Formalmente non ancora

(e speriamo MAI)

di Maria G. Di Rienzo

Il capo della polizia italiana è andato in questi giorni in televisione a farsi intervistare. Letti i resoconti, vorrei esplicitare le motivazioni per cui il capo della polizia italiana dovrebbe cambiare, a mio avviso, mestiere.

Chiamarsi Antonio, la cui etimologia rimanda alla parola “fiore” in greco, è inadeguato. Evoca troppo direttamente «le cellule di cospirazione di fuoco» parimenti greche che tramano per gettare nel caos il nostro ordinato e felice Paese. Inoltre, suggerisce immagini retrò di campeggi pacifisti e di cannoni ingozzati da fresie e giunchiglie. Siamo nell’epoca dei drone e del fosforo bianco, perbacco.

Avere per cognome Manganelli, nonostante le apparenze, è ancor più inadeguato! Tende infatti a dare della polizia italiana – e per estensione delle altre forze dell’ordine – un’immagine cialtrona e violenta, non professionale e assolutamente obsoleta. Voglio dire, siamo l’unico Paese al mondo a usare i «lacrimogeni rimbalzanti», un prodotto d’avanguardia, ecosostenibile, derivato da una futuristica sinergia fra gli scarti delle palline da ping pong e i fumi delle discariche abusive… non siamo certi fermi ai semplici “manganelli”.

Ma scherzi a parte, il cuore dell’inadeguatezza del capo della polizia italiana sta in questa dichiarazione: «Il simbolo identificativo sui caschi è fra i temi oggetto non ancora di una trattativa ma certamente di un dibattito. Il discorso che fa l’operatore di polizia è: io mi faccio identificare perché tutto sommato lo ritengo giusto, ma ritengo che sia giusto anche identificare chi sta in piazza cioè chi costituisce l’altra metà del cielo». In primo luogo: non c’è trattativa fra i dipendenti della polizia di Stato e i cittadini italiani, non stiamo parlando di due blocchi sociali dagli interessi diametralmente opposti, ne’ di due “metà del cielo”, stiamo parlando di funzionari pubblici al servizio della nazione e della cittadinanza che quella nazione costituisce.

Secondariamente, non abbiamo bisogno che ogni singolo poliziotto dia il suo consenso al poter essere identificato: se per ventura io sottraggo il mio, di consenso, quando un operatore di polizia mi chiede la carta di identità costui assieme ai colleghi mi carica nella volante e mi porta in Questura. Posso io agire allo stesso modo, se l’operatore rifiuta la sua identificazione a me? Certamente no. La legge, in virtù delle funzioni di ordine pubblico che la polizia riveste, in nome di un benessere collettivo, dà a essa questa facoltà, di cercare di identificarmi anche se io lo rifiuto. Quindi, qualora ci fosse finalmente una legge che rende i poliziotti antisommossa identificabili, una legge che finalmente li umanizza e li rende qualcosa di diverso da robot senza volto che alzano e abbassano automaticamente scudi e bastoni, in nome dello stesso benessere collettivo il singolo operatore dissenziente è tenuto a mettersela via, ok?

Terziariamente (passatemela, sono una giocoliera) come intende il capo della polizia identificare a priori chiunque decida di partecipare a una manifestazione? Metterà in ogni piazza uno di quegli aggeggi da supermercato con i numerini di carta e noi, cittadini sensibili e obbedienti, ci attaccheremo il numero con lo sputo sulla fronte? O i bigliettini saranno tecnologicamente avanzati, come i nostri «lacrimogeni rimbalzanti», avranno l’adesivo incorporato e diventeranno fluorescenti al calar del sole? Oppure pensa, il capo della polizia italiana, che per poter partecipare ad una dimostrazione dobbiamo fare un ingrandimento in fotocopia A4 della nostra carta d’identità e appendercelo al collo prima di entrare in corteo?

L’articolo 17 di quella vituperata cartaccia che è il fondamento del Paese Italia, la sua Costituzione, recita: «I cittadini hanno il diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi». Il successivo rincara: «I cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale». E l’articolo 21 si spinge ancora più in là: «Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero…». E questo è il motivo finale per cui il capo della polizia italiana, a mio modestissimo e umile parere, dovrebbe dedicarsi ad altri interessi. Può darsi che lui conosca gli articoli della Costituzione a memoria meglio di me. Ma non sa (più) cosa farsene, a che servono, come di fatto regolano il suo ruolo e il ruolo del corpo delle forze dell’ordine di cui è membro, come di fatto regolano il mio ruolo di cittadina – e non di suddita. Solo le dittature pretendono di identificare in anticipo i loro contestatori, al chiaro scopo di intimidirli e/o farli sparire al più presto. Formalmente questo non è, ancora, il caso della Repubblica Italiana.

BREVE NOTA

Gli articoli di Maria G. Di Rienzo sono ripresi – come le sue traduzioni – dal bel blog lunanuvola.wordpress.com/.  Il suo ultimo libro è “Voci dalla rete: come le donne stanno cambiando il mondo”: storie drammatiche ma anche allegre, di un mondo che comunque lotta e cambia di continuo ma che i massmedia (per sessismo, per complicità, per ignoranza) rendono invisibile. Lo consiglio davvero: una mia recensione è qui alla data 2 luglio 2011. (db)

Redazione
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Un commento

  • Maria G. Di Rienzo Tu sei una Umana meravigliosa, e ti chiedo perdono ancora e sempre per una mia passata amnesia sulle lagrime della fornero(ma se chiamano tutti co’ sti nomi improbabili? cancellieri, manganelli, calabresi(ops!…poarino il figlio dell’assassino di Giuseppe Pinelli…) alemanno??? rauti isabella… et caetera… che mi auguro Tu abbia dimenticato. Con una risata li seppelliremo cantavamo(ho 59 anni e mezzo nato a Roma il 25 aprile!!!! 1953) o ci seppelliremo? Che la Vita ci sia leggera e RESISTI RESISTI a feis buk !!! Dibbi me conosce bene da piu di 40 anni ed anche Lui RESISTE:io me so’ fatto frega’… ma son contadino campagnolo diversamente ignorante.

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