FOGLIO DI COLLEGAMENTO INTERNO DEL COMITATO PAUL ROUGEAU
Freddie Owens
Numero 322 – Settembre 2024
Sommario
Freddie Owens giustiziato nella Carolina del Sud Pag. 2
Ennesima esecuzione in Texas 4
Emmanuel Littlejohn messo a morte in Oklahoma 7
L’Alabama mette infine a morte un uomo condannato per aver ucciso 3 persone 8
Sfida dietro le sbarre: il crescente movimento contro la pena di morte in Iran 11
Un uomo innocente nel braccio della morte da 46 anni.
È questo il più grave errore giudiziario commesso nel mondo 14
FREDDIE OWENS GIUSTIZIATO NELLA CAROLINA DEL SUD
Il 20 settembre u. s. è stato giustiziato Freddie Owens, probabilmente innocente dell’omicidio per il quale era stato condannato a morte. Owens uccise in carcere il compagno di cella Christopher Lee, un ventottenne che stava scontando una condanna a 90 giorni di reclusione per violazioni del codice della strada, che lo aveva preso in giro.
Due giorni prima del 20 settembre, data dell’esecuzione di Freddie Owens, di 46 anni, condannato a morte per l’omicidio del 1997 di una dipendente di un minimarket a Greenville, nella Carolina del Sud, un suo avvocato ha depositato una dichiarazione giurata in tribunale, in cui spiegava dettagliatamente come il coimputato di Owens, Steven Golden, abbia ammesso di aver mentito sul crimine per salvarsi.
La settimana prima dell’esecuzione, la Corte Suprema dello Stato aveva respinto una richiesta di sospensione, nonostante Golden, in una dichiarazione giurata, avesse affermato di aver avuto un accordo segreto con i pubblici ministeri che non era mai stato rivelato alla giuria. “Freddie Owens non è la persona che ha sparato a Irene Graves allo Speedway il 1° novembre 1997”, affermava Golden nella dichiarazione giurata. “Freddie non era presente quando ho rapinato lo Speedway quel giorno”.
Owens, allora diciannovenne, in quel periodo aveva rapinato vari negozi a Greenville con un gruppo di amici.
Fu riconosciuto colpevole dell’omicidio della Graves e condannato a morte nel 1999. Durante il procedimento giudiziario, i pubblici ministeri dissero che Owens e Graves erano entrati nello Speedway per rapinare il negozio. Pochi minuti dopo, dissero che Owens aveva sparato alla testa della Graves.
Nonostante non avessero prove forensi, durante il processo gli investigatori usarono le dichiarazioni di Golden e della fidanzata di Owens per incriminarlo per l’omicidio. Owens si dichiarò innocente durante il processo e disse alle forze dell’ordine che era a casa a letto al momento della rapina.
La Graves era una madre single di 41 anni con 3 figli. Quello presso Speedway era uno dei suoi 3 lavori. Lavorava anche presso Kmart e Bi-Lo, secondo il suo necrologio. Uno dei suoi figli era al college. Gli altri 2 avevano 8 e 10 anni.
La notte dopo la sua condanna nel febbraio 1999, Owens fu riportato nella prigione della contea di Greenville in attesa del trasferimento nel braccio della morte. Lì, uccise il compagno di cella, Christopher Lee, un ventottenne che stava scontando una condanna a 90 giorni per violazioni del codice della strada. Owens affermò che Lee lo aveva preso in giro per la sua condanna a morte, quindi lui, accecato dalla rabbia, lo picchiò, lo strangolò e lo pugnalò con una penna, come affermano i documenti del tribunale. Owens non fu mai processato per l’omicidio di Lee, dal momento che era già stato condannato a morte per l’assassinio della Graves.
Quindi Owens era certamente un violento, ma a detta di Golden, davvero non aveva ucciso Irene Graves. “Gli investigatori mi dissero che sapevano che Freddie era con me quando rapinai lo Speedway. Mi dissero che avrei potuto anche rilasciare una dichiarazione contro Freddie perché aveva già raccontato la sua versione a tutti e loro stavano solo cercando di ottenere la mia versione della storia. Avevo paura di ricevere la pena di morte se non avessi rilasciato una dichiarazione. Firmai un modulo di rinuncia ai diritti e poi firmai una dichiarazione l’11 novembre 1997”, disse Golden.
Golden ha detto di aver fatto il nome di Owens come assassino perché temeva per la sua vita. “In quella dichiarazione, ho sostituito Freddie con la persona che era realmente con me allo Speedway quella notte. L’ho fatto perché sapevo che era quello che la polizia voleva che dicessi, e anche perché pensavo che il vero tiratore o i suoi complici avrebbero potuto uccidermi se l’avessi nominato alla polizia. Ho ancora paura di questo. Ma Freddie in realtà non era lì”, ha detto Golden.
“Mi faccio avanti ora perché so che la data dell’esecuzione di Freddie è il 20 settembre e non voglio che Freddie venga giustiziato per qualcosa che non ha fatto. Questo mi ha pesato molto e voglio avere la coscienza pulita”, si legge nella dichiarazione giurata di Golden.
Golden era stato condannato a 30 anni di prigione poco dopo la condanna di Owens.
I pubblici ministeri hanno però sostenuto che Golden non era l’unico collegamento che legava Owens al crimine. Molti amici di Owens avevano testimoniato di aver pianificato la rapina al negozio con lui e che Owens in seguito si era vantato di aver ucciso la commessa. Anche la sua ex fidanzata era salita sul banco dei testimoni, affermando che Owens le aveva confessato l’omicidio.
Sempre il 18 settembre, un giudice federale ha rifiutato di sospendere l’esecuzione di Owens respingendo l’ultima sfida federale dei suoi avvocati, che chiedevano maggiori informazioni sui farmaci che avrebbero posto fine alla sua vita.
Come quella di tanti altri condannati a morte, anche l’infanzia di Owens fu disastrosa. Nacque prematuro da una madre che faceva uso di droghe, anche durante la gravidanza. Sia i suoi genitori biologici che il suo patrigno abusarono fisicamente ed emotivamente di lui e dei suoi tre fratelli durante tutta la loro infanzia. Suo padre e il suo patrigno spacciavano droga e spesso entravano e uscivano di prigione, secondo i documenti depositati in tribunale.
Quando Owens aveva 5 anni, lui e i suoi fratelli furono dati in affidamento perché erano stati lasciati a casa da soli, senza cibo né elettricità. Freddie ebbe difficoltà a scuola, ricevendo voti bassi e mettendosi nei guai per aver litigato con altri bambini. Dopo aver ripetuto diverse classi, abbandonò la scuola in terza media. “Non ci furono letteralmente figure genitoriali, nessun modello, che non fosse tossicodipendente o criminale violento o entrambi, nella sua prima infanzia”, ha scritto un medico dopo aver valutato Owens e la sua storia. Owens trascorse del tempo nel sistema giudiziario minorile dello stato, dove altri adolescenti abusarono di lui fisicamente e sessualmente, hanno affermato i suoi avvocati.
A un certo punto della sua infanzia, Owens subì anche danni al lobo frontale, la parte del cervello che regola gli impulsi e le emozioni di una persona. Ciò portò a scoppi violenti e aggressivi, ansia, depressione, paranoia e convulsioni.
La legge della Carolina del Sud consente ai detenuti condannati di scegliere tra l’iniezione letale, il nuovo plotone di esecuzione o la sedia elettrica costruita nel 1912. Owens ha delegato la scelta al suo avvocato, affermando di aver pensato che facendola di persona sarebbe stato complice della sua stessa morte, e le sue convinzioni religiose condannano il suicidio. Alla fine, il suo avvocato ha optato per l’iniezione letale.
La vigilia dell’esecuzione, il 19 settembre, il gruppo South Carolinians for Alternatives to the Death Penalty ha consegnato una petizione con oltre 10.000 firme all’ufficio del governatore Henry McMaster, esortandolo a commutare la condanna di Owens in ergastolo.
Questa è stata la prima volta che McMaster si è trovato ad affrontare la questione se concedere la clemenza a un condannato a morte.
Si è rifiutato di rivelare la sua decisione in anticipo, dichiarando ripetutamente ai giornalisti che avrebbe risposto alla domanda solo quando fosse stato richiesto dalla legge. Ha mantenuto il suo sostegno alla pena di morte una volta esaurite tutte le altre vie legali come forma di giustizia per le famiglie delle vittime.
Nessun governatore della Carolina del Sud ha concesso la clemenza a un detenuto da quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha consentito la ripresa delle esecuzioni nel 1976, secondo il Death Penalty Information Center. E infatti anche questa volta la durezza di cuore non si è smentita: la grazia è stata negata e il 20 settembre la Carolina del Sud ha messo a morte Freddie Owens, riprendendo le esecuzioni dopo una pausa involontaria di 13 anni, perché i funzionari della prigione non riuscivano a procurarsi i farmaci necessari per le iniezioni letali.
Quando si è aperto il sipario della camera della morte, Owens era legato a una barella, con le braccia tese lungo i fianchi. Non ha rilasciato alcuna dichiarazione finale, ma dopo che gli è stato somministrato il farmaco, ha detto “addio” al suo avvocato che risposto dicendogli a sua volta “addio”. È sembrato cosciente per circa un minuto, poi ha chiuso gli occhi e fatto diversi respiri profondi. Il suo respiro si è fatto più superficiale e il suo viso si è contratto per altri 4 o 5 minuti prima che i movimenti cessassero del tutto. Un medico professionista è entrato e lo ha dichiarato morto poco più di 10 minuti dopo, alle 18:55.
Nonostante il rifiuto del giudice federale di fermare l’esecuzione di Owens in seguito alle domande degli avvocati sulla fornitura dei farmaci letali dello Stato, la causa intentata continuerà per il bene di altri detenuti condannati che presto dovranno scegliere il loro metodo di esecuzione.
Le esecuzioni potrebbero continuare fino a marzo. La prossima volta che l’Alta Corte dello stato potrebbe emettere un mandato di morte sarebbe il 27 settembre, secondo la sua stessa tempistica. I giudici hanno concordato di programmare le esecuzioni a distanza di almeno 5 settimane l’una dall’altra.
L’ordine delle prossime esecuzioni dipenderà dalla data del crimine. Ciò significa che il prossimo in linea sarà Richard Moore, condannato nel 2001 per l’omicidio di un impiegato di una stazione di servizio 2 anni prima.
Cinque uomini, dopo Owens, affrontano un’imminente esecuzione e sono tra i 31 elencati nel braccio della morte della Carolina del Sud: 14 neri e 17 bianchi.
Dall’ultima esecuzione nello stato nel 2011, 4 detenuti condannati sono morti per cause naturali o sospetto suicidio. (Grazia)
ENNESIMA ESECUZIONE IN TEXAS
Travis Mullis, di 38 anni, è stato messo a morte con un’iniezione letale nel penitenziario statale di Huntsville in Texas. Era stato condannato per aver picchiato a morte il figlio Alijah nel gennaio 2008.
È morto dopo aver ringraziato coloro che lo stavano uccidendo.
“Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno accettato per l’uomo che sono diventato durante i miei momenti migliori e peggiori”, ha detto Travis Mullis, mentre era legato alla barella della camera della morte, dopo che il suo consigliere spirituale ha offerto una breve preghiera su di lui.
Ha anche ringraziato i funzionari e il personale del carcere “per i cambiamenti fatti in tutto il sistema” che hanno permesso “la riabilitazione” anche agli uomini nel braccio della morte così da non essere più considerati una minaccia.
Ha aggiunto di non essersi pentito di aver deciso di accelerare l’esito del processo quasi si trattasse di un suicidio assistito. “Ciò di cui mi pento è la decisione di togliere la vita a mio figlio”. Si è scusato con la madre di suo figlio, con la sua famiglia e ha detto di non provare alcun sentimento cattivo nei confronti di chiunque sia coinvolto nella punizione.
“È stata la mia decisione a portarmi qui”, ha detto.
L’esecuzione è stata ritardata di circa 20 minuti mentre i tecnici lavoravano per trovare una vena adatta. Un ago collegato alla flebo con la dose letale di pentobarbital sedativo è stato inserito nel braccio destro, come di consueto. Un secondo ago, invece di entrare nel braccio sinistro, è stato inserito nel piede sinistro.
Ha chiuso gli occhi quando il farmaco ha iniziato a fare effetto e ha fatto sette respiri appena percettibili prima che il suo respiro si fermasse bruscamente. È stato dichiarato morto con 20 minuti di ritardo.
Mullis è stato il quarto detenuto messo a morte quest’anno in Texas, lo Stato in cui la pena capitale è più diffusa. Un’altra esecuzione è stata effettuata in Missouri; mentre erano previste esecuzioni in Oklahoma e Alabama, E nella Carolina del Sud.
Se le esecuzioni programmate in Alabama e Oklahoma verranno portate a termine come previsto, sarà la prima volta in più di 20 anni – dal luglio 2003 – che ce ne saranno cinque in sette giorni, secondo l’organizzazione no-profit Death Penalty Information Center, che non prende posizione sulla pena capitale ma è critica sul modo in cui gli Stati eseguono le esecuzioni.
L’esecuzione di Mullis è avvenuta dopo che uno dei suoi avvocati, Shawn Nolan, ha dichiarato di non avere intenzione di ricorrere in appello nel tentativo di risparmiare la vita del detenuto. Nolan ha anche affermato in una dichiarazione che il Texas avrebbe giustiziato un “uomo redento” che ha sempre accettato la responsabilità di aver commesso “un crimine orribile”.
In una lettera presentata a febbraio al giudice distrettuale George Hanks di Houston, Mullis aveva scritto di non voler rimettere in discussione il suo caso. Mullis si è assunto la responsabilità per la morte del figlio e ha affermato che “la sua punizione è adeguata al crimine”.
L’accusa, durante il processo, si è concentrata sulla storia di violenza di Mullis e ha sostenuto che la minaccia che rappresentava non poteva essere mitigata da un trattamento o dall’incarcerazione.
La confessione scritta e videoregistrata di Mullis di aver ucciso il figlio, secondo i documenti del tribunale, “ha fornito basi quasi indifendibili per la condanna”.
I pubblici ministeri hanno affermato che Mullis era un “mostro” che manipolava le persone, e rifiutava l’aiuto medico e psichiatrico che gli era stato offerto.
Negli anni successivi alla sua condanna, Mullis ha cambiato più volte idea sull’opportunità di appellarsi alla sua condanna a morte nei tribunali statali e federali. Ha abbandonato tutti gli appelli a pochi mesi dalla condanna, dopo che un medico nominato dal tribunale lo ha ritenuto in grado di farlo.
Travis James Mullis, un uomo della contea di Brazoria nel 2008 aveva aggredito sessualmente, strangolato e calpestato la testa del figlio neonato fino alla sua morte.
La mattina dell’omicidio, Mullis aveva detto che doveva andarsene di casa per schiarirsi le idee. Preso Alijah con sé aveva guidato verso sud, in direzione di Galveston, dove si era accostato in una zona appartata del lungomare. A quel punto, come ha dichiarato alla polizia di Philadelphia quattro giorni dopo l’omicidio, il figlio ha iniziato a piangere. Mullis, che non riusciva a farlo smettere, ha pensato che l’unico modo per farlo calmare fosse ucciderlo.
Mullis si è costituito un paio di giorni dopo aver ucciso il figlio, offrendo una confessione dettagliata alle autorità di Philadelphia. Mullis è stato estradato in Texas, condannato a morte per omicidio nel marzo 2011.
Nella sua ultima dichiarazione, Mullis ha detto di essersi pentito di aver ucciso suo figlio e si è scusato con la madre del bimbo.
Al processo, gli avvocati di Mullis si sono concentrati sulla sua storia di malattia mentale derivante da un’infanzia difficile e piena di abusi. Il padre abbandonò la famiglia poco dopo la sua nascita. La madre di Mullis morì quando lui aveva 10 mesi. All’età di circa tre anni, il padre adottivo iniziò ad aggredirlo sessualmente. Ha trascorso anni entrando e uscendo da ospedali psichiatrici.
Shawn Nolan, avvocato difensore di Mullis, ha dichiarato in un comunicato che il suo cliente ha “sempre accettato la responsabilità” per il terribile crimine commesso.
“Il Texas ucciderà un uomo redento questa notte. Non ha mai avuto una possibilità di vita, essendo stato abbandonato dai suoi genitori e poi gravemente abusato dal suo padre adottivo a partire dall’età di 3 anni”, ha scritto Nolan. “Durante il suo decennio e mezzo nel braccio della morte ha trascorso innumerevoli ore a lavorare sulla sua redenzione. E l’ha ottenuta”. Ha concluso dicendo che il Mullis che il Texas voleva uccidere è “scomparso da tempo”.
Travis Mullis ha usato le sue ultime parole per ringraziare e scusarsi con i suoi cari, tra cui la madre di suo figlio e la famiglia della vittima, secondo una trascrizione ottenuta da USA TODAY. Ha ringraziato tutti, ma in particolare ha gridato a tutti i suoi amici, agli amici di penna e a tutte le persone che sono state al suo fianco dentro e fuori, anche nel braccio della morte, che “mi hanno accettato per l’uomo che sono diventato durante i miei momenti migliori e peggiori”. Mullis ha voluto ringraziare il direttore e il personale correzionale per tutti i cambiamenti che sono stati fatti in tutto il sistema e che hanno consentito anche gli uomini nel braccio della morte di dimostrare che è possibile essere riabilitati in modo da non essere più considerati una minaccia. “Siamo cambiati. Non siamo più gli stessi uomini che eravamo quando siamo entrati nel sistema”.
Mullis ha detto di aver intrapreso le “vie legali” per accelerare la sua condanna a morte, che ha definito un “suicidio assistito”, e di non essersene pentito. Ha affermato di essere pentito di aver ucciso suo figlio, Alijah.
Mullis diventa così il quarto condannato ad essere messo a morte quest’anno in Texas e il 590° in totale da quando lo Stato ha ripreso la pena capitale il 7 dicembre 1982. Mullis diventa il 71° condannato a morte in Texas da quando Greg Abbott è diventato governatore.
Mullis è diventato il 16° condannato ad essere messo a morte quest’anno negli Stati Uniti e il 1.598° in totale da quando la nazione ha ripreso le esecuzioni il 17 gennaio, con l’esecuzione di Gary Gilmore da parte del plotone di esecuzione nel penitenziario dello Stato dello Utah. (Pupa)
EMMANUEL LITTLEJOHN MESSO A MORTE IN OKLAHOMA
L’Oklahoma ha giustiziato Emmanuel Littlejohn condannato a morte per un omicidio commesso nel 1992 L’esecuzione è stata portata a termine nonostante il fatto che la Commissione per le Grazie dell’Oklahoma avesse votato a maggioranza per la clemenza.
Emmanuel Littlejohn era nel braccio della morte per aver ucciso nel 1992 il proprietario di un minimarket. Littlejohn è stato ucciso con un’iniezione letale alle 10:17 di giovedì 26 settembre presso il penitenziario statale dell’Oklahoma a McAlester.
Il direttore del Dipartimento di Correzione dell’Oklahoma, Steven Harpe, e i testimoni dei media hanno detto che l’esecuzione è stata portata a termine senza problemi.
Parte delle ultime parole di Littlejohn sono state per chiedere se sua madre stesse bene e dire a lei e a sua figlia che le amava. Ha anche detto che lui stava bene e che tutto sarebbe andato bene.
Littlejohn e Glenn Bethany furono arrestati nel novembre 1994, ma i documenti del tribunale dicono che non è chiaro chi abbia sparato il colpo fatale.
“È stata fatta giustizia per l’omicidio di Kenny Meers”, ha detto il procuratore generale dell’Oklahoma Gentner Drummond in una dichiarazione. “Prego che oggi porti un po’ di pace alla famiglia Meers che ha aspettato per avere giustizia 32 lunghi anni”.
Drummond ha anche condiviso un messaggio della famiglia di Meers, dicendo che volevano esprimere il loro apprezzamento per le persone del Dipartimento di Correzione dell’Oklahoma e dei pubblici ministeri della Contea di Oklahoma, nonché per i ricorsi penali e il team di supporto presso l’Ufficio del Procuratore Generale.
Littlejohn ha sostenuto la sua innocenza fino all’esecuzione, insistendo sul fatto che Glenn Bethany è stato colui che ha sparato e ucciso Meers. Il suo avvocato ha anche detto che aveva danni cerebrali da traumi infantili che hanno compromesso le sue capacità cognitive.
Secondo i testimoni dell’accusa, Littlejohn è stato l’unico visto con un’arma da fuoco durante la rapina mortale. Lo stato ha anche detto che Littlejohn ha esaurito ogni appello e che la legge diceva che doveva morire. L’esecuzione è avvenuta dopo che l’Oklahoma Pardon and Parole Board ha votato 3-2 a favore della raccomandazione di clemenza per Littlejohn.
Il governatore Kevin Stitt la clemenza non l’ha concessa. “Queste decisioni sono molto difficili e non le prendo alla leggera. Il signor Littlejohn ha ucciso un uomo innocente 32 anni fa mentre rapinava un minimarket”, ha detto Stitt in una dichiarazione dopo l’esecuzione. “Una giuria lo ha ritenuto colpevole e lo ha condannato a morte. La decisione è stata confermata da più giudici. In qualità di governatore della legge e dell’ordine, ho difficoltà a ribaltare unilateralmente quella decisione. Oggi è stata fatta giustizia per quella vita perduta. Spero che questo porti la fine del dolore alle famiglie colpite da questo omicidio”.
L’ALABAMA METTE INFINE A MORTE UN UOMO
CONDANNATO PER AVER UCCISO 3 PERSONE
Alan Eugene Miller, condannato a morte in Alabama nel 2000, è stato ucciso con ipossia di azoto. Il condannato si è agitato e ha tremato per parecchi minuti prima di morire. Può darsi che abbia sofferto. “Tutto è andato secondo i piani e secondo il nostro protocollo; è andato proprio come avevamo pianificato”, ha dichiarato il Commissario del Dipartimento di Correzione dell’Alabama John Hamm
L’Alabama ha giustiziato Alan Eugene Miller.
Alan Eugene Miller è stato giustiziato la sera di giovedì 26 settembre in Alabama, hanno detto i funzionari statali, rendendolo il secondo detenuto morto per ipossia da azoto, un metodo controverso che i critici dicono equivalga alla tortura.
Miller, 59 anni, condannato a morte nel 2000 per l’omicidio di 3 uomini nel 1999, è stato dichiarato morto alle 18:38 in una prigione di Atmore, ha detto il commissario del Dipartimento di Correzione dell’Alabama John Hamm in una conferenza stampa.
Miller ha tremato e si è agitato su una barella per circa due minuti, con il suo corpo che a volte tirava contro le restrizioni, secondo l’Associated Press, che ha avuto un giornalista testimone della procedura. Il tremore e i contorcimenti sono stati seguiti da circa 6 minuti di respiri ansimanti periodici, ha riferito l’AP.
“Non ho fatto nulla per essere qui”, ha detto Miller nelle sue ultime parole, che a volte sono state attutite dalla maschera che gli copriva il viso dalla fronte al mento, secondo l’AP.
A Miller è stata applicata la maschera, durante la procedura l’azoto gassoso è fluito per circa 15 minuti, ha detto Hamm. In risposta alla domanda di un giornalista, Hamm ha confermato i 2 minuti di tremore, che secondo lui erano prevedibili.
“Ci saranno movimenti involontari del corpo poiché il corpo è impoverito di ossigeno. Non è nulla che non ci aspettassimo”, ha detto Hamm alla conferenza stampa.
“Tutto è andato secondo i piani e secondo il nostro protocollo, quindi è andato proprio come avevamo pianificato”, ha detto Hamm.
A un certo punto, un agente penitenziario ha dovuto aggiustare la maschera di Miller, ha confermato Hamm in risposta alla domanda di un giornalista. “Si tratta solo di assicurarsi che la maschera sia aderente”, ha detto Hamm.
“Stasera, è stata finalmente fatta giustizia per queste 3 vittime attraverso il metodo di esecuzione scelto dal detenuto”, ha detto la governatrice dell’Alabama Kay Ivey in un comunicato. “I suoi atti non erano di follia, ma di pura malvagità. Tre famiglie sono state cambiate per sempre dai suoi atroci crimini, e prego che possano trovare conforto tutti questi anni dopo”.
L’esecuzione di Miller è arrivata dopo una catena di eventi durata anni su come sarebbe stato messo a morte: per prima cosa ha chiesto la morte per ipossia da azoto, ma lo Stato ha detto di non essere pronto a utilizzare il metodo e ha poi tentato di giustiziarlo con iniezione letale nel settembre 2022. Quel tentativo, tuttavia, è stato annullato, con i funzionari statali che hanno affermato di non poter accedere alle vene di Miller prima della scadenza del mandato di esecuzione.
Lo stato successivamente accettò di non giustiziare Miller con un metodo diverso dall’ipossia da azoto. Ma poi l’Alabama ha giustiziato Kenneth Smith all’inizio di quest’anno per ipossia di azoto in quella che si ritiene essere la prima esecuzione con quel metodo. I testimoni hanno detto che Smith tremava e si contorceva sulla barella per minuti prima di morire.
Miller ha quindi contestato il protocollo statale sull’ipossia dell’azoto in una causa federale, sostenendo che avrebbe potuto causargli sofferenze indebite, violando così le sue protezioni dell’ottavo emendamento contro punizioni crudeli e insolite. La causa, tuttavia, è stata risolta il mese scorso.
I termini dell’accordo erano riservati, anche se il procuratore generale dello stato Steve Marshall lo ha pubblicizzato come prova che il metodo di esecuzione del gas azoto dell’Alabama è costituzionale.
“La risoluzione di questo caso conferma che il sistema di ipossia dell’azoto dell’Alabama è affidabile e umano”, ha detto Marshall ad agosto.
I sostenitori del metodo di esecuzione dell’ipossia da azoto, che sostituisce l’ossigeno respirato da un detenuto con azoto al 100%, affermano che una persona probabilmente perderà conoscenza a breve distanza dalla procedura, rendendola più umana di altri metodi di esecuzione. Tuttavia, i medici hanno affermato di non essere in grado di dire se o quando una persona perderà conoscenza.
Giovedì, nelle ore prima dell’esecuzione, Miller ha avuto nove visitatori e ha mangiato un pasto finale a base di hamburger, patate al forno e patatine fritte, ha precisato il Dipartimento di Correzione dell’Alabama.
Il delitto del 1999
Miller fu condannato a morte nel 2000 per gli omicidi di Lee Holdbrooks, Scott Yancy e Terry Lee Jarvis commessi nel 1999.
Miller aveva lavorato con ciascuna delle vittime e si è arrabbiato quando ha creduto che i 3 “diffondessero voci su di lui”, secondo un comunicato dell’ufficio del procuratore generale dell’Alabama.
La mattina del 5 agosto 1999, Miller sparò a due dei 3 uomini alla Ferguson Enterprises di Pelham, in Alabama.
“Sono stanco delle persone che iniziano a parlare di me”, ha detto Miller, armato di pistola mentre usciva dall’ufficio del suo datore di lavoro, dicono i documenti del tribunale.
Yancy fu colpito 3 volte e non fu in grado di muoversi dopo che il primo colpo, “viaggiò attraverso l’inguine e nella colonna vertebrale, paralizzandolo”.
Holdbrooks è stato colpito 6 volte e ha cercato di strisciare lungo un corridoio per scappare prima che Miller gli sparasse alla testa, “facendolo morire in una pozza di sangue”, dicono i documenti.
Dopo aver ucciso Holdbrooks e Yancy, Miller si diresse verso il suo precedente datore di lavoro, la Post Airgas, dove lavorava Jarvis.
Miller entrò e disse: “Ehi, ho sentito che hai diffuso voci su di me”.
Jarvis rispose che non aveva diffuso voci su Miller, ma pochi istanti dopo, Miller sparò a Jarvis “un certo numero di volte”.
Miller è stato poi catturato sull’autostrada, dicono i documenti del tribunale, con “una pistola Glock con 1 colpo in canna e 11 colpi nel caricatore delle munizioni”.
Uno psichiatra forense che ha testimoniato per la difesa di Miller ha stabilito che era malato di mente e soffriva di un disturbo delirante, portandolo a credere che le vittime stessero diffondendo voci su di lui. Lo psichiatra ha concluso, tuttavia, che la malattia mentale di Miller non soddisfaceva gli standard per una difesa per infermità mentale in Alabama.
“Sento che ci è voluto troppo tempo per arrivare qui”, ha detto martedì alla CNN Tara Barnes, la vedova di Holdbrooks.
Nel settembre 2022, i funzionari dell’Alabama cercarono di giustiziare Miller con l’iniezione letale, ma fallirono perché non riuscirono ad accedere alle sue vene entro il limite di tempo richiesto.
Miller doveva essere giustiziato con iniezione letale dopo che una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti ha annullato un’ingiunzione di un tribunale inferiore in una lunga disputa sul fatto che sarebbe morto con quel metodo o con l’ipossia di azoto.
Prima di quel tentativo iniziale, Miller e i suoi avvocati avevano combattuto per assicurarsi che sarebbe stato giustiziato con azoto gassoso, un metodo che aveva precedentemente scelto ma che lo stato non era pronto ad usare.
Dopo il tentativo fallito, Miller è stato rispedito nel braccio della morte.
Miller e i suoi avvocati hanno intentato la loro causa contestando il protocollo statale sull’ipossia dell’azoto dopo che è stato utilizzato per la prima volta nell’esecuzione di Smith.
Smith è stato condannato a morte per il suo ruolo in un omicidio su commissione del 1988 e, come Miller, era già sopravvissuto a un tentativo fallito di giustiziarlo con iniezione letale nel 2022.
Il processo di morte per azoto gassoso consiste nel costringere un detenuto a inalare azoto gassoso al 100%, privandolo dell’ossigeno necessario per sopravvivere. Ma la morte per azoto gassoso è stata criticata in quanto gli esperti hanno detto che potrebbe provocare dolore eccessivo e persino costituire una tortura.
Durante l’esecuzione di Smith all’inizio di quest’anno, il condannato è apparso cosciente per “diversi minuti” e per due minuti “ha tremato e si è contorto su una barella”, secondo il rapporto dei testimoni.
Tutto questo è stato seguito da diversi minuti di respirazione profonda prima che il respiro iniziasse a rallentare “fino a quando non è stato più percepibile dai testimoni dei media”, ha detto il rapporto dei testimoni dei media.
“Chiaramente non è stata la morte istantanea e indolore che hanno promesso”, ha detto alla CNN la scorsa settimana il dottor Jonathan Groner, professore di chirurgia presso l’Ohio State University College of Medicine. “Ci sono molti suggerimenti che non sia stato buono, non sia stato piacevole”.
Gli esperti delle Nazioni Unite hanno “condannato inequivocabilmente” l’esecuzione di Smith e l’uso di inalazione di azoto, affermando in una dichiarazione che “si è trattato a dir poco di una tortura autorizzata dallo Stato”.
“L’uso, per la prima volta negli esseri umani e su base sperimentale, di un metodo di esecuzione che ha dimostrato di causare sofferenza negli animali è semplicemente oltraggioso”, hanno detto gli esperti delle Nazioni Unite.
“La teoria è che se ti sbarazzi di tutto l’ossigeno, semplicemente respirando azoto puro, non sentirai quella pressione intensa, come se stessi trattenendo il respiro, giusto? Non funziona proprio in questo modo”, ha detto Groner, che ha studiato la pena capitale per più di due decenni.
Sebbene l’Alabama sia l’unico stato che ha messo alla prova questo metodo di esecuzione, non è l’unico stato che ha adottato l’uso della procedura. Anche la Louisiana, l’Oklahoma e il Mississippi hanno autorizzato la morte per ipossia da azoto, secondo il Death Penalty Information Center.
Miller diventa il quarto detenuto condannato ad essere messo a morte quest’anno in Alabama e il 76° in totale da quando lo stato ha ripristinato la pena capitale il 22 aprile 1983. Solo il Texas (590), l’Oklahoma (126), la Virginia (113), la Florida (106), il Missouri (100) e la Georgia (77), hanno effettuato più esecuzioni dal 1976 Gregg v. Georgia: decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha permesso agli Stati di riprendere le esecuzioni dopo una moratoria di 4 anni.
Miller è il 18° condannato a morte ucciso quest’anno negli Stati Uniti e il 1.600° in totale da quando la nazione ha ripreso le esecuzioni il 17 gennaio 1977, con l’esecuzione di Gary Gilmore nel penitenziario dello Stato dello Utah. (fonti: CNN e Rick Halperin)
SFIDA DIETRO LE SBARRE:
IL CRESCENTE MOVIMENTO CONTRO LA PENA DI MORTE IN IRAN
L’Iran è il paese che usa di più la pena di morte, che compie più esecuzioni, superato solo dalla Cina che ha una popolazione molto più grande. Ora la contestazione del regime che detiene il potere nel paese ha raggiunto livelli elevati sia all’interno del paese che in ambito internazionale.
Per decenni l’Iran ha costantemente detenuto il triste primato di essere il secondo paese al mondo per numero di esecuzioni, superato solo dalla Cina. Negli ultimi anni, il tasso di esecuzioni è aumentato a tal punto che Antonio Guterres, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, ha pubblicamente condannato le azioni del regime iraniano. Ha descritto la situazione come un “tasso allarmante” di esecuzioni e ha lanciato un severo avvertimento alla comunità internazionale.
Il 20 agosto, in una raccapricciante dimostrazione di brutalità, il regime iraniano ha stabilito un nuovo record mettendo a morte 29 prigionieri in un solo giorno. Tra i giustiziati, un numero sproporzionatamente alto apparteneva alle minoranze beluci e curde. Il rapporto annuale di Amnesty International ha rivelato che nel solo 2023, il governo iraniano ha giustiziato almeno 853 persone, di cui il 20% erano cittadini beluci, nonostante la minoranza belucia costituisca solo il 5% della popolazione iraniana.
In assenza di un forte appello internazionale per fermare queste esecuzioni, i prigionieri stessi hanno assunto il ruolo di resistenza, lanciando varie campagne di protesta all’interno delle carceri.
La nascita della campagna ‘No all’esecuzione’
Le carceri femminili, in particolare, sono diventate l’avanguardia di questa resistenza. La campagna ‘No all’esecuzione’, una protesta contro le esecuzioni per qualsiasi accusa, non solo ha raccolto sostegno all’interno dell’Iran, ma ha anche risuonato oltre i confini del paese. Questa campagna è nata sulla scia delle proteste del 2022, durante le quali nove manifestanti sono stati giustiziati e molti altri rimangono sotto l’incombente minaccia della pena di morte.
Resistere all’esecuzione: Le donne del carcere di Evin
Il carcere femminile di Evin è diventato un punto focale di sfida. In risposta alla brutale repressione dei manifestanti e alle successive esecuzioni, le donne di Evin hanno iniziato sit-in e proteste che si sono poi evolute nella campagna ‘No all’esecuzione’. Questi sit-in, caratterizzati dall’intonazione di slogan contro le esecuzioni, dal canto di inni e da discorsi appassionati, sono diventati una forma di protesta costante e potente.
La campagna è iniziata dopo l’esecuzione di Mohsen Shekari l’8 dicembre 2022, il primo manifestante ad essere impiccato per aver partecipato alle proteste del 2022. Questo evento ha galvanizzato i prigionieri politici, che si sono uniti al movimento ‘No all’esecuzione’, formando grandi raduni nel cortile della prigione.
Dopo l’esecuzione di Majidreza Rahnavard, Mohammad Mehdi Najafi, Mohammad Hosseini, Saleh Mirhashemi, Saeed Yaqoubi, Majid Kazemi, Mohammad Ghobadlou e Gholamreza Rasaei, le donne del carcere di Evin hanno intensificato le loro proteste. Hanno organizzato sit-in nei corridoi del carcere, intonando slogan dalla mattina alla sera.
La terza grande campagna di protesta di queste donne coraggiose ha avuto luogo dopo l’esecuzione di Saleh Mirhashmi, Saeed Yaqoubi e Majid Kazemi il 18 maggio 2023. Le prigioniere si sono riunite nel cortile del carcere di Evin, dove sono stati tenuti discorsi e è stata pubblicata una dichiarazione firmata da diverse prigioniere.
Il 24 gennaio 2024, le donne del carcere di Evin sono entrate in sciopero a seguito dell’esecuzione di Milad Zohrevand e Mohammad Ghobadlou. Le campagne ‘No all’esecuzione’ sono state così efficaci che, in più occasioni, quando la minaccia dell’esecuzione di Mohammad Ghobadlou si è intensificata, le proteste simultanee dei prigionieri di Evin e Ghezel Hesar, così come le manifestazioni pubbliche fuori dal carcere, sono riuscite a ritardare la sua esecuzione.
Nei giorni successivi, quando è stata annunciata l’esecuzione di 4 prigionieri politici curdi – Mohsen Mazloum, Mohammad Faramarzi, Wafa Azarbar e Pejman Fatehi – le donne di Evin sono nuovamente entrate in azione. Hanno emesso lettere e dichiarazioni che condannavano queste esecuzioni e sottolineavano la loro opposizione alla pena di morte in tutte le sue forme, denunciando il comportamento disumano e la crudeltà del regime verso i prigionieri sia politici che comuni.
Un fronte unito contro la pena di morte
L’emissione di una condanna a morte per Toomaj Salehi ha spinto un gruppo di donne prigioniere a pubblicare una dichiarazione collettiva contro la pena di morte. Analogamente, dopo che è stata emessa la condanna a morte contro Sharifeh Mohammadi l’11 luglio 2024, per l’accusa di ‘rivolta’, le donne del carcere di Evin sono entrate in sciopero della fame. I prigionieri maschi di Evin e Ghezel Hesar si sono uniti a loro in solidarietà.
Le donne prigioniere si sono anche unite agli scioperi della fame del martedì iniziati dai prigionieri del carcere di Ghezel Hesar, protestando contro la condanna a morte. Questo movimento si è esteso al carcere di Lakan di Rasht e persino alle prigioniere del carcere di Tabriz.
Quando è stata emessa una condanna a morte per Pakhshan Azizi, un’attivista civile curda, con l’accusa di ‘rivolta’ – la seconda sentenza del genere in meno di un mese – le donne di Evin hanno tenuto due sit-in notturni, dalle 18:00 alle 7:00 del giorno successivo, in varie parti del carcere, inclusi il cortile, i corridoi e i laboratori.
Nel caso più recente e tragico, dopo la notizia dell’esecuzione di Gholamreza Rasaei – uno dei manifestanti arrestati durante le proteste del 2022 – le donne imprigionate hanno iniziato un sit-in improvvisato nel cortile. Si sono poi spostate verso il cortile dei dipendenti, dove le guardie carcerarie hanno reagito con violenza e diverse prigioniere sono rimaste ferite.
Nonostante questa brutale repressione, le donne di Evin rimangono risolute nel loro impegno a continuare le loro campagne di protesta contro le esecuzioni ogni martedì.
Un appello all’azione
Le donne imprigionate a Evin hanno lanciato un chiaro appello attraverso le loro lettere e dichiarazioni, esortando tutti gli oppositori della pena di morte – individui e organizzazioni, sia all’interno che all’esterno dell’Iran – a sostenere e unirsi alla loro campagna.
Le loro attività di protesta non si limitano a questi casi recenti. Nell’anniversario delle esecuzioni di massa di prigionieri politici nell’estate del 1988, hanno emesso una dichiarazione che commemora le vittime di quel capitolo oscuro della storia dell’Iran.
Il carcere di Ghezel Hesar e il movimento ‘No alle esecuzioni del martedì’
Ogni martedì, con la chiamata mattutina alla preghiera, le condanne a morte vengono eseguite nel carcere di Ghezel Hesar. Negli ultimi mesi, con l’aumento del numero di esecuzioni a Ghezel Hesar, i prigionieri condannati a morte hanno deciso di entrare in sciopero della fame per protestare contro la pena di morte.
Questo movimento, inizialmente confinato a Ghezel Hesar, si è gradualmente diffuso. Più di 19 carceri si sono ora unite allo sciopero della fame del martedì contro la pena di morte, e questo movimento di protesta continua a crescere.
Per oltre 31 settimane, i prigionieri di Ghezel Hesar hanno mantenuto il loro sciopero della fame ogni martedì, pubblicando dichiarazioni contro le esecuzioni. Nello sciopero della fame più recente, prigionieri di Evin, Ghezel Hesar, del carcere centrale di Karaj, Khorramabad, del carcere Nezam di Shiraz, del carcere di Mashhad, del carcere di Lakan, del carcere di Qaem Shahr, del carcere di Tabriz, del carcere di Ardabil, Urmia, Khoy, Naqadeh, Saqqez, Baneh, Marivan, Kamyaran e del Penitenziario Centrale della Grande Teheran (Fashafouyeh) si sono tutti uniti a questo potente movimento.
L’uso implacabile della pena di morte da parte del regime iraniano come strumento di oppressione ha scatenato una potente e unita resistenza all’interno delle carceri del paese. Il coraggio e la determinazione dei prigionieri, in particolare delle donne di Evin, servono come faro di speranza e grido di raccolta per tutti coloro che si oppongono alla pena di morte. Le loro voci, sebbene silenziate dalle mura del carcere, echeggiano ben oltre, chiedendo giustizia, umanità e la fine della brutalità delle esecuzioni. Il mondo deve ascoltare e agire, prima che altre vite vengano perse a causa di questa pratica crudele e disumana. (Marghe)
UN UOMO INNOCENTE NEL BRACCIO DELLA MORTE PER 46 ANNI.
È QUESTO IL PIÙ GRAVE ERRORE GIUDIZIARIO COMMESSO NEL MONDO?
Iwao Hakamada, che ora ha 88 anni, aveva 30 anni quando fu accusato di aver commesso tre omicidi in Giappone. Sottoposto a stressanti interrogatori, confessò i crimini che non aveva commesso. Ora, dopo 56 anni dalla sua condanna, 46 dei quali passati nel braccio della morte, è stato scagionato.
Il 10 marzo 2011 è stato il 75° compleanno di Iwao Hakamada. È stato anche il giorno in cui si è festeggiato un traguardo piuttosto triste: il Guinness World Records che lo certifica come il detenuto nel braccio della morte più longevo del mondo. Non più detenuto, però. Questa settimana – più di 56 anni dopo la sua condanna, 46 dei quali trascorsi di fronte alla pena di morte – è stato scagionato dai suoi crimini, in un processo che ha attanagliato il Giappone e riacceso il dibattito sull’uso della pena capitale.
Hakamada, che ora ha 88 anni, aveva solo 30 anni quando è stato arrestato e accusato dell’omicidio del suo capo, la moglie dell’uomo e i loro due figli adolescenti, dopo che erano stati trovati pugnalati a morte nella loro casa di Shizuoka, nel Giappone centrale, il 30 giugno 1966.
Secondo i suoi avvocati, Hakamada è stato interrogato per un totale di 264 ore, per ben 16 ore a sessione, per 23 giorni, per ottenere una confessione. Hakamada, un ex pugile professionista, in seguito ha ritrattato la sua confessione e ha costantemente protestato la sua innocenza. Ma al suo processo nel 1968, i pubblici ministeri presentarono 5 pezzi di abbigliamento insanguinati che sarebbero stati trovati in un carro armato nella fabbrica di miso dove lavorava. Hakamada è stato riconosciuto colpevole e condannato a morte.
Tutte le sue richieste di appello e di un nuovo processo furono respinte, ma la sua condanna a morte non fu mai firmata. È stato solo nel 2007, quando uno dei giudici che aveva condannato Hakamada nel 1968 ha espresso i suoi dubbi e la sua colpevolezza per la sentenza che aveva commesso, che una campagna per riprocessare Hakamada ha preso slancio.
Nel 2008, un test del DNA ha suggerito che il sangue sui vestiti usati come prova non corrispondeva a quello di Hakamada. È stato liberato dal carcere nel 2014 quando sono emerse nuove prove ed è stato ordinato un nuovo processo. Hakamada, che è stato battezzato mentre era in prigione con il nome cristiano di Paulo, è stato invitato a una messa a Tokyo durante la visita di Papa Francesco nel 2019. Ma è stato solo questa settimana che è stato finalmente dichiarato non colpevole, 58 anni dopo il suo arresto.
Questo caso sorprendente ha fatto luce su quello che le associazioni di beneficenza per i diritti umani hanno definito il “sistema di giustizia degli ostaggi” del Giappone. Al momento, la polizia può trattenere i sospetti per un massimo di diversi mesi o più di un anno, senza la presenza di avvocati, al fine di ottenere confessioni. I tassi di condanna superano il 99%.
L’ultima esecuzione in Giappone è stata effettuata il 26 luglio 2022 e in quel caso si stava ancora cercando di ottenere un nuovo processo. Dal 2000, il paese ha giustiziato 93 detenuti, che vengono informati della loro impiccagione solo con poche ore o addirittura minuti di anticipo. Le esecuzioni vengono effettuate in segreto e, sebbene il Giappone abbia iniziato a rivelare i nomi delle persone giustiziate nel 2007, i dettagli sono ancora limitati.
“Iwao Hakamada ha passato ogni giorno per 46 anni a pensare che potesse essere l’ultimo”, dice Saul Lehrfreund, co-direttore esecutivo di The Death Penalty Project, una ONG che offre rappresentanza legale gratuita alle persone nel braccio della morte in tutto il mondo. “Ha attraversato un calvario inimmaginabile, con più di 30 anni in isolamento e sotto costante sorveglianza”.
Lehrfreund dice che il caso di Hakamada è estremamente significativo, non solo per il numero record di anni che un uomo innocente ha scontato dietro le sbarre, ma perché alcune caratteristiche del caso dovrebbero “far suonare un campanello d’allarme in Giappone”.
“Questo è un caso in cui qualcuno è stato costretto a confessare e le prove sono state fabbricate”, dice Lehrfreund. “Sarebbe facile dire ‘Ok, questo è successo nel 1966, questo è un prodotto del suo tempo’, ma in realtà molte caratteristiche di questo caso esistono ancora oggi nel sistema di giustizia penale giapponese e quello di Hakamada non è un caso isolato”.
Lehrfreund sottolinea che gli Stati Uniti (l’unico altro paese del G7 ad applicare la pena di morte) hanno quello che viene chiamato “processo super-dovuto”, il che significa che i loro casi di pena di morte sono soggetti a standard di precisione più elevati. In Giappone non esiste una politica del genere, e delle 106 persone attualmente nel braccio della morte, 61 chiedono un nuovo processo.
“La realtà è che non esiste un sistema di giustizia penale perfetto, quindi se hai la pena di morte stai accettando il rischio di giustiziare persone innocenti”, dice Lehrfreund. “Questo caso deve far sì che il Giappone esamini attentamente se è pronto a correre questo rischio. Il governo giapponese afferma di condurre regolarmente sondaggi tra l’opinione pubblica e che l’80% “considera la pena di morte inevitabile”, eppure accademici rispettabili hanno scoperto che se si pone una domanda diversa, come ‘La pena di morte dovrebbe essere abolita?’, allora il 71% è a favore dell’abolizione”.
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Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30 settembre 2024