Fog 2024 – Fine stagione
susanna sinigaglia
Fog 2024 – rassegna di danza e teatro – Triennale
Teatro dell’arte Milano
Fine stagione
To Da Bone
(LA)HORDE
Finale scoppiettante quello che ha concluso la stagione di Fog, il 7 maggio scorso, con la compagnia (LA)HORDE che ha portato in scena la coreografia To Da Bone, un titolo approssimativamente traducibile con un significativo “Fino al midollo”. E in coerenza, il pubblico ha assistito a varie riprese a un’esplosione esuberante di energia, mentre il gruppo di ragazzi scatenati (con un’unica presenza femminile) percorreva in su e in giù il lungo salone a gomito, quasi una pista di atletica, al primo piano della Triennale.
La compagnia – fondata nel 2013 da Arthur Harel, Jonathan Debrouwer e Marine Brutti – s’interroga sulla portata politica della danza registrando e facendo proprie le forme coreografiche della ribellione giovanile nelle banlieu, sia di massa sia isolate, dalle danze tradizionali ai rave fino al jump style che ha ripreso e sviluppato. Questo tipo di danza mette in moto soprattutto le gambe, con potenti salti e ardite giravolte, mentre le braccia hanno la funzione, essenziale, di mantenere l’equilibrio.
Il jump style affonda le radici in varie culture popolari e mi ricorda la capoeira, danza di lotta creata dagli africani portati come schiavi in Brasile e ancor oggi molto in voga fra i giovani, e i meno giovani, che ballano per strada in molte parti del mondo. Nasce negli anni ’90 in Olanda e Belgio e si riattualizza negli anni 2000 diffondendosi in Italia, Europa dell’Est, Australia e Malesia. Grazie a Internet, si ripropone sulla scena in una sorta di rinascita comportandosi come il sasso gettato nello stagno da cui si generano espandendosi tanti cerchi concentrici. Questa è la felice metafora usata da un componente del gruppo nell’intervista rilasciata al magazine online ZERO in occasione della presenza di (LA)HORDE all’Hangar Bicocca nell’ottobre del 2021.
Con tale nome la compagnia, spiega ancora il danzatore, voleva esprimere “…l’idea di gruppo aperto…” per “…creare qualcosa che fosse più grande di noi. Abbiamo scelto (LA)HORDE anche perché cercavamo una parola che fosse comprensibile in diverse lingue, e poi abbiamo deciso di inserire l’articolo femminile in francese tra parentesi in modo che ci avvicinasse alle questioni di genere e ci permettesse di rappresentare il nostro pensiero non binario”.
Il gruppo è interessante perché nella sua ricerca volta a creare un nuovo stile artistico e di prassi politica, arte e politica si alimentano in un unico flusso diventando perciò uno stile di vita. E forse, dalla fusione di tradizioni popolari e tecnologia degli odierni mezzi di comunicazione, possono emergere le indicazioni per virare verso una strada diversa dalla china su cui sembra diretta – pericolosamente – l’umanità.
Il giorno precedente, erano stati proiettati vari film su alcune performance particolarmente significative del gruppo – Ghosts, Room with a view, Cultes e The Master’s Tool – che purtroppo non ho potuto vedere per altri impegni. Ne segnalo tuttavia i titoli perché recuperabili sul web.
La tana
Annamaria Ajmone
Silvia Costa
Nello stesso tempo, il pubblico veniva accolto in vari spazi della Triennale allestiti per accogliere altrettanti eventi specifici. Così nella platea del Teatro dell’arte si trovava uno strano allestimento, con oggetti pendenti dal soffitto. Sembravano collane di grosse perle intrecciate con altri materiali non meglio identificati
che mi hanno immediatamente ricordato l’acconciatura di Jonny Depp / Jack Sparrow, nella serie di film I pirati dei Caraibi, e anche il mostro con la faccia da piovra, Davy Jones, l’antagonista per eccellenza di Jack.
In galleria, vuota di pubblico, campeggiava uno di questi oggetti in dimensioni maggiori, luminoso però come una luce al neon. Davanti al pubblico in platea, c’era una specie di cavalletto-lavagna sul quale una performer ha iniziato a incollare grandi fogli bianchi con scritte nere a stampatello i cui protagonisti erano i “faggots” (froci) … Il titolo del “racconto” era
e questa la conclusione
In seguito il pubblico è stato invitato a salire sul palco; non mi è stato molto chiaro a che cosa mirasse l’azione. Sul palco c’era un sintetizzatore da cui un performer traeva suoni in libertà. C’erano anche due alte casse che venivano trascinate, a turno, da alcune ragazze.
Mi sono allontanata e mi sono diretta in una stanza attigua al corridoio che in genere funge da sala d’attesa e retropalco. Qui si poteva guardare una videoperformance di danza che si svolgeva nella corte interna di un antico palazzo; protagoniste due ragazze con un ragazzo.
La sala della proiezione era allestita con varie corde di stoffa e indumenti che pendevano dal soffitto; un motivo ricorrente della serata, questo dei pensili.
Infine, dopo aver visto To Da Bone, mi sono avviata verso lo spazio retrostante la galleria del teatro per l’ultimo evento della serata. Non consisteva in performance – installazioni o qualcosa del genere – ma, elaborata dalla Thyself Agency, era invece una proposta rivolta al pubblico cui offriva due possibilità: vivere per una settimana nei panni di un’altra persona e vivere una settimana di nove giorni. Materialmente, realmente. Mentre uno degli organizzatori ci spiegava in che cosa consistessero le due esperienze, è intervenuta una ragazza che aveva scelto la prima: era diventata una persona più giovane e vivendo con madre e nonna era entrata in una nuova dimensione di sé. Ha raccontato che l’esperienza aveva accresciuto la sua autostima.
E su questa nota positiva, ho lasciato l’ultima serata di Fog 2024.