Fernando Eros Caro nel braccio della morte – 4
Un altro racconto ripreso da «Saai Maso» (*)
Maiso e Hima’a (La tarantola e la vespa)
C’era una volta una tarantola che si chiamava Maiso. Viveva in una casa che, in realtà, era un buco nel terreno. L’ingresso aveva una specie di porta che serviva a tenere fuori il sole, così da mantenere il rifugio più fresco. Un giorno Maiso sentì un rumore fuori dell’uscio. Si trattava di Hima’a, la vespa, che volava ronzando sulla sua tana. Maiso sapeva che se avesse aperto la porta, Hima’a sarebbe entrata e l’avrebbe punta. Quindi avrebbe deposto le uova nel suo addome e lei sarebbe diventata cibo per i piccoli, quando la nidiata si fosse schiusa. Quell’idea faceva rabbrividire la povera tarantola che, parecchio spaventata, tenne la porta ben serrata e non uscì fuori per un bel po’.
Dopo molti taiwaim (giorni), Maiso era proprio affamata e sentiva bisogno di uscire per andare alla ricerca di cibo. Ma aveva anche una fifa matta, perché sentiva ancora quel ronzio furibondo all’esterno. Hima’a poi aveva la pessima abitudine di strillare continuamente: «Vieni fuori, fifona, non puoi startene rintanata nel tuo buco per sempre!». Questo accresceva ancor più lo spavento dell’assediata ma la sua fame era insopportabile e sapeva che prima o poi avrebbe dovuto uscire per andare a procacciarsi qualcosa da mangiare.
Una mattina, quando sembrava essere finalmente tornata la calma, Maiso aprì uno spiraglio della porta e sbirciò fuori: non riusciva vedere nulla di allarmante e poi era così affamata che alla fine decise di sgattaiolare all’esterno.
Non ebbe nemmeno il tempo di allontanarsi che, improvvisamente, udì una voce stridula sopra di sé: Hima’a la minacciava: «Eccoti, adesso sì che sei mia, e stai per diventare il nutrimento dei miei piccoli!» e piombando in picchiata trafisse col suo pungiglione velenoso la povera tarantola, che restò lì, completamente paralizzata dal dolore. Quindi, la perfida, scavò una piccola buca dove sistemò la sua preda, a pancia in su.
Con le gambe ingloriosamente all’aria e senza potersi muovere, la sventurata implorò la sua aguzzina: «Ti prego, prima di lasciarmi qui, al mio destino, posso chiederti il favore di colorare le piante dei miei piedi con un bel colore rosso?».
Un po’ interdetta, ma anche parecchio incuriosita, la vespa replicò: «E perché mai desideri che ti dipinga i piedi di rosso?».
«Così quando qualcuno camminerà vicino al mio corpo – concluse Maiso – almeno potrà ammirare quanto sono belli i miei piedi».
Questa è la fine della storia.
Quando ti troverai di fronte a una morte ormai prossima, libera sia la tua mente da ogni dubbio, sia i tuoi pensieri dal sentimento di vendetta. In tal modo potrai sconfiggere la paura.
(*) Questo è uno dei brevi racconti, ripresi dalla cultura yaqui, che Fernando Eros Caro ha inviato tempo fa a Marco Cinque dal braccio della morte di San Quentin dove si trova da più di 25 anni. Sono stati pubblicati nel libro «Saai Maso (Fratello Cervo)» ormai esaurito; ma si possono ordinare copie dal sito de ilmiolibro.it, perché ne è stata realizzata anche un’auto-pubblicazione; a questo link http://ilmiolibro. kataweb.it/schedalibro.asp?id=540587». Se cercate altre notizie su Fernando Eros Caro ricordate che qui in “bottega” di lui si è parlato più volte.