Fratel Gerardo, un prete francese nelle miniere sarde
Nel settembre del 1959 Gerard Fabert arriva ad Iglesias.
Pierpaolo Loi e Benigno Moi
Negli ultimi trent’anni abbiamo conosciuto, chi personalmente chi per averne letto, di preti “fuori dal seminato”, se per seminato intendiamo quanto normalmente si insegna nei “Seminari” (diocesani o simili) nel preparare i sacerdoti al ruolo che le Curie poi assegneranno loro. In particolare nel campo dell’assistenza ai migranti ci sono stati e ancora ci sono preti che hanno lavorato, spesso in contrasto coi loro vescovi e le autorità vaticane, alla costruzione di comunità solidali, sul confine fragile fra attività “legali” e no.
Se quasi tutti ricordiamo il genovese Andrea Gallo, molti altri hanno fatto (volenti o nolenti) parlare delle loro gesta. Come il “prete no-global” Vitaliano Della Sala, o il pistoiese Massimo Biancalani, ancora attivi. Alcuni, come il padovano Luca Favarin, hanno deciso di lasciare la tonaca per rimanere fedeli al loro credo e al loro operato. Nel terreno dell’assistenza ai migranti troviamo gli esempi più numerosi, ma i campi d’intervento sono anche altri: dalle carceri alle tossicodipendenze, dall’assistenza ai senzacasa alle nuove e vecchie povertà; o nella lotta alle mafie, come nel caso di don Ciotti o, in maniera per loro fatale, di don Puglisi o don Peppe Diana. Diverso è pure il tipo di approccio alle problematiche, approccio che va dalla solidarietà combattiva e di denuncia sino, invece, alla carità pelosa o consolatoria.
C’è invece, o quantomeno c’è stata, un’esperienza meno conosciuta oggi, quella dei “preti operai”[1]. Esperienza che subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, e per alcuni decenni, ha caratterizzato un tipo particolare di vivere la propria “missione evangelica” da parte di un gruppo di religiosi cattolici. In Italia erano gli anni di Don Milani, del dibattito conciliare e delle comunità di base, come quella di Don Mazzi nel quartiere fiorentino dell’Isolotto. In Sudamerica la vigilia dei movimenti ispirati alla Teologia della Liberazione. Ma in tutt’Europa, a partire dalla Francia, si diffuse una pratica del “fare testimonianza di fede” condividendo in maniera radicale la vita del mondo del lavoro manuale, salariato, coi suoi problemi e le sue battaglie. Un bel po’ di religiosi cercò un lavoro, spesso fra i più faticosi come quelli dell’operaio, dello scaricatore di porto e del minatore, vivendone di conseguenza tutti gli aspetti, dalla fatica alla lotta.
Ed è una di queste storie, e in particolare uno di questi preti, che vogliamo ricordare con questa scordata. A 65 anni dall’arrivo arrivo di un giovane francese, non ancora prete, nella “Fraternità dei piccoli fratelli del Vangelo” a Bindua, una frazione di Iglesias, vicina alla Miniera di San Giovanni, in Sardegna: Gerardo Fabert.
La comunità religiosa di Bindua esisteva già da due anni, fondata da Arturo Paoli, un prete/missionario toscano che, dopo aver fatto la Resistenza e aiutato ebrei ricercati dai nazisti, si avvicina alle teorie di Charles de Foucauld.
Quella della comunità religiosa di Bindua di religiosi e dei preti minatori è una storia che al tempo fu molto raccontata.
Lo fece Ugo Gregoretti, realizzando una “docufiction” per la RAI nel dicembre del 1958, “Buon Natale ovunque tu sia”, trasmesso dalla RAI alla vigilia del Natale 1958.[2]
Sempre la RAI, nel 1963 raccontò la storia della comunità, intervistando fra gli altri proprio Fratel Gerardo, per un servizio mandato in onda dallo storico rotocalco TV7.[3]
In Sardegna sono tante le persone che hanno conosciuto Fabert nel corso dei suoi due periodi trascorsi nell’isola, sino alla morte a Iglesias, dove è stato sepolto. Molte di queste persone sono ancora attive in movimenti e comunità di solidarietà. Fabert ha vissuto e operato anche presso “La Comunità di Sestu”,[4] una Comunità molto vicina a La Bottega del Barbieri e al suo direttore (e sulla quale sarà opportuno che qui in Bottega si spendano le giuste parole che merita).
Speriamo quindi che altre e altri che hanno conosciuto Fratel Gerardo, i suoi “fratelli” e l’esperienza di Bindua, vogliano condividere le proprie testimonianze anche qui in Bottega.
Intanto riportiamo con gratitudine la testimonianza di Pierpaolo Loi.
B.M.
Fratel Gerardo Fabert a 65 anni dal suo arrivo in Sardegna come Piccolo Fratello del Vangelo.
di Pierpaolo Loi
Cenni biografici
La prima fraternità italiana dei Piccoli Fratelli del Vangelo fu aperta il 2 agosto del 1957 a Bindua, una piccola frazione di Iglesias, all’interno del più importante bacino minerario della Sardegna nel Sulcis-Iglesiente. Vi si trasferirono fratel Arturo Paoli e due confratelli francesi, Paul Cheval e Marcel Laffage. Fratel Arturo lasciò Bindua una notte di fine settembre 1959 e fu inviato in Argentina. A sostituirlo lo stesso mese arrivò a Bindua un giovane francese, fratel Gérard Fabert e vi rimase fino al 1974. Nel febbraio del 1960 iniziò a lavorare nella miniera di San Giovanni, nella quale, dopo un’interruzione per il completamento degli studi teologici, diverrà perforatore specializzato.
Nato a Metz (Lorena francese) il 15 maggio del 1933, dopo gli studi liceali, nel 1953 entrò nella congregazione dei Piccoli Fratelli. Circa un anno dopo, iniziò il noviziato a El Abiodh, in Algeria, insieme a fratel Arturo Paoli. «Aveva ventuno anni – così lo descrisse fratel Arturo – ed era una splendida bellezza che veniva a offrirsi incondizionatamente a Dio per servirlo tra i poveri, tra gli infelici, tra le persone che hanno più bisogno di lui».[5]
Fratel Gerardo fu ordinato sacerdote il 31 ottobre 1966. Visse a Bindua con i confratelli Paul Cheval e Paul Collet e altri piccoli fratelli che vi soggiornarono, tra i quali Carlo Carretto. A Bindua collaborò con i “Soci costruttori” di Codogno per dotare la frazione di rete idrica e fognaria, s’impegnò nell’attivazione di cooperative di lavoro per le donne e per gli uomini, costituì gruppi di preghiera e riflessione sulla Bibbia.
Dal 1975 al 1977, dopo la chiusura della fraternità a Bindua, i Piccoli Fratelli si trasferirono a Ottana e fratel Gerardo diede vita a una nuova fraternità insieme a fratel Tommaso Bogliacino. Continuò a fare l’operaio nei cantieri stradali. Prima di lasciare Bindua, fratel Gerardo inoltrò domanda per ottenere la cittadinanza italiana, che gli fu negata perché iscritto alla CGIL.
Dopo il periodo trascorso a Ottana, fratel Gerardo visse circa due anni nella “Comunità – cooperativa” di Sestu, comunità di vita di persone con disabilità e no, lavorando alla costruzione del laboratorio per la produzione di manufatti artistici in rame (sbalzo e cesello), contribuendo alla produzione degli stessi e dedicandosi alla ricerca di opportunità di vendita in tutta l’Isola. Nel mese di ottobre del 1978 contribuì ad avviare a Carbonia la “Comunità di via Marconi”, che si ispirava al modello di Sestu[6].
Con un documento che denunciava l’incapacità della Chiesa sarda di compromettersi con il mondo operaio, di ascoltare il grido dei poveri, annunciò la sua decisione di partire per il Brasile: Evangelizzazione e mondo operaio. L’impossibilità di un dialogo. Questa scelta lasciò nello sconforto molte persone. Fratel Gerardo arrivò a Crateús in Brasile, nello Stato del Ceará, il 30 novembre 1979 dopo un viaggio aereo di 12 ore dal Marocco e 100 ore di pullman (5000 km) da San Paolo. Vi rimase fino al 2001.
La relazione che si era creata con i compagni di lavoro, le famiglie di Bindua, Ottana, Sestu, Carbonia, con le amiche e gli amici, che si nutrivano della spiritualità incarnata nella vita dei poveri secondo l’ispirazione di Charles de Foucauld, in vent’anni di permanenza Sardegna, non s’interruppe, anzi divenne più intensa tramite la corrispondenza epistolare sia privata che comunitaria. Le Lettere dal sertão ne sono una testimonianza.[7] Le circolari periodiche ci descrivono la realtà brasiliana, le lotte dei contadini sem terra, le occupazioni di terre incolte. La realtà di una Chiesa che fece la scelta preferenziale per i poveri secondo le indicazioni dei documenti delle Conferenze generali dei vescovi latinoamericani di Medellín e Puebla.
Fratel Gerardo riusciva a connettere il locale con il globale e aveva intuito che il processo di mondializzazione in atto avrebbe portato a una omologazione culturale (quella occidentale) con la perdita delle diversità che arricchiscono l’unica famiglia umana. Aveva anche preconizzato la necessità della condivisione del lavoro: lavorare meno per lavorare tutti.
Al rientro dal Brasile in Italia, scelse di nuovo la Sardegna, benché non ci fosse più una fraternità di Piccoli Fratelli. Trovò ospitalità a Carbonia e visse diversi anni nella “Comunità di Via Marconi”. L’ultimo periodo della sua vita terrena lo trascorse nella casa di riposo “Casa Serena” a Iglesias; anche questa, una scelta di condivisione della vita degli ultimi.
Il 24 luglio 2008 il Consiglio comunale di Carbonia conferì la cittadinanza onoraria a Fratel Gerardo. Nella lettera di ringraziamento al sindaco del Comune di Carbonia, Tore Cherchi, Gerardo affermava di sentire la cittadinanza onoraria come onorificenza per «tutte le Vie Marconi della Sardegna e del mondo, tutte le ong, per gli amici di Bindua, Cagliari e Ottana, per gli operai e i minatori, come per la chiesa di Iglesias che è stata la prima a ricevere i Piccoli Fratelli che hanno tentato qui di lavorare all’annuncio del Signore in unione con i poveri».[8] Fratel Gerardo, in realtà, si è sempre sentito cittadino del mondo, fratello universale, secondo il sentire di Charles de Foucauld. [9]
Il mio incontro con fratel Gerardo
Ho conosciuto fratel Gerardo durante gli ultimi anni di liceo trascorsi nel Seminario di Cagliari. Durante gli anni di teologia, qualche ritiro a Ottana. Mi ha unito a fratel Gerardo l’interesse per il mondo del lavoro, in particolare per gli operai e le operaie delle fabbriche, lavoratori e lavoratrici stagionali nei campi. La sua sensibilità verso i portatori e le portatrici di disabilità, nel periodo della sua permanenza nella Comunità di Sestu.
In Sardegna, certamente anche per l’influsso dei Piccoli Fratelli, alcuni preti scelsero di condividere la vita dei lavoratori salariati o degli artigiani. Il movimento dei preti operai, nato in Francia dopo la Seconda Guerra Mondiale, all’inizio degli anni Cinquanta si estese nei principali Paesi dell’Europa occidentale, tra cui l’Italia. A Cagliari, don Andrea Portas, prete operaio per 35 anni.
Erano i primi anni ’70 del secolo scorso, gli anni dell’attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II, voluto da papa Giovanni e portato a termine da papa Paolo VI. Erano gli anni in cui arrivava in Europa l’eco della Teologia della Liberazione dell’America Latina, riflessione teologica sulla prassi vissuta dalle Cebs (comunità ecclesiali di base) che dal Brasile si diffusero in tutto il Continente amerindio[10]. Furono anche gli anni del dissenso cattolico in Italia e della nascita delle Comunità di base italiane.
Due mondi, quello della classe operaia e quello dei processi di liberazione dei Paesi in via di sviluppo, che mi hanno sempre interessato. Vedevo in fratel Gerardo una radicalità di pensiero e di azione non comuni, modello per una vita da consacrare al riscatto delle persone più umili e umiliate, alle persone emarginate a causa delle disabilità, alle persone più povere e dimenticate.
Credo di non aver conosciuto persona più appassionata nel denunciare l’ingiustizia del capitalismo, come sistema inumano di sfruttamento e di inganno; e all’inganno del consumismo erano soggette (e sempre più lo sono state) anche le classi lavoratrici. Nelle sue lettere e nei suoi pochi testi pubblicati, risalta la capacità di analisi dei processi sociali, economici e politici. Diventando Piccolo Fratello del Vangelo, aveva scelto di condividere la vita dei poveri, “vivere come loro”, ma sempre nella prospettiva di una liberazione dallo sfruttamento, dall’abbruttimento di un lavoro che non lasciava spazio alla cura della mente e dell’anima.
Nella conversazione personale, il suo sguardo ti interrogava più che le parole, sempre essenziali, qualche volta provocatorie[11]. E poiché la fraternità di Bindua era un punto di riferimento anche per cattolici che appartenevano alla classe media, non mancarono certo le occasioni per mettere in discussione certezze ideologiche e stili di vita.
I Piccoli Fratelli, nelle loro abitazioni, in tutto simili a quelle della gente dei quartieri più poveri delle città o dei villaggi in cui si radicavano, riservavano un piccolo spazio alla preghiera, una semplice e scarna cappella. La preghiera personale e la celebrazione eucaristica sono dei cardini della loro spiritualità. Ciò che mi affascinava in Gerardo era il suo modo di celebrare la messa. Lui, uomo che, talvolta, non risparmiava la durezza del giudizio, all’altare si trasformava e dal suo volto traspariva la tenerezza.
I ventidue anni vissuti da fratel Gerardo nella regione più povera nel Nord-Est del Brasile sono stati anni fecondi anche per le persone a lui legate, sia in Sardegna che nel “Continente”. Quando arrivava la lettera circolare di Gerardo, la lettura ci immergeva in un mondo altro e in una Chiesa più coraggiosa e compromessa col mondo dei poveri. Nella Comunità di San Rocco, talvolta si faceva la lettura collettiva della lettera, una lettura che ci commuoveva e ci interrogava. Tutte le volte che è tornato in Europa, Gerardo ha voluto rendere visita agli amici nelle comunità in cui ha vissuto o che ha incontrato (Bindua, Cagliari, Ottana, Sestu, Carbonia, Olbia).
L’ultima lettera circolare dal Brasile è del 2 novembre 2001. Fratel Gerardo comunicò agli amici e alle amiche della Sardegna e del “Continente”, vista l’impossibilità di continuare a vivere in solitudine – causa l’età e gli acciacchi legati ai suoi trascorsi lavorativi (silicosi)-, le alternative che gli si presentavano per continuare a vivere la sua pensione in dignità.
Nel 2002, fratel Gerardo rientrò a malincuore in Europa per un intervento chirurgico dopo il grave incidente in moto che lo costrinse all’immobilità per due anni. Tornò in Sardegna per una nuova stagione di impegno e di amicizia. Nel 2001, dal Brasile aveva seguito la lotta portata avanti da Giampiero Pinna (ingegnere minerario, ex direttore della miniera di Monteponi, consigliere regionale) per il riconoscimento da parte dell’UNESCO del Parco geominerario. Gerardo si impegnerà in una pubblicazione con lo scopo di conservare la memoria della vita, della morte sul lavoro o in difesa dei propri diritti, e della cultura della classe operaia sarda legata al lavoro in miniera nel Sulcis-Iglesiente e nel Guspinese. L’Associazione Minatori-Memoria (A.MI.ME) pubblicò il lavoro di ricerca in un volume nel 2006. Tra i contributi, quello di fratel Gerardo: Perché abbiamo voluto scrivere questo libro e dedicarlo ai minatori sardi deceduti sul lavoro o in difese dei propri diritti.[12]
Questo testo andrebbe inserito nei manuali scolastici di storia del Novecento. Fratel Gerardo riesce a raccontare la sua storia personale intrecciandola con la storia delle miniere in Sardegna, dall’epoca romana fino ai nostri giorni, facendo anche riferimento ai milioni di indigeni che morirono nelle miniere dell’America Latina all’arrivo dei conquistatori europei.
«Quando sono arrivato a Bindua (frazione d’Iglesias), nel 1959, come Piccolo Fratello del Vangelo e giovane francese d 26 anni, sono stato colpito dal fatto che nel villaggio della piccola frazione mineraria non vi fossero vecchi: i vecchi sono la memoria e, tutt’insieme le radici che ci legano al nostro passato, alla nostra terra, alle tradizioni e, nello stesso tempo, sono accompagnamento per il futuro, per le generazioni che verranno. Ebbene, a Bindua […] non c’erano vecchi, né uomini, né donne, né vecchi nelle piazze, nelle strade o vicino al fuoco […]. Era difficile arrivare al tempo della pensione, perché la miniera aveva rubato i polmoni e ridotto la media della speranza di vita, che non superava di molto i 50 anni il vivere il vivere continuamente nella polvere nociva delle discariche influiva sullo stato di salute di donne e bambini che nonostante non avessero mai messo piede in miniera spesso recavano tracce di silicosi e i polmoni forati […].
Ho quarantatré anni di “marchette” pagate ed ho fatto tanti mestieri (oltre al Parroco, il boscaiolo, il panificatore, il contadino, il minatore, il responsabile sindacale; ho lavorato anche tre anni nei cantieri delle “superstrade” ed è stato, forse, il periodo più duro di lavoro disumano che abbia mai fatto; ho dovuto fare 29 mesi di guerra in Algeria, per difendere i privilegi della potenza coloniale), ma ho imparato la “Solidarietà” in miniera. Solidarietà di classe, e non “odio di classe”, solidarietà nell’obbligo di guadagnarsi con un duro lavoro il pane di tutti i giorni, solidarietà nei pericoli della vita nel sottosuolo, solidarietà nella lotta per migliorare le condizioni di vita e di sicurezza».[13]
In occasione del 75° compleanno di Gerardo, il 15 maggio 2008, con la presenza di fratel Arturo, fratel Tommaso e altri confratelli, amici e amiche, a Carbonia, fu celebrata una messa nella chiesetta campestre di Sirri, luogo che veniva utilizzato anche come eremo. Fu un momento vissuto nella gioia spirituale e nella festa conviviale nella struttura gestita dalla “Comunità di Via Marconi” in località Punta Torretta, che nel 2012 gli fu dedicata: Casa “Fr. Gerardo Fabert”.
Ritengo importante ricordare due momenti di incontro con fratel Gerardo dopo il suo rientro in Sardegna; uno presso la “Comunità di Via Marconi” di Carbonia, l’altro alla “Comunità La Collina” di Serdiana. Nel 2004 ricevetti l’invito della “Comunità di via Marconi” per un incontro-dibattito sul tema “Giustizia e pace per un mondo diverso”. Questo incontro avvenne il 2 luglio in un’atmosfera di semplicità, di ascolto profondo e di cordialità, presente tra le altre persone Angela Borghero, la decana della comunità. La mia relazione affrontava le problematiche del debito dei Paesi poveri, della mondializzazione del mercato, piuttosto che della globalizzazione dei diritti, del neoliberismo dominante, della militarizzazione imperante e dello scontro di civiltà. Quali fossero le alternative possibili: la decrescita, la sobrietà responsabile, il condono del debito. Insomma, il sogno di un nuovo mondo possibile.
Durante gli incontri che si tenevano alla “Comunità di Via Marconi” c’era, inoltre la possibilità di acquistare alcuni prodotti del commercio equo e solidale a prezzi accessibili anche ai meno abbienti. Gerardo si era impegnato a promuovere anche questa attività. Alla fine dell’incontro io e Gavina, mia moglie, cenammo con Gerardo; fu la condivisione di un pasto frugale, che ci rese ancora più vicini.
Nell’autunno del 2005 la Rete Radié Resch, Associazione di solidarietà internazionale – gruppo di Cagliari, si fece promotrice insieme alla “Comunità La Collina” e al GEL (Gruppo Ecumenico di Lavoro) di un seminario di riflessione e condivisione sul tema della fede in rapporto all’economia: Vivere la spiritualità ecumenica nel quotidiano in un mondo globalizzato. Il seminario venne realizzato nel fine settimana di sabato 15 e domenica 16 ottobre. Le due relazioni introduttive furono affidate a Herbert Anders (pastore della Chiesa Evangelica Battista di Cagliari): Spiritualità ecumenica e globalizzazione: la fede interroga l’economia, e a fratel Gerardo: Spiritualità ecumenica nel quotidiano: l’economia interroga la fede.
Il sabato mattina andai alla stazione a prendere Gerardo per accompagnarlo in Collina. Arrivammo in comunità intorno alle 10:30/11:00. Ci trovammo immersi in un’atmosfera particolare: nello spazio antistante la cappellina si stava celebrando un matrimonio con rito induista. Ricordo Gerardo partecipare attentamente alla cerimonia lasciandosi coinvolgere nei vari momenti. Egli aveva una forte sensibilità ecumenica, data anche dal legame con la comunità di Taizé, e macro-ecumenica, di apertura alle altre religioni nel dialogo interreligioso.
Il seminario fu molto interessante sia sotto l’aspetto culturale per le dotte relazioni sul tema, sia per i momenti di spiritualità condivisa, come l’eucaristia celebrata da fratel Gerardo con la partecipazione del pastore Herbert Anders.
Ebbi ancora occasione di incontrare Gerardo a Iglesias, per iniziative sociali e culturali o solo per trascorrere insieme qualche momento a “Casa Serena”. Nell’ultima mia visita, trovai Gerardo in un letto dell’Ospedale di Iglesias, dove sostai in preghiera. Durante quella notte, il 19 aprile 2010, il nostro caro amato fratel Gerardo passò a nuova vita. Sua la scelta di essere sepolto in Sardegna. Il suo corpo riposa nel cimitero di Iglesias.
Lascio in ultimo la parola a fratel Gerardo, tratta dall’intervista di Radio Sardegna, a cura di Roberta Mocco[14], quarant’anni dopo la trasmissione del 1963 di Rai Tv7 sui Piccoli Fratelli del Vangelo che vivevano a Bindua: Cristo tra i minatori. Tra le domande che la giornalista pone a fratel Gerardo e le sue risposte ne ho scelto due che mi sembrano emblematiche per far memoria della sua figura.
«Perché è importante mantenere la memoria di ciò che si è stati?»
«C’è memoria e ricordo. Ricordo è già una cosa del passato che non incide più profondamente nella vita. C’è la memoria che è la presenza di una cultura…noi lo chiamiamo il virus delle miniere: tutta questa sensibilità che faceva del mondo della miniera una cultura particolare. Ci sono ambienti nel mondo, immagina il mondo della transumanza, i nomadi del deserto, la gente del circo, per esempio, che vivono in un ambiente così particolare che genera una cultura propria. E penso che la cultura mineraria sia uno di questi ambienti che creava una sensibilità particolare».
«Perché ha deciso di tornare qui nel Sulcis dopo trent’anni passati in Brasile?»
«Perché penso che nella vita di un uomo, di una donna si fanno le vere amicizie, quelle che durano, quelle tra i 18 e 20 anni e i 45 e poi si vive su questo passato. E su questo terreno non ho mai incontrato in Brasile l’accoglienza, perché è particolare dei sardi anche, e l’assenza di pregiudizi, che ho incontrato in Sardegna nel mondo del lavoro. Non era previsto di ritornare in Sardegna, pensavo di finire la mia vita in Brasile tra le comunità di base. E poi ho visto nell’incidente di moto grave, che mi ha immobilizzato per due anni, un poco la provvidenza del mio Signore e, malgrado tutto, un sorriso di Dio».
Pierpaolo Loi
Documenti – Video e audio
TV7: Cristo tra i minatori: https://www.sardegnadigitallibrary.it/detail/6499b921e487374c8f80286d
Il documentario, con stralci dell’intervista a Gerard Fabert, verrà citato (e inquadrato storicamente) nella trasmissione di Radio Rai Sardegna “Passaggi di tempo” dedicata all’anno 1963: sardegnadigitallibrary
Buon Natale ovunque tu sia, U. Gregoretti https://www.adista.it/video/28
Dal canale Youtube di Dino Biggio, curatore delle opere di Arturo Paoli:
Arturo Paoli ricorda fratel Gerardo Fabert https://www.youtube.com/watch?v=w4896naJRlE
I Piccoli Fratelli di Bindua https://www.youtube.com/watch?v=8nkHyMq49Gg
In ricordo della ordinazione sacerdotale di fratel Gerardo Fabert https://www.youtube.com/watch?v=6aDnXVx6fk4
62° Anniversario fondazione della prima Fraternità italiana dei Piccoli Fratelli, ediz. Integrale
https://www.youtube.com/watch?v=CC0SY-j46II
Sulla stampa
https://www.laprovinciadelsulcisiglesiente.com/tag/fratel-gerardo-fabert/
NOTE
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Preti_operai
[2] https://www.adista.it/video/28
[3] https://www.sardegnadigitallibrary.it/detail/6499b921e487374c8f80286d Video realizzato nel 1963 dalla RAI nella località mineraria di San Giovanni Miniera, vicino a Iglesias. Il filmato offre una interessante intervista al trentenne fratel Gerardo Fabert. Le immagini sono state girate dal cineoperatore della sede RAI di Cagliari Gino Busia. La voce narrante è quella del grande Arnoldo Foà.
[4] http://www.comunitadisestu.it/chi-siamo/
[5] Vedi Arturo Paoli ricorda fratel Gerardo… in https://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=2911 .
[6] Cfr. Comunità di Sestu, 1972 – 2022 Comunità di Sestu. A 50 ANNI DALLA NASCITA, Sestu – CA, 2022, p. 49.
[7] Una raccolta delle lettere è stata pubblicata nel bel volume, Fratel Gerardo, a cura di Margherita Zaccagnini e Aurelio Ronzitti, Lettere dal sertão, CUEC, Cagliari, 2003; in seconda edizione, con prefazione di Ettore Cannavera, dalle Edizioni La Collina, Serdiana (CA), 2008.
[8] Andrea Scano, È di Carbonia il cittadino del mondo prete operaio dal Brasile a Bindua, in LA COLLINA – Rivista della Comunità la Collina, Anno I, Numero 2, ottobre/dicembre 2008, p. 24.
[9] «Voglio abituare tutti gli abitanti, cristiani, musulmani, ebrei e non credenti a guardarmi come loro fratello, il fratello universale… Cominciano a chiamare la casa la fraternità e questo mi è caro» (Charles de Foucauld, Lettera a Marie de Bondy, 7 gennaio 1902).
[10] Del 1972 l’edizione italiana del libro di Gustavo Gutierrez, Teologia della Liberazione, Queriniana, Brescia.
[11] Vedi Fratel Gerardo, Lettere dal sertão, op. cit., p. 12: «La fraternità di Bindua […] è stata negli anni ’60 un luogo di richiamo per tanti giovani che provenivano non solo dall’Iglesiente, ma anche da Cagliari e dal resto della Sardegna. E che lì hanno trovato alimento ricco e profondo per la loro fede o più semplicemente per la loro vita; anche se spesso Gerardo accoglieva noi “esterni” con una domanda provocatoria: “Che cosa siete venuti a fare qui? Turismo??!”».
[12] SARDEGNA: minatori e memorie, A.MI.ME, Cagliari, 2006, pp. 9 – 16. Vengono riportati alcuni dati della ricerca: «1514 casi di infortunio mortale nelle miniere sarde, durante il periodo che va dal 1861 al 2000» (p. 11); «soltanto nelle miniere di Carbone del Sulcis morirono 340 minatori tra il mese di maggio del 1931 e il gennaio del 1992» (p. 12). Dati relativi ai minatori morti in difesa dei propri diritti: «… (furono quindici deceduti tra Buggerru, Nebida, Gonnesa e Iglesias, nei primi anni del XX secolo), come quelli delle donne decedute in miniera, travolte da frane o annegate nelle “laverie” o dormitori della Società Mineraria o anche infortunate nella “cernita” del minerale (dal 31 dicembre 1919, lavoravano nelle dell’Iglesiente 1.168 donne e 628 minori di 10 anni e più)» (p. 12).
[13] Ivi, pp. 13 – 15.
[14] Passaggi di tempo: n. 4, in https://www.sardegnadigitallibrary.it/detail/6499b994e487374c8f803cab
Grazie per questa storia, per la sua narrazione, per quanto sa ancora insegnare.
Ringrazio anch’io per questa testimonianza. Un’esperienza di vita che non conoscevo e che rafforza la mia idea di un Vangelo non fatto di parole ma applicato nella realtà.