FRETTA ALCUNA

di Pabuda

 

un tipo che non conosco punto

e del quale

non ho fretta alcuna

di far diretta conoscenza

LA CALLIGRAFIA (G. Tonso)

ha scritto senza firmarla

una stranissima lettera d’amore

a un amico mio

carissimo e compagno

(insisto: compagno).

che l’anonimo tipo

sia un tipo e non una tipa

lo si capisce a prima vista

dalla forma della “u”

che impiega al termine

del suo assai breve

e volgare componimento

in stampatello:

povera “u”:

è come uno sfigato quadratino

senza “tetto”,

capite cosa intendo…

e spiegata così la faccenda della “u”

la capisci anche tu,

vero, testolina di marcio pongo?

le “o”, invece, denunciano

un’incertezza e un’indecisione

talmente gravi, acute

e dirompenti

da suggerire l’intervento urgente

d’un esperto, preparato

e ben agguerrito psicoterapeuta:

per cominciare: in tutta la letterina

son soltanto due!

(ormai lo sa pure l’ultimo sasso:

se in una lettera che vorresti romantica,

o al minimo un po’ sexy, non riesci a piazzare

almeno tre “o”… è molto meglio

che la stracci e la butti nel cesso!).

e poi una, per quanto sbilenca,

è tondeggiante…

mentre l’altra

è un quadratino tremolante.

che la mal formulata missiva

sia un maldestrissimo

tentativo

di dichiarare

un’irrefrenabile attrazione

e di confessare chissà quali fantasie

d’impossibili carezze e amplessi

lo dice chiaro come il sole

quella brutta frase

grondante invidia e gelosia:

“te la fai coi pachistani”…

ma sopra ogni altra considerazione,

va messo in evidenza

che l’anonimo pretendente

rivela una timidezza patologica

e un’inesperienza in faccende amorose

davvero preoccupante:

non puoi rivolgerti all’oggetto

dei tuoi desideri utilizzando soltanto

il cognome…

e confondendo così bellamente

un appropriato “caro”

con un’assolutamente

incongruo “merda”.

per concludere: la chiosa:

solo un imbecille da record mondiale

può pensare che scrivere

“ultimo avviso”

sia efficace e promettente

come un molto più esplicito:

“spero, tesoro, tu mi risponda presto”.

ora… sfigato ometto senza speranza

e senza il tuo nome in calce

alla lettera lasciata al mio amico…

che ti si può suggerire?

boh: non ti conosco

e immaginandoti un pochino

direi proprio che di te

e dei tuoi innumerevoli guai

non me ne frega un cazzo.

però, senza far troppo sforzo,

m’arrischio a ipotizzare

che in questo curioso e pietoso caso

potrebbe giovare una terapia massiccia

(diciamo… su per giù duemila volumi)

a base di romanzi epistolari

(ce n’è dei molto belli in ogni biblioteca,

e, richiesti con gentilezza,… li danno gratis!).

se, invece, molto più banalmente,

da un deserto totale di fantasia

a scrivere quella lettera anonima

è saltato fuori… un coso…

come si dice… un fascio, un nazo

è bene sappia

che il mio amico è bravo e bonaccione,

equo-solidale e tutto quanto

ma in casa, sotto il lettone

, tiene una chitarra

che fu di Woodie Guthrie in persona,

con su scritto:

this machine kills fascists”:

le poche parole d’inglese

che il mio amico capisce.

per di più, il mio amico

tiene un sacco d’amici chitarristi,

tutti con la medesima limitata conoscenza

della lingua inglese.

io, di mio, vado a spasso

con un furgoncino poetico

color dei rasta

con dentro un ben lucidato contrabbasso

senza manco un tarlo:

come quello dei due Carlo

(Marx e Mingus).

per l’essenziale

funziona uguale alla chitarra del Guthrie,

soltanto che…

risulta molto più grosso.

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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