile che le immagini di sofferenza, morte e distruzione che ci giungono da Gaza possano scuotere le coscienze dei popoli, come per esempio pare che stia già succedendo nelle tante università americane occupate, in modo da fare maturare nell’opinione pubblica mondiale l’idea che Israele stia portando avanti un progetto, che abbiamo definito, di sostituzione etnica e quindi di annientamento di massa del popolo palestinese.

Solo lo sdegno generalizzato e senza appello, e la mobilitazione di massa a livello globale, possono fermare da subito le mani sporche di sangue dell’assassino. Domani sarà troppo tardi, perché non è vero che la storia è sempre riparatrice. Le tardive considerazioni sulla distruzione, a volte totale, dei popoli vittime del colonialismo occidentale servono a rasserenare le nostre coscienze e a nient’altro.
La Palestina e il popolo palestinese devono continuare a vivere. No al genocidio. No alla sostituzione etnica.

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L’inferno sulla Terra… e il tempo dei mostri: Può nascere un Nuovo Mondo? – Nora Hoppe

 

“La metafora della Palestina è più forte della Palestina della realtà.”    – Mahmoud Darwish

“Il mistero dell’esistenza umana non sta solo nel rimanere in vita, ma nel trovare qualcosa per cui vivere.”   – Fëdor Dostoevskij

 

Mentre scrivo, una parte di Rafah viene inghiottita da un incendio infernale… Se Hieronymous Bosch fosse vivo e al lavoro oggi, come ritrarrebbe l'”Inferno” alla luce di quanto sta accadendo a Gaza? E se lo facesse, il suo dipinto renderebbe giustizia a questa realtà?

Rafah era l’ultima area della Striscia di Gaza che non era ancora stata distrutta dall’entità sionista. Molti Paesi si sono appellati all’entità affinché non attaccasse Rafah, senza alcun risultato. Perché l’entità non dà retta a nessuno e a niente, non rispetta nessuno e niente ed è al di sopra di tutti e di tutto. È una cosa a sé. Un’aberrazione.

Quello che era iniziato come un avamposto coloniale occidentale proliferante per calcolo, si è metastatizzato in una macchina per uccidere… che ora sta persino accelerando la propria fine (anche se non abbastanza velocemente). Come ha detto Norman Finkelstein in questa straordinaria intervista: “‘Israele’ ha raggiunto un punto delirante in cui è in gioco la sopravvivenza non solo delle regioni, ma del pianeta”.

La domanda grande e NUDA che passerà nei libri di storia (se l’umanità sopravviverà ai piani dell’entità sionista) è: Perché il resto del mondo non è stato in grado di fermare il genocidio?

Si può già escludere l'”Occidente” (il mondo anglofono e l’Europa) da questa domanda, in quanto è ed è stato il motore di questa mostruosità; questo loro avamposto di coloni incarna l’essenza stessa del mondo occidentale contemporaneo – la sua morale, i suoi principi, i suoi obiettivi… Significa l’apice di 500 anni di avidità, ipocrisia, arroganza, sfruttamento, saccheggio, razzismo, colonialismo, genocidio.

E il resto del mondo?

Gli stessi palestinesi lottano per la loro stessa vita fin dalla creazione dello “Stato di Israele”; nonostante le innumerevoli morti e le indicibili sofferenze, il loro spirito continua a resistere. Lo Yemen è ora profondamente impegnato in questa battaglia e la vede come una lotta comune. L’intero Asse della Resistenza in Asia occidentale sta facendo il possibile per contrastare i crimini sionisti. La rappresaglia iraniana ha aumentato il morale dei palestinesi e dell’Asse della Resistenza e ha cambiato il paradigma in Asia occidentale. Il Sudafrica ha cercato di fare il possibile con il suo caso presso la Corte internazionale di giustizia e continua a cercare ulteriori azioni punitive. La Colombia ha interrotto i rapporti con Israele e il Nicaragua ha accusato la Germania di favoreggiamento del genocidio presso la Corte internazionale di giustizia. La Russia – oltre a combattere il nazismo nell'”altra guerra” in Ucraina – sta guidando la creazione di un Mondo Multipolare; sia la Russia che la Cina stanno condannando il genocidio, insieme a molte altre nazioni. 143 Stati membri dell’ONU su 193 hanno votato per il riconoscimento dello Stato palestinese… In tutto il mondo gli studenti universitari e altri giovani hanno finalmente iniziato a protestare contro il genocidio…

La Maggioranza Globale – l’88% del pianeta – si oppone alla minoranza – l’Impero e i vassalli in Europa – che sostiene direttamente e indirettamente e addirittura legittima il genocidio.

Eppure… i massacri continuano.

Certamente si può cercare di giustificare questo fallimento da parte della Maggioranza Globale – l’88% del pianeta – nel porre fine al genocidio dicendo: “è complicato”, “non è la NOSTRA guerra; ci stiamo occupando dei nostri conflitti e delle minacce alle nostre nazioni”, “i sionisti hanno armi nucleari e le useranno su di noi quando saranno messi alle strette”, “non possiamo portare la situazione alla terza guerra mondiale”, “le persone ai vertici dell’economia mondiale sono sioniste”, “non abbiamo le strutture legali internazionali per essere coinvolti direttamente”, “dobbiamo pensare alle conseguenze economiche”, “l’entità sionista si sta logorando e si sta consumando da sola, bisogna avere pazienza”, “ci vorrà tempo per creare un’ONU nuova e più giusta”, “dobbiamo aspettare un ‘nuovo ordine mondiale’ per -… “

E… così… i massacri continuano.

A un certo punto nel futuro – se il pianeta esiste ancora – o, come prevede il piano sionista, tutti o la maggior parte dei palestinesi saranno stati massacrati e gli altri espulsi… OPPURE… l’esercito sionista e la società sionista si saranno consumati grazie alla strategia di logoramento impiegata dall’Asse della Resistenza e allo spirito di resistenza dei palestinesi stessi (che avranno pagato con un prezzo incalcolabilmente pesante). In quest’ultimo caso, il trionfo sarà loro – e solo loro! Il “Resto del Mondo”, me compreso, dovrà vivere con una cicatrice sulla coscienza.

Nel frattempo…
Ora, in ogni singolo momento, persone innocenti muoiono di morti atroci. Certo, per ora sono… “solo palestinesi”.

Chi non si rende conto che questa è una guerra contro tutti noi, una Guerra contro l’Umanità, una lotta tra responsabilità etica e barbarie… si illude e finisce per ostacolare le soluzioni. Il genocidio di Gaza è solo la “punta” di un’agenda più ampia. Non dobbiamo dimenticare che l’entità sionista non è che un avamposto coloniale – o per dirla con una formulazione più contemporanea: “la portaerei dell’Impero in Asia occidentale”. (E, come ho scritto in un precedente saggio, questa “entità” coloniale si sta ora mostrando come una fatale maledizione anche per le persone di fede ebraica.)

In questi giorni ci sono discussioni tra Netanyahu e Biden sul fatto che Rafah sia una “linea rossa” – ma si tratta semplicemente di pose teatrali di facciata. Dodici senatori repubblicani statunitensi avrebbero minacciato i membri della Corte penale internazionale di imporre “severe sanzioni” qualora venissero emessi mandati di arresto nei confronti di personaggi come Netanyahu, Gallant e il Capo di Stato Maggiore delle forze di occupazione israeliane (IOF) Herzi Halevi per crimini di guerra – il che verrebbe interpretato “non solo come una minaccia alla sovranità di Israele, ma anche alla sovranità degli Stati Uniti”. L’idea che l’entità sionista comandi l’Impero è assurda e, come al solito, una deviazione dai veri poteri dell’Impero.

Non potremo procedere alla nascita di un Nuovo Mondo senza fare i conti con questa “intera agenda”… e senza comprendere tutto ciò che comporta la scelta tra responsabilità etica e barbarie.

Quindi… come possiamo parlare sinceramente del “Futuro dell’Umanità”?

Come possiamo parlare anche solo pragmaticamente di “un futuro Mondo Multipolare” – un mondo più equo di nazioni diverse, libere e sovrane… quando la questione più urgente ed essenziale che riguarda la nostra umanità non solo non può essere affrontata, ma non può nemmeno essere formulata in modo ufficiale?

Mentre si spera di passare da un mondo unipolare in decadenza e di iniziare a costruire un nuovo Mondo Multipolare, ci si chiede quale posto avranno la nostra umanità e la nostra empatia in tutto questo. Abbiamo uno scopo comune? Quali sono le nostre risorse filosofiche e spirituali? Quali sono i nostri valori più alti e come li radichiamo nelle nostre società? E… qual è il ruolo della cultura oggi?

Quando – a un certo punto, quando saremo tutti sopravvissuti – i palestinesi e l’Asse della Resistenza avranno trionfato nelle loro lotte, saranno LORO ad avere le lezioni più importanti per il mondo.

E si spera che tutti noi possiamo imparare da loro… non solo come evitare futuri genocidi e la discesa nella barbarie, ma anche come concentrarci maggiormente sull’umanità.

 

La de-dollarizzazione è vitale ma non sufficiente… è necessaria anche la de-colonizzazione.

Le menti sono state colonizzate. In tutto il mondo. Affinché nasca un Mondo Multipolare di nazioni veramente sovrane, dovrà disfarsi delle ultime vestigia di razzismo, colonialismo, neoliberismo, tecnofilia e distruzione culturale con cui si è lasciato infettare dai colonizzatori e dagli infiltrati dell’Occidente moderno.

Per cominciare… possono organizzazioni nobili come BRICS+ aprire una nuova categoria per i suoi prossimi vertici? Accanto – o forse anche prima – di tutti gli attuali importanti temi del commercio equo, della cooperazione economica, del miglioramento della logistica, della sicurezza comune, dei vantaggiosi sviluppi tecnologici ecc., ci sono indispensabili questioni filosofiche, etiche e di civiltà che devono essere affrontate. I temi culturali, sociali e spirituali non dovrebbero essere lasciati in secondo piano… perché costituiscono il fondamento di una società giusta.

Considerando lo stato del nostro mondo odierno, la salvaguardia dell’umanità dovrebbe essere di primaria importanza.

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CHIEDERE SCUSA – Ugo Giannangeli

(4 novembre 2023)

Nei giorni scorsi Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della sera si è posto una domanda: che cosa doveva e deve fare Israele, qual è la risposta ragionevole all’azione del 7 ottobre? Della Loggia si risponde ovviamente giustificando Israele che con tonnellate di bombe sta radendo al suolo Gaza uccidendo indiscriminatamente combattenti, donne, vecchi e bambini. Poi Della loggia si allarga giungendo a criticare il diffuso pacifismo e il rifiuto del ricorso alle armi da parte di larghi settori della società civile; secondo Della Loggia il ricorso alle armi ormai è diventato un tabù.

Eppure la risposta, la sola possibile, nell’interesse dello stesso Israele, era lì a portata di mano: Israele, dopo un attacco così eclatante, avrebbe dovuto prendere atto che oltre 75 anni di occupazione, massacri, prigionia, espropri, esili non avevano piegato il popolo palestinese, arrendersi all’evidenza, rinunciare al proprio antico progetto e… chiedere scusa.

Chiedere scusa ai palestinesi ammazzati prima ancora della nascita dello Stato dalle bande terroristiche Stern e Irgun. A quelli ammazzati ed espulsi nel ‘48  e nel ‘67. Ai vecchi, alle donne e ai bambini massacrati a Sabra e Chatila. Ai milioni di prigionieri transitati per le carceri israeliane. Ai gazawi periodicamente bombardati nel 2008/ 2009, nel 2012, nel 2014, nel 2021 ed ora. Alle donne, ai vecchi e bambini che nel 2018 hanno partecipato alla Grande marcia del ritorno e sono stati uccisi o invalidati dai cecchini israeliani che si esercitavano al tirassegno come in un luna park. Ai palestinesi della West Bank costretti quotidianamente all’umiliazione dei check points, a vedere la propria casa demolita, i propri terreni espropriati, i propri olivi sradicati dai bulldozer.

Dopo le scuse, il risarcimento, laddove possibile. Come?

Aprire le frontiere al ritorno dei profughi come ordinato sin dal 1948 dalla risoluzione Onu 194. Chi vuole torna, chi ha ancora la chiave può provare ad aprire la porta ma la serratura sarà stata cambiata. Pazienza: l’inquilino abusivo fornirà la chiave e pagherà anni di affitto arretrato. Chi non può o non vuole tornare avrà diritto a un equo indennizzo.

Ordinare ai 700.000 coloni della West Bank, di Gerusalemme est e del Golan di tornare a loro scelta nelle loro case in Israele o nel Paese di origine da cui si sono mossi per andare a colonizzare un territorio non loro.

Abbattere 720 km di muro per permettere ai palestinesi di percorrere 100 m camminando per 100 m e non per 5 km.

Liberare tutti i prigionieri, risarcendoli per gli anni di vita rubati. Indennizzare le famiglie dei prigionieri uccisi sotto tortura o a seguito di sciopero della fame.

Ricostruire tutta Gaza, le sue moschee, i suoi ospedali, le sue scuole. Consegnare barche nuove ai pescatori.

Ripiantare 2 milioni di olivi e risarcire gli agricoltori per i mancati raccolti.

Richiamare Ilan Pappé chiedendogli scusa e assegnargli una cattedra universitaria dalla quale poter spiegare la vera storia di Israele. Mettere in Tribunale una targa in ricordo dell’avv. Felicia Langer che ha speso la vita a difendere palestinesi avanti alle Corti militari.

Tutto ciò ha costi anche economici enormi. Ma la collettività ebraica della diaspora saprà sostenerli e lo farà anche nell’interesse di Israele perché possa diventare uno Stato normale, con una popolazione non militarizzata nel fisico e nella mente che esprime governi fascisti e razzisti. Israele potrà darsi dei confini, una Costituzione che riproduca i buoni propositi solo enunciati nella Dichiarazione di indipendenza, potrà annullare l’oltraggiosa legge del 2018 sulla supremazia ebraica, potrà distribuire nelle scuole libri che non inneggiano all’odio e al disprezzo verso i palestinesi, potrà avere un esercito che sarà veramente un IDF, esercito difensivo, e non IOF, esercito di aggressione e di occupazione. Avrà severe leggi sulle armi che non consentano a civili di terrorizzare persone inoffensive con armi da guerra.

C’è molto da fare ma si inizi ad interrompere la vendetta e la rappresaglia. Venga il cessate il fuoco, venga la liberazione degli ostaggi insieme alla liberazione di tutti gli ostaggi palestinesi altrimenti detti prigionieri. La storia dirà se sarà necessario convivere vicini ma separati, forse con reciproca diffidenza, o se i palestinesi saranno capaci di perdonare tutto il male subito e riusciranno a convivere in un unico Stato con i loro ex carcerieri con parità di diritti.

Nel mondo scomparirà l’antisionismo e resterà forse solo un po’ di antisemitismo relegato negli ambiti fascisti e razzisti, attuali sostenitori di Israele. Tornerà ad avere un ruolo il diritto internazionale e l’ONU con vantaggio universale. Mentre scrivo giunge la notizia della richiesta di dimissioni di Guterres, segretario dell’ONU, per avere detto due ovvietà: Israele deve rispettare il diritto umanitario e Hamas è frutto dell’occupazione asfissiante. Segue subito la notizia del diniego di visto di ingresso in Israele ai funzionari ONU. Del resto ricordo che a suo tempo Yair Lapid andò a Ginevra sotto la sede del Consiglio dei diritti umani dell’ONU a gridare che quello era il Consiglio dei diritti dei terroristi.

Israele deve essere recuperato da questa deriva e dalla sua assoluta incapacità di riconoscere le proprie responsabilità. Chi vuole aiutarlo non deve assecondarlo ma metterlo all’angolo e fermarlo. Lettere come quella che sta circolando a firma anche di Walzer e Grossmann contro la sinistra internazionale che sarebbe incapace di empatia per gli israeliani innocenti uccisi non aiutano perché non individuano il nocciolo del problema: come ci si può dolere della mancanza di empatia per le vittime civili israeliane mentre si bombardano civili palestinesi fin dentro le autombulanze e la conta provvisoria ad oggi è di quasi 10.000 uccisi di cui oltre 3500 bambini?

Nonostante la forsennata campagna mediatica in corso la cosiddetta società civile ha capacità critica e di discernimento. Lo dimostrano le oceaniche manifestazioni nel mondo a favore delle ragioni del popolo palestinese. E chi partecipa a queste manifestazioni ha empatia per tutte le vittime ma è capace di individuare le responsabilità.

 

 

 

 

A Sde Teiman Israele ha la sua Guantanamo – Michele Giorgio

CONTRO SDE TEIMAN e gli altri centri sono state rare, sino ad oggi, le voci di protesta in Israele. Larghe porzioni di popolazione e mondo politico invocano ancora la rappresaglia più dura contro tutta Gaza allo scopo di ottenere con la forza la liberazione dei 130 ostaggi israeliani, civili e militari, che sono nelle mani di Hamas. A inizio mese un medico, di cui la stampa non ha rivelato l’identità, ha denunciato in una lettera alle autorità le condizioni dei prigionieri presi a Gaza.

«Proprio questa settimana – ha raccontato il medico – a due prigionieri sono state amputate le gambe a causa di ferite dovute alle manette, purtroppo un evento di routine…i detenuti vengono nutriti con cannucce, defecano nei pannolini e sono tenuti confinati costantemente, il che viola l’etica medica e la legge». Tutti i pazienti dell’infermeria di Sde Teiman «sono ammanettati con tutti e quattro gli arti, indipendentemente da quanto siano ritenuti pericolosi». Un quadro persino più terrificante è stato fatto dalle persone interrogate a Sde Teiman e rilasciate dopo settimane o mesi.

I detenuti, hanno detto, sono tenuti in una specie di gabbia, inginocchiati in una posizione dolorosa per molte ore ogni giorno. Sono ammanettati e bendati. È così che mangiano, si nutrono e ricevono cure mediche. I soldati, hanno aggiunto, picchiano i detenuti, talvolta urinano su di loro, li privano del cibo, dei servizi igienici e del sonno.

Altre denunce, tra cui un documento dell’agenzia Unrwa (Onu) che include le testimonianze di oltre 100 ex prigionieri, riferiscono che le persone sono tenute in recinti all’aperto, con il divieto di muoversi o parlare, e subirebbero regolarmente gravi violenze che portano a fratture, emorragie interne, morte per mancanza di cure. Secondo una inchiesta svolta dalla giornalista Hagar Shezaf di Haaretz, a inizio marzo erano già 27 i detenuti morti in custodia militare…

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Il più grande scandalo umanitario della storia – Andrea Zhok

Dalle notizie che giungono ieri sera a Rafah l’esercito israeliano ha bombardato le tende degli sfollati poste accanto ai magazzini dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency).

Il numero dei morti e dei mutilati è indefinito, ma l’ordine di grandezza è del centinaio.

Non è naturalmente il primo crimine di guerra di vaste proporzioni, in mondovisione, di cui l’IDF si macchia. Il rischio di assuefarsi all’orrore è perciò elevato. Un bambino straziato od orfano è difficile da reggere se visto da vicino; ma quando entriamo nell’ordine delle decine con cadenza quotidiana per mesi, l’intollerabilità può tradursi in fuga mentale, rimozione.

Non si sa bene cosa aggiungere come commento a quello che è forse il più grande scandalo umanitario della storia. Peggiore non per i numeri, ma per il fatto di avvenire sostanzialmente in diretta, a disposizione di chiunque desideri informarsi (dunque non i fruitori della nostra stampa mainstream), e dunque di fatto nell’accettazione ufficiale.

Sconvolge che ci sia ancora gente che ha la faccia di latta di affermare che questa non è altro che la risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre, che questo scempio rientra sotto la voce “legittima difesa”. (Un po’ come immaginare che agli attentati dell’IRA a Birmingham nel 1974 l’esercito britannico avesse risposto bombardando a tappeto l’Irlanda del Nord.)

Questa è davvero l’epoca della falsificazione sistematica delle coscienze, della malafede imperante e a reti unificate, della menzogna ripetuta e infiocchettata da telecamere compiacenti, della manipolazione mentale con giri di parole e uragani di ipocrisia.

Lottare politicamente oggi è innanzitutto lottare per la verità, per la disposizione costante a cercarla e poi per il coraggio di affrontarla.

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Perché il bilancio delle vittime di Gaza è probabilmente più alto di quanto riportatoLiat Kozma, Wiessam Abu Ahmad

Il numero delle vittime e l’incidenza delle malattie e dei decessi dovuti alla mancanza di condizioni sanitarie di base, cibo e assistenza medica richiedono un urgente dibattito pubblico in Israele.

Il numero delle vittime nella Striscia di Gaza negli ultimi sette mesi è spaventoso. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari oltre 34.000 persone sono state uccise e oltre 77.000 ferite e altre 11.000 intrappolate sotto le macerie delle loro case e considerate disperse.

Ma questa è solo una parte del quadro. Riteniamo che i numeri di morbilità e mortalità a Gaza siano in realtà più alti. La nostra conclusione si basa sul confronto con la situazione della sanità pubblica nei campi profughi immediatamente dopo la guerra del 1948 e sulla familiarità con i dati epidemiologici in generale. Riteniamo che il numero delle uccisioni e l’incidenza delle malattie e dei decessi dovuti alla mancanza di condizioni sanitarie di base, cibo e assistenza medica richiedano un urgente dibattito pubblico in Israele.

Una lettura dei documenti storici solleva diversi importanti paralleli, così come differenze, soprattutto a scapito della situazione attuale. Allora come oggi, centinaia di migliaia di persone hanno dovuto lasciare le proprie case senza alcuna possibilità di tornare.

Nel 1948, circa 700.000 rifugiati furono dispersi in Cisgiordania, Gaza e nei paesi arabi. In Cisgiordania una popolazione di 400.000 abitanti assorbì 300.000 rifugiati, mentre 80.000 persone a Gaza accolsero il triplo di rifugiati. Nella guerra attuale l’assedio di Gaza e la chiusura del confine con l’Egitto durante l’inverno hanno costretto circa 1,5 milioni di persone a rifugiarsi a Rafah, un’area con una popolazione normalmente pari a un decimo di quella cifra. L’affollamento è tale da presentare un grave rischio per la salute e la vita.

Nel 1948 e nel 1949 le organizzazioni umanitarie internazionali si sforzarono di prevenire ciò che era considerato un pericolo per la vita di tutte le persone nella regione, non solo dei rifugiati. Una tipologia di intervento è stata la prevenzione della carestia attraverso la fornitura di farina, olio, zucchero e frutta secca, oltre che latte per i bambini (finanziato dall’UNICEF). Questi prodotti, poveri di proteine ​​e vitamine, furono considerati adeguati per un breve periodo fino al raggiungimento di un accordo tra le parti cosa che, come sappiamo, non avvenne mai.

Ma, come notato dalla Croce Rossa Internazionale, già il 7 ottobre le consegne di cibo a Gaza erano state tagliate drasticamente e senza paragone rispetto ai precedenti scontri. La distruzione di quel poco di terreno agricolo esistente ha lasciato gli abitanti di Gaza senza alternative locali.

Ciò che all’inizio della guerra aveva portato all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e alla povertà si è trasformato nei mesi successivi in ​​una vera e propria carestia, inizialmente nel nord di Gaza e ora per oltre 2 milioni di persone. Ci sono segnalazioni di famiglie che sopravvivono con mangime per bestiame, insetti e piante normalmente non commestibili: un’alimentazione insufficiente e inadatta al consumo umano. Non arrivano abbastanza camion di aiuti, quindi il bisogno di cibo e prodotti di base è lungi dall’essere soddisfatto. Il lancio di provviste è inefficiente, a volte addirittura mortale, e una parte degli aiuti finisce in mare.

Senza un sistema di monitoraggio e con la distruzione delle forze di polizia a Gaza bande di malviventi si appropriano dei pacchi di aiuti e li vendono ai bisognosi a caro prezzo. Quindi il cibo ancora non arriva alla popolazione affamata e il numero dei morti dovuti alla fame è in aumento.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari circa il 31% dei bambini sotto i 2 anni nel nord di Gaza e circa il 10% a Rafah soffrono di grave malnutrizione. Non si conosce ancora il numero dei morti per fame, ma è chiaro che molte persone stanno subendo danni irreversibili. Le persone che sopravvivono per mesi nutrendosi di erbacce e mangime per il bestiame non sopravviveranno a lungo.

Il secondo intervento nel 1948 fu dettato dalla consapevolezza che senza acqua pulita e condizioni igieniche adeguate le epidemie trasmesse dall’acqua e dagli insetti sarebbero state fatali per tutte le popolazioni della regione. Per questo motivo le organizzazioni umanitarie ritennero fondamentale fornire acqua potabile e vaccini, implementando al contempo quarantene durante le epidemie e spruzzando frequentemente insetticida. Quest’ultimo si è rivelato tossico nel lungo periodo, ma nel breve periodo salvò le concentrazioni di rifugiati da epidemie letali.

Tuttavia oggi l’acqua pulita è praticamente indisponibile per la maggior parte dei residenti di Gaza. Le organizzazioni umanitarie stimano che tutte le malattie trasmesse dall’acqua siano già diffuse a Gaza. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il numero dei malati di malattie prevenibili potrebbe presto superare quello delle vittime degli attacchi militari. La mancanza di acqua pulita e di cure mediche può portare allo scoppio di malattie letali trasmesse dall’acqua, persino del colera.

La portavoce dell’OMS Margaret Harris ha detto al Guardian che già all’inizio di novembre la diarrea tra i bambini nei campi di Gaza era oltre 100 volte superiore al livello normale. Senza cure disponibili, ciò può portare alla disidratazione e persino alla morte; la diarrea grave è la seconda causa di morte più comune tra i bambini sotto i 5 anni in tutto il mondo. Sono in aumento anche le infezioni delle vie respiratorie superiori, la varicella e le malattie dolorose della pelle.

Inoltre le aree con un gran numero di cadaveri e parti del corpo insepolte costituiscono un ambiente ideale per i batteri e la diffusione di malattie attraverso l’aria, l’acqua, il cibo e gli animali. In condizioni di elevata densità di popolazione è praticamente impossibile attuare quarantene o spruzzare insetticidi e in mancanza di infrastrutture igienico-sanitarie adeguate è anche impossibile contrastare le malattie trasmesse dall’acqua.

Un terzo intervento nel 1948 fu la realizzazione di cliniche e ospedali. Le organizzazioni umanitarie ampliarono gli ospedali esistenti, ne costruirono di nuovi e aprirono ambulatori medici nei campi e nei centri per rifugiati. Niente di tutto questo sta accadendo oggi. I bombardamenti e il lungo assedio hanno completamente distrutto il sistema sanitario di Gaza. Gli ospedali ancora parzialmente funzionanti soffrono di grave carenza di attrezzature mediche e farmaci.

Già sei mesi fa sono iniziate a circolare notizie di tagli cesarei e amputazioni senza anestesia. Il sistema sanitario non solo non è in grado di fornire trattamenti di routine e cure preventive, ma non è nemmeno in grado di fornire cure di emergenza. La continua assenza di questi tre tipi di trattamenti – di routine, preventivi e di emergenza – può portare a un aumento esponenziale dei tassi di mortalità, di malattie e persino di epidemie. Le malattie croniche – comprese le malattie cardiache, renali, il cancro e il diabete – non vengono curate ed è molto dubbio che i pazienti cronici siano sopravvissuti alla guerra; solo pochi fortunati sono stati in grado di lasciare Gaza per ricevere cure mediche in Egitto.

In questo contesto, il silenzio degli israeliani sta costando vite umane. Anche coloro che mettono in guardia contro una “seconda Nakba” devono riconoscere che i danni della guerra attuale hanno già superato di gran lunga quelli della prima Nakba. E ogni giorno che passa – con la carenza di cibo, di condizioni sanitarie adeguate e di assistenza – aumenta ulteriormente il costo umano. Qualsiasi dibattito sulla guerra deve tenere conto delle sue implicazioni di vasta portata e a lungo termine per tutti coloro che vivono in questa terra.

 

Liat Kozma è una storica e Wiessam Abu Ahmad è uno studioso di biostatistica presso l’Università Ebraica di Gerusalemme.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)

da qui

 

*451 gradi Fahrenheit è la temperatura alla quale brucia la carta nelle biblioteche palestinesi, secondo Ray Bradbury

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

2 commenti

  • Giuseppe Callegari

    Una cosa che sembra non essere chiara a coloro che assistono al massacro di Gaza con criminale indifferenza è che i genocidi non si misurano sul numero dei morti, ma sulla intenzionalità.

  • Francesco Masala

    “Non ci sono civili innocenti a Gaza”, ha detto il 13 ottobre il presidente di Israele, Isaac Herzog.

    se non è intenzionalità e sostegno al genocidio…

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