Frammenti di quotidianità palestinese – 8

Cisgiordania. La morte quotidiana

di Enrico Campofreda

Sei morti, oltre novanta feriti ieri nella ‘Jenin dei martiri’ che continua ad aumentare il numero di quest’ultimi al pari di presenze sempre più numerose nel campo profughi.
E’ che nella Cisgiordania assediata ovunque, e asfissiata dalle crescenti colonie illegali, non esistono né uno straccio di normalità né tregue.
E la gente, assediata in casa, vaga su territori militarizzati, senza avere pace nell’anima e futuro nella quotidianità.
Mentre Mustafa Barghouti, segretario dell’Iniziativa Nazionale Palestinese, così commentava le uccisioni di ieri: “Non è uno scontro a fuoco fra due fazioni. E’ una guerra criminale che l’esercito israeliano, molto più equipaggiato, sta conducendo contro i civili di Jenin, usando elicotteri Apache, caccia F16, blindati di terra e quantità illimitata di polvere da sparo”, giunge la vendetta palestinese che fredda quattro coloni presso l’insediamento illegale di Eli.
Il luogo è distante da Jenin, sorge su una collinetta presso l’autostrada numero 60,  sopra Gerusalemme e Ramallah, un sito incuneato fra i villaggi palestinesi di As-Sawiya e Qaryut. Eli esiste da quarant’anni, è dedicato a un sacerdote biblico.
Con questo genere d’insediamenti condannati anche dalle Nazioni Unite e capaci di ospitare ormai 750.000 persone, Israele ruba la terra e la vita del popolo dirimpettaio, facendo fare il lavoro sporco all’oltranzismo dei coloni, tutti armati e dal grilletto facile, che nelle marce per l’insediamento di ‘nuovi cittadini’ mettono in prima fila donne e pargoli indottrinati nel più fanatico dei programmi: riprendersi una terra considerata propria ed eliminare la presenza araba. Eliminarla fisicamente.
Così viene sotterrata anche la farsa degli Accordi di Oslo, che mai hanno determinato un vero Stato palestinese, obbligato a vivere sotto la minaccia delle armi di Israel Defence Forces e spinto a una resistenza eterna che è vita e morte, propria e altrui, in una spirale infinita. L’odierno attacco palestinese è giunto presso una stazione di servizio e mentre Natanyahu chiede una consultazione immediata sulla sicurezza, l’estrema destra sua alleata spinge per un’operazione militare su larga scala, ben peggiore di quel ch’era accaduto ieri.
Il portavoce di Hamas dalla Striscia di Gaza giustifica le uccisioni dei coloni come “risposta ai crimini d’occupazione”. 20 giugno 2023.

Tratto da: http://enricocampofreda.blogspot.com/

Le IOF fanno esplodere la casa della famiglia del prigioniero Juri

da InfoPal

Nablus. Oggi, giovedì, le forze di occupazione israeliane (IOF) hanno fatto saltare in aria la casa della famiglia del prigioniero Kamal Juri, nella città di Nablus, nel nord della Cisgiordania occupata.
Decine di veicoli militari israeliani hanno preso d’assalto Nablus dopo la mezzanotte, da diverse direzioni, si sono dislocati in via at-Tal, hanno circondato la casa e poi l’hanno fatta saltare in aria, provocando gravi danni.
Sono scoppiati scontri tra giovani palestinesi e le forze di occupazione nelle vicinanze della casa, e quest’ultime hanno sparato bombe a gas e proiettili di metallo rivestite di gomma, che hanno provocato feriti e asfissiati. Gli equipaggi delle ambulanze ha soccorso 115 tra feriti e casi di soffocamento, compresi anziani e bambini.
Le forze di occupazione hanno preso di mira direttamente le ambulanze con bombe a gas, asfissiando il personale sanitario.
Diversi mesi fa, le forze di occupazione avevano preso le misure della casa della famiglia Juri e le avevano consegnato un avviso di demolizione.
L’occupazione attribuisce al prigioniero Juri l’esecuzione di un’operazione armata, in insieme a Osama Al-Tawil, nei pressi del checkpoint “Shafi Shomron”, a ovest di Nablus, nell’ottobre 2022, in cui era stato ucciso un soldato israeliano.
L’occupazione continua a far saltare in aria le case delle famiglie degli autori degli attacchi, in una politica di “punizione collettiva” che viola tutte le leggi e i regolamenti internazionali. 22 giugno 2023.

Fonti: Quds Press e PIC.

L’occupazione prende d’assalto una sezione di “Ofer” e aggredisce i prigionieri

da InfoPal

Israele non è soddisfatto di imprigionare migliaia di nativi palestinesi – bambini, giovani, donne, madri e padri di famiglia – ma ha anche bisogno di aggredirli mentre sono in carcere, con periodiche e sadiche irruzioni nelle celle. Distruggere l’indifeso, quello che si trova in una condizione di impossibilità a reagire, è il “valore aggiunto” dell’immoralità dell’occupante. Ovviamente, i rappresentanti della cosiddetta legalità internazionale rimangono inermi di fronte ai continui abusi israeliani, limitandosi a sporadiche, quanto inutili, dichiarazioni di “condanna”. E’ il doppio standard internazionale occidentale.

Domenica, le unità di repressione dell’amministrazione carceraria israeliana hanno fatto irruzione nella sezione 21 del centro di Ofer, hanno effettuato estese perquisizioni e atti di vandalismo nelle celle e hanno distrutto gli effetti personali dei prigionieri.
Il Club dei prigionieri ha dichiarato, in un breve comunicato stampa, che “le unità di repressione Yamaz e Masada hanno preso d’assalto la Sezione 21 nel centro di detenzione di Ofer e hanno vandalizzato gli oggetti dei prigionieri”.
Le unità di repressione dell’amministrazione delle carceri israeliane includono soldati che hanno prestato servizio in varie unità militari dell’esercito di occupazione, e i suoi membri hanno ricevuto un addestramento speciale per sopprimere e maltrattare i prigionieri, usando varie armi, tra cui coltelli, manganelli, gas lacrimogeni velenosi e dispositivi elettrici che causano ustioni al corpo, proiettili incendiari, proiettili dumdum vietati a livello internazionale e altri che causano forti dolori. 26 giugno 2023.

Fonte: Quds Press.

Due prigioniere palestinesi in condizioni disumane nel carcere di Ramla

Ramallah. La Commissione palestinese per gli Affari dei Detenuti ed ex-detenuti ha affermato che due prigioniere, Fatima Shahin e Itaf Jaradat, stanno affrontando condizioni difficili nel carcere di Ramla.
In una dichiarazione rilasciata domenica, la commissione ha affermato che la prigioniera Jaradat viene trattenuta come assistente di cura insieme a Shahin, che soffre di gravi ferite da proiettile e non può muoversi.
L’avvocato Fawwaz Shaludi, della commissione, ha riferito che la prigioniera Shahin è paralizzata a causa di ferite gravi alla colonna vertebrale e all’addome, che ha subito ad aprile quando i soldati israeliani hanno aperto il fuoco su di lei, prima di arrestarla.
Ha affermato che Shahin soffre di dolori intensi a causa di un gonfiore nella zona ferita del suo corpo, aggiungendo che tali dolori la tengono sveglia tutta la notte.
L’amministrazione penitenziaria la priva delle visite dei suoi familiari e di parlare con loro al telefono, secondo quanto denunciato dall’avvocato.
Shahin e la sua compagna, Jaradat, sono detenute in una piccola cella senza finestre, con un solo letto. Questo letto è stato fornito solo a Shahin, mentre la prigioniera Jaradat deve dormire ogni giorno su una sedia simile a quelle destinate agli assistenti di cura negli ospedali.
Da quando è stata messa nella stessa cella con la prigioniera Shahin, anche a Jaradat è stato negato il diritto di visite familiari. 26 giugno 2023.

Fonte: PIC.

Israele si rifiuta di rilasciare prigioniero palestinese malato terminale

da Infopal

l comitato israeliano per la libertà condizionale, presieduto dal giudice in pensione Zvi Segal, ha respinto lunedì la richiesta di scarcerazione anticipata del prigioniero palestinese Walid Daqqa, gravemente malato, nonostante sia a rischio di morte.
Contrariamente all’opinione di un esperto medico del Servizio carcerario israeliano (IPS), che ha messo in guardia sul fatto che la vita di Daqqa è in “concreto pericolo” a causa del cancro, il comitato per le libertà condizionali di Israele ha concluso che la salute del 61enne non è una condizione sufficiente per la sua scarcerazione anticipata.

L’IPS ha confermato, dopo averlo diagnosticato, che “i suoi giorni sono contati e c’è un rischio immediato per la sua vita”.
Come altri prigionieri palestinesi, Daqqa, a cui è stata diagnosticata per la prima volta la leucemia nel 2015, ha subito negligenza medica durante i suoi 37 anni di prigionia, peggiorando la sua salute. A causa del deterioramento della sua condizione, è stato trasferito dalla clinica della prigione di Ramla al Centro Medico Shamir all’inizio di quest’anno.
In segno di protesta per la privazione del diritto di comunicare con la sua famiglia, Daqqa ha restituito i suoi medicinali all’amministrazione della clinica nella prigione di Ramla.
Daqqa venne arrestato nel 1986 e condannato a 37 anni di prigione, che ha completato nel marzo 2023. Tuttavia, le autorità israeliane hanno esteso la sua condanna di due anni nel 2017 per l’accusa di contrabbando di telefoni cellulari in prigione.
Secondo l’ONG palestinese Addameer, Daqqa è uno scrittore, attivista e prigioniero politico palestinese originario di Baqa al-Gharbiya, una città palestinese in Israele; nel 2022 gli fu diagnosticata una rara forma di cancro al midollo osseo.
È uno dei 19 palestinesi che hanno trascorso più di 30 anni nelle prigioni dell’occupazione israeliana e uno dei 23 incarcerati prima degli Accordi di Oslo del 1991, secondo Addameer. 30 giugno 2023.

Fonte: MEMO.

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alexik

Un commento

  • Mariano Rampini

    https://comune-info.net/lantisemitismo-come-pretesto/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=Dove+va+l%27estrattivismo

    Allego il link di un interessante articolo apparso su Comune Info relativo all’uso strumentale che viene fatto (e non da oggi) della definizione di “antisemitismo” messa a punto dall’IHRA. Una definizione che per sua natura si richiama a una “certa percezione degli ebrei…” senza però darne una specificazione concreta. Tale definizione viene spesso (e lo è stata) ripresa par pari attribuendole una valenza giuridica che non può possedere. Mi fermo per far comprendere a chi legge questo mio intervento che sono lontanissimo da qualsiasi posizione antisemita e/o comunque razzista (una specifica necessaria proprio in forza della definizione IHRA). Torno all’idea di un’attribuzione giuridica a un testo che si basa su “una certa” e indefinita percezione di un popolo. Nessun testo giuridico potrebbe accettare una norma che sia così indeterminata. Ma lo si fa. Cosa accade? Che in nome di questo principio indefinito si giustifica qualsiasi comportamento del governo israeliano. Anche quelli che – mutatis mutandis – potrebbero tradursi in atti di aperto razzismo verso il popolo palestinese. In fondo quella stessa definizione – come viene ben illustrato nell’articolo – potrebbe essere adattata a qualunque popolo che subisse un trattamento simile a quello che subisce il popolo palestinese. Una questione che – per timore o per non conoscenza – viene fin troppo spesso ignorata dai mezzi di comunicazione. E che, al contrario, rappresenta una ferita aperta all’interno del mondo medio-orientale e che nessuno cerca di curare…

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