Funerale per un libro
un racconto-recensione intorno al romanzo di Niccolò Ammaniti «Anna» (Einaudi): è la terza incursione in “bottega” di Johnny Sheetmetal (*)
Titolo: ANNA
Autore: NICCOLÒ AMMANITI
Editore: EINAUDI
Capita che un libro venga pubblicato. A seconda delle alterne fortune, la sua vita editoriale è più o meno lunga. Un bel giorno l’editore si stufa, e decide di non stamparlo più. Lo si può trovare soltanto nelle librerie remainders o nelle bancarelle di cianfrusaglie usate. Sopravvive ancora in qualche biblioteca. Finché non arriva il momento in cui viene dimenticato: nessuno, sulla Terra, si ricorda più di lui.
Quando a un libro accade questo, da qualche parte si celebra il suo funerale.
La folla radunata per l’ultimo saluto al caro estinto non era così numerosa. La maggior parte erano curiosi. Pochi di loro, quelli più vicini al bordo della fossa, erano i cosiddetti “padri spirituali” del defunto.
Padre Holybible si era già piazzato davanti a tutti. Nel cielo grigiastro svolazzava qualche foglia arancione, segno dell’autunno incipiente. Il legno della bara balenava dal profondo dell’ombra.
Si attendeva solo che il Padre iniziasse l’orazione funebre.
«Figlia degenere… meno male che se n’è andata in fretta» bisbigliò un anziano, intorno a cui non smetteva di svolazzare un nugolo di mosche.
«Ha avuto la sfortuna di nascere in un momento sbagliato» replicò un ragazzino cencioso, che si diceva venisse dalla strada.
«O nel luogo sbagliato, anche se io gli sono sopravvissuto» disse un giovanotto abbronzato, il cui nome aveva a che fare con i misteriosi Liombruni.
«Non contano né il quando, né il dove, né il come. Ciò che conta è soltanto l’ispirazione» disse una figura dal volto celato nell’ombra, di cui si sapeva solo che era nato sotto il segno dello Scorpione.
«Se è per quello poteva chiedere a me, io ne ho da vendere, d’ispirazione» fece notare un uomo che si appoggiava a un bastone e la cui cecità era evidente.
«In ogni caso, era una vergogna che fosse nostra figlia» disse Il signore delle Mosche.
«Non l’ho mai riconosciuta come una mia discendente» disse La Strada.
«Ognuno ha il destino che si merita, e poi sappiamo bene che forse è tutto un sogno» disse L’isola dei Liombruni.
«Un sogno? Un giorno verrà l’uomo nero e il male regnerà sulla terra dei libri, e nemmeno mother Abagail potrà salvarci» disse L’ombra dello Scorpione.
«Parlate per voi, pessimisti che non siete altro. Io conto di venire vecchio almeno quanto padre Holibyble» disse Cecità.
Come svegliato da quelle parole, padre Holybible si schiarì la gola. Era un vecchio alto, possente, vestito di una tonaca, dalla gran barba bianca e con due occhi azzurri che sembravano penetrare l’anima. Si capiva che era vecchissimo, ma indovinare l’età esatta era impossibile.
Allargò le braccia, come a voler includere in un unico grande abbraccio tutti i convenuti. Una folata d’aria gelida sollevò altre foglie, facendole svolazzare fin sopra la fossa.
Iniziò a parlare.
«Fratelli e sorelle, siamo tutti qui riuniti per celebrare il mistero del destino che ci aspetta, l’oblio a cui tutti un giorno dovremo sottometterci. La nostra sorella che salutiamo oggi, Anna, ha visto i suoi giorni spegnersi troppo in fretta, perché la dimenticanza dei lettori è nostra unica giudice e spesso è spietata. Anna, tu nascesti nella mente del tuo creatore figlia di padri spirituali nobili, che oggi sono giunti qui da lande remote per porgerti l’estremo saluto. Fosti pubblicata in Italia, per la casa editrice Einaudi, nell’anno di grazia Duemilasedici. Fin da piccola mostrasti quei difetti che ti avrebbero portata a spegnerti precocemente, incapace di rimanere viva più a lungo nella memoria. Non parliamo dello stile con cui fosti vergata, preciso e fantasioso, efficace e in fondo mai banale, anche se in alcuni frangenti fine a se stesso. No: lo stile, a ben guardare, era il tuo unico punto di forza. Ci riferiamo invece, per cominciare, ai temi portanti della tua stessa vita, discendenti di una stirpe di padri spirituali troppo nobili e, per questo, inarrivabili. Quali sono, nel dettaglio? Il tema di un’epidemia che porta a estinzione la quasi totalità della popolazione mondiale; il tema di un mondo dominato dai bambini; e, infine, il tema dell’isola come microcosmo. Per metterti alla pari dei grandi maestri, e dunque sopravvivere, avresti dovuto mostrarci qualcosa di nuovo. Purtroppo ogni pagina che mostravi sapeva di già visto, di già sentito. Questo è il primo motivo per cui sei stata dimenticata».
I padri spirituali annuirono, guardando nella fossa con espressione ieratica.
«Come tacere poi la mancanza di nerbo, di vera ispirazione, nello svolgimento stesso della tua trama? Spesso ti aggiravi per il mondo dei libri con aria smarrita, chiedendoti tu stessa quale fosse la tua meta, quale il tuo posto. Apparivi cruda e apocalittica in certi passaggi, scivolavi nella commedia adolescenziale della peggior specie in altri, debitrice forse delle tue origini italiche. Pareva fossi venuta al mondo non voluta, obbligata dai contratti misteriosi che a volte sottostanno alla nostra stessa esistenza. Forse tutto questo non ti era ben chiaro, di certo non giovava al tuo umore».
Ci fu un’altra pausa, in cui fu possibile udire il sibilare del vento.
«Come terzo argomento vorrei portare, infine, quanto risultavi poco credibile in molti frangenti. Chi pensavi abboccasse alla storia del cane randagio e feroce che si lascia domare da una ragazzina di tredici anni? Credevi forse di essere una favola, o una fiaba? Ma non eri invece un romanzo post apocalittico? Queste tue crisi di identità… E quando raccontavi, con sorriso incerto, del fratellino di sei o sette anni che si rade le sopracciglia con un rasoio Bic? A freddo e senza schiuma, e senza farsi neanche un graffio? Davvero ti aspettavi che i lettori, nostri giudici severi, dopo essersi imbattuti in simili episodi avrebbero proseguito a leggerti? Non continuerò. E’ giusto fermarsi qui, in omaggio alla pietà dei padri spirituali, esseri quasi immortali, nei confronti dei loro fratelli più sfortunati».
Il padre alzò gli occhi al cielo. «Preghiamo!» esclamò, e tutti giunsero le mani. «Per il mistero della dimenticanza che tutti ci aspetta, noi ti preghiamo, o padre di tutte le storie, fa che la nostra sorella Anna possa tornare a te conscia dei suoi difetti, e possa disperdere nel tuo infinito vorticare di idee e di trame la fioca energia che la teneva in vita. In tal modo ella potrà davvero cessare di esistere e nello stesso tempo quel poco di buono che celava nel suo cuore potrà forse rigenerarsi, e trovare nuove vie per manifestarsi in modo compiuto ed efficace. Noi ti preghiamo, nel nome dell’Amleto, del Chisciotte e della Divina Commedia. Amen».
«Amen!» risposero in coro tutti in convenuti.
Padre Holybible si fece da parte. Comparvero gli addetti delle pompe funebri, impugnando le vanghe, pronti a gettare la terra nella buca. Attesero qualche secondo, per vedere se qualcuno dei padri spirituali desiderasse ancora contemplare la bara. L’isola dei Liombruni fu l’unico ad alzare una mano, in un gesto di saluto. I sei padri si scostarono. La prima manciata di terra fu gettata nella fossa.
Ci fu un rumore strano. Parevano colpi. Colpi ripetuti, sempre più violenti.
I padri spirituali, seguiti da Holybible, si affacciarono alla fossa.
La cassa da morto stava vibrando. Era come se qualcosa, all’interno della cassa, si stesse scuotendo. Qualcuno stava prendendo a pugni il coperchio, nel disperato tentativo di sfondarlo e uscire.
«Ma è ancora viva?» si chiese L’ombra dello Scorpione, dando l’idea di sorridere.
«Impossibile» fece Holybible.
«E allora cosa diavolo…».
Accadde tutto in pochi istanti. Un rumore di legno che si spezza sferzò l’aria. Una forma vaga emerse dall’ombra. In realtà erano due forme. Parevano innalzarsi dal fondo della fossa come svolazzando irregolari. Il vento le prese, le portò in alto con un balzo improvviso. Gli occhi dei convenuti le seguirono, increduli, sconcertati. Si trattava di due buste di nylon. Bianche, leggere, senza forma. In balia del vento, seguirono la stessa traiettoria irregolare delle foglie secche. E in men che non si dica furono sopra il muro di cinta, e ondeggiando sparirono alla vista.
Nella parte bassa della bara s’era formato uno squarcio. Quelle due buste, chissà in quale modo, erano uscite da lì. Ora la bara era immobile; nulla si muoveva là dentro.
Per qualche secondo nessuno parlò.
«Cosa DIAVOLO è successo?», disse infine La Strada.
…Le due buste...
«Fratelli e sorelle, alziamo le braccia al cielo, perché un miracolo è appena avvenuto!» esclamò d’improvviso padre Holybible. «Sotto i nostri occhi, un miracolo è avvenuto! Una parte di Anna era sfuggita alla dimenticanza! Una piccola parte di lei sopravviveva, perché ancora ricordata dai lettori! Ecco che cos’erano quelle due buste!».
«Com’è possibile? Quale parte di Anna?».
«Non capite? Eppure è così semplice. Le due buste! Quel flashback che Anna nascondeva in fondo al suo intimo. Quella piccola storia che amava raccontare solo in certe circostanze, quando aveva alzato un po’ il gomito e si lasciava andare. La storia di Pietro e delle sue zie. Il personaggio di Patrizio, così orrido e insieme così vivo. L’espediente delle due buste, la caccia ai moribondi per dar loro la pace della morte. Solo quando mostrava questo suo lato nascosto, se ci pensate, Anna era davvero viva. Solo quando interpretava quel suo piccolo, intrigante aneddoto, quel flashback così compiuto che pareva quasi un racconto. Era quella la parte più vera, più genuina di lei».
Alla parola racconto i convenuti, che erano tutti romanzi, storsero il naso, facendo una faccia come se qualcuno lì intorno puzzasse.
«Dobbiamo essere felici, fratelli e sorelle. Una parte di Anna non è stata dimenticata. L’abbiamo vista uscire dalla tomba, per tornare nel mondo, piena dell’energia donatale da tutti quei lettori che ancora la ricordano. Preghiamo perché possa trovare la sua giusta strada. Che unendosi ad altri racconti, sempre dello stesso autore, che non nomineremo perché il suo nome non conta, possa dare vita a una splendida raccolta. E che sia così bella e felice, da rimanere per sempre impressa nella memoria. Preghiamo perché questo succeda. Amen».
«Amen» risposero tutti.
I becchini, con un certo timore, provarono di nuovo a gettare una palata di terra sulla bara squarciata e tutta storta. La terra le piovve addosso; la bara non si mosse. Tutto taceva.
Quel che rimaneva di Anna era davvero morto.
Continuarono a gettare terra, finché la buca non fu riempita. Quando finirono il cimitero si era già svuotato.
(*) Come qualcuna/o ha già appreso – leggendo i due precedenti post qui in “bottega” – «Johnny Sheetmetal» è lo pseudonimo scelto da un nuovo collaboratore del Marte-dì. Da tempo lo stimo ma di lui so poco; di certo non ama i riflettori. Mi ha accennato che era incerto su altri pseudonimi: A.B. – Il custode del cancello – Buck the Bookman. Se questi nomi/gnomi bastano a costruire un identikit, bene per voi; rispetto il suo desiderio di «rimanere nell’amabile ombra» e del resto anche io gradisco il crepuscolo… Mi pare di capire che Johnny ha una “pazza idea” (nulla a vedere con Patty) in testa: fare all’incirca ogni mese un racconto-recensione, ovviamente con idee, protagonisti e ambientazioni diverse ma in stretta relazione al libro “censito” – stavolta Ammaniti mentre a febbraio fu Viscusi e a gennaio Vittorio Catani – epperòperon sempre muovendosi nei vasti territori del fantastico. Yuk-yuk, come direbbe Pippo mangiando le noccioline. Il titolo è mio e non di Johnny; avevo pensato di titolare «Amen Ammaniti» per via dell’allitterazione ma poi ho avuto la sensazione che sarei stato iscritto tra i porta sfiga.
Diamo appuntamento a Sheetmetal per il prossimo mese. Come dite? Consigli per altri libri da recentare, cioè recensire/raccontare? Dicevo il mese scorso: pensate che beeeeeeeeeeeeeeeeeeeello se Johnny “massacrasse” il peggior fantasy italiano. E se invece… ? Ma tocca a voi fare proposte; io posso girarle a Johnny ocpl (o chi per lui). Poi l’autore si sa è “il padrone”.
C’è bisogno di aggiungere che anche questo mese l’illustrazione è del qui in “bottega” amatissimo Jacek Yerka? (db)
UN POST SCRIPTUM ASSAI SECCATO
Johnny ocpl (o chi per lui) mi ha sfidato a trovare una citazione da «Ubik» nel suo testo. Confesso pubblicamente – e che adesso la vergogna mi copra dal naso alle caviglie – di non averla riconosciuta. Vero è che ho letto «Ubik» solo due volte e in tempi remoti ma lo smacco è pesante. Se fra voi lì dall’altra parte della “bottega” c’è chi invece riconosce l’ec-citazione dickiana lo dica qui, coram populo, a mia maggior onta. Amen. Ubi(k) maior db cessat.