Futurismo e fantascienza
di Gian Filippo Pizzo (*)
Tra la fantascienza e quella importantissima corrente d’avanguardia che fu il Futurismo – fondato nel 1909 da Filippo Tommaso Marinetti con un Manifesto pubblicato su Le Figaro, che non fu solo una corrente pittorica ma investì tutte le arti (e anche di più, visto anche il Manifesto della cucina futurista, 1931) – non c’è nessun rapporto diretto. Ma certamente molte sinergie: questo movimento, con il suo rifiuto del passato, della tradizione, del romanzo borghese, con il suo anelito verso l’avvenire e le stelle, la sua esaltazione del movimento e della velocità, delle macchine e della tecnologia, ha certamente giocato un ruolo importante nell’immaginario, favorendo il formarsi di una coscienza proiettata verso la scienza e il futuro. E anche di più se consideriamo quanto sostenuto da Gianfranco de Turris nel suo documentassimo articolo “Suggestioni fantastiche e utopiche dell’architettura futurista” (in Avanguardia numero 22, 2003): De Turris rileva che Marinetti e gli altri futuristi dovevano aver letto Verne e Wells e anche altri autori popolari come Robida e Salgari (in particolare Le meraviglie del 2000) e a loro si erano in parte ispirati, specialmente nel campo dell’urbanistica e dell’architettura (il manifesto L’architettura futurista è del 1914). Scrive infatti: «Le case a gradinate, le centrali elettriche, le stazioni per aerei e treni di Sant’Elia del 1913-1914, ma anche i ponti disegnati da Mario Chiattone nel 1914, le fabbriche di Virgilio Marchi del 1919, i grattacieli “a radiatore” di Guido Fiorini del 1930-1, la metropoli immaginata da Quirino De Giorgio per Raum di Vàsari nel 1932, rimandano irresistibilmente alle figurazioni di Robida di trent’anni prima, indipendentemente se fossero o meno state conosciute in modo diretto». Sembra però evidente che queste letture debbano averli influenzati anche nella loro concezione del mondo e dell’avvenire, infatti al centro delle loro narrazioni troviamo elementi tipicamente fantascientifici come il volo interplanetario, l’essere artificiale e la speculazione sul futuro.
Dunque non è un caso che parte della “fantascienza” di quegli anni provenga da futuristi, a cominciare dal viaggio allegorico di Mafarka il futurista (1909) dello stesso Marinetti, dove il protagonista superuomo dopo aver trionfato su tutti i nemici in luogo di proclamarsi re dell’Africa si ritira e si dedica alla “creazione” di suo figlio, Gazurmah, automa e semidio alato metà uomo e metà macchina volante (oggi diremmo un cyborg) che rappresenta il simbolo dell’uomo nuovo. A parte alcune poesie è sicuramente fantascientifico anche Gli Indomabili del 1922, con la descrizione di un’isola caldissima (forse all’interno di un vulcano) dove vivono quattro razze: gli Indomabili che sono imprigionati, gli uomini semiluminosi loro simili, i Fluviali che lavorano senza tregua alle macchine della Città, e gli eterei Cartacei, nati dai libri, padroni di tutto, che ogni sera conducono gli Indomabili in un lago attraverso una grande oasi verde. Qui insieme si bagnano e giocano dimenticando (gli Indomabili) le sofferenze della carcerazione, ma l’effetto dura solo la notte e l’indomani avranno dimenticato tutto. Una sera scoppia una rivolta capeggiata dall’Indomabile Mirmofim ed ha anche successo, salvo che il giorno dopo viene dimenticata: da tutti meno che dallo stesso Mirmofim, cosa che dà speranza di poterla continuare. E’ chiaro che si tratta di una allegoria politica che inneggiava alla rivoluzione fascista, ma la trama ricorda molto un capolavoro come il wellsiano La macchina del tempo e un film come Metropolis (d’altra parte anch’essi sono stati letti in chiave allegorica) perché non si possa parlare di un’opera di fantascienza.
Diversi futuristi scrivono narrativa, e c’è anche qualche sorpresa, come il fatto che in un numero in fondo così ristretto vi fossero anche due donne, una è Benedetta (Benedetta Cappa, moglie di Marinetti) autrice di Astra e il sottomarino (1935), una storia d’amore abbastanza melensa (per qualcuno è il peggior romanzo futurista di sempre) fra Astra e il suo innamorato Emilio comandante di un sottomarino, che comunicano attraverso i sogni e la telepatia e che cerca di esplorare quale realtà si nasconda nel mondo dei sogni. L’altra è Rosa Rosà (al secolo Edith von Haynau) che con Una donna con tre anime (1918) ha scritto forse il primo esempio mondiale di science fiction femminista. Il romanzo fu concepito in aperta opposizione a Come si seducono le donne (1917), che fu l’unico successo commerciale di Marinetti, e immagina la donna del futuro energica e libera ma anche voluttuosa e in grado di pianificare il proprio destino, attraverso la storia di Giorgina Rossi, casalinga che viene colpita da misteriose spore di fumo e in uno scoscendimento improvviso di tutte le sue sensibilità si apre il lei la rivelazione di una – triplice – personalità nuova quindi Con naturalezza ella si alza, gettando via la calza, i ferri e il gomitolo di lana con un gesto di disinvoltura in cui nulla rimane della quotidiana parsimoniosità innata: inizia la nuova vita.
Altro esempio curioso è quello del gruppo de I Dieci, un collettivo di scrittori capeggiati da Marinetti e Massimo Bontempelli e che comprendeva anche Beltramelli, Zuccoli, Varaldo e D’Ambra, che pubblica nel 1929 Lo zar non è morto, romanzo di spionaggio a sfondo fantapolitico la cui trama è desumibile dal titolo (un uomo somigliantissimo alla zar Nicola II ricompare dopo il 1918 in Manciuria) e che fu legato – perciò il grande successo – a un concorso fra i lettori: bisognava individuare gli autori dei singoli capitoli. Fra gli altri romanzi ricordiamo Sam Dunn è morto (1915) di Bruno Corra (pseudonimo di Bruno Corradini Ginanni) ambientato a Parigi in un futuro abbastanza vicino (1943) e il cui protagonista è fornito di particolari capacità mentali che provocheranno una follia collettiva che però sarà causa della sua morte; L’ellisse e la spirale (1915) di Paolo Buzzi, un’epica guerra cosmica tra due imperi stellari; L’angoscia delle macchine (1925) di (Paolino) Ruggero Vasari, testo teatrale (come il suo successivo Raum, 1932) distopico e sessista; La sfera di platino (1927), del diciassettenne Giuseppe (Maria) Lo Duca (poi naturalizzato francese come Joseph- Marie Lo Duca) in cui il mondo del futuro ordinato scientificamente e geometricamente da un Consiglio dei Saggi viene messo in crisi dall’invenzione della sfera di cui al titolo che permette la lettura del pensiero; Viaggio al pianeta Marte di Enzo Benedetto (1930) opera satirica la cui vicenda, contrariamente a quanto fa pensare il titolo, si svolge in un mondo bidimensionale; Infinito (1933), “parabola cosmica” di Bruno G(iordano) Sanzin; Allucinazioni della città nuova (1933) di Riccardo Marchi (fratello del più noto Virgilio). En passant segnaliamo anche un saggio, L’uomo futuro (1933) di Arnaldo Ginna (cioè Arnaldo Ginanni Corradini, fratello di Bruno Corra) che esalta l’uomo futuro immaginato dai futuristi collegandolo con quello teorizzato dal fascismo. Una segnalazione particolare per Luigi Colombo, in arte Fillia, che tra il 1925 e il 1927 pubblica la trilogia formata da La morte della donna. Romanzo a novelle collegate, L’ultimo sentimentale e L’uomo senza sesso (più recentemente riedita come Bolidi e tango), anche questo come le citate opere di Benedetta, Rosa Rosà e Vasari importante in chiave di genere. Egli immagina in un primo tempo l’emancipazione assoluta della donna, in futuro uguale all’uomo sia dal punto di vista dei diritti che da quelli sociale e psicologico, ma in seguito che avverrà una sintesi tra maschio e femmina a formare l’essere perfetto, l’UOMO (scritto tutto maiuscolo) che solo così riuscirà a essere pienamente consapevole dell’evoluzione della modernità.
Certo in qualche caso l’uso dell’allegoria, il tono satirico, il linguaggio quasi sperimentale, il surrealismo di situazioni paradossali, il simbolismo eccessivo hanno il sopravvento sulla trama, ma ciò non toglie che questa si fondi su stilemi che sono già della fantascienza moderna, che intanto nasce nel 1926 negli Stati Uniti con la rivista Amazing. E il più vicino a questi stilemi ci sembra il romanzo del 1919 La fine del mondo di Volt, il conte Vincenzo Fani Ciotti, veramente anticipatore, almeno a livello italiano, di problemi che saranno considerati solo decenni dopo: inquinamento, sovrappopolazione, viaggi spaziali, esaurimento delle risorse energetiche. A causa di questo degrado ambientale una società si propone di costruire grandi vascelli spaziali chiamati eternavi per emigrare su altri pianeti, e dopo uno scontro con il Consiglio Mondiale che giudica l’impresa colonialista e anti umanitaria e tenta di impedire il decollo, la missione parte lo stesso: Arrivate in riva al mare, si elevarono quasi verticalmente, con un rombo terribile. Ben tosto non furono più che un punto nel cielo fatto più cupo dalla scomparsa del sole. E scomparvero. Se non è fantascienza questa…
BIBLIOGRAFIA
Filippo Tommaso Marinetti, Mafarka il futurista (1909), Mondadori, 2003. Bruno Corra, Sam Dunn è morto (1915), Libreria Musicale Italiana, 2002. Una donna con tre anime (1918), Edizioni delle donne, 1981. Vincenzo Fani, La fine del mondo (1919), Vallecchi, 2003. Filippo Tommaso Marinetti, Gli Indomabili (1922), Mondadori, 1999. Giuseppe Lo Duca, La sfera di platino, Albenga, Il Ramarro, 1927. Il Gruppo de I Dieci, Lo zar non è morto (1929), Sironi, 2005. Benedetta, Astra e il sottomarino (1935), Edizioni dell’Altana, 1998. Fillia, Bolidi e tango (1925-27), Aragno, 2002. Paolo Buzzi, L’ellisse e la spirale (1915), Spes, 1990. Enzo Benedetto, Viaggio al pianeta Marte (1930), Arte Viva, 1971. AA.VV., Le aeronavi dei Savoia: protofantascienza italiana 1891-1952, a cura di Gianfranco de Turris e Claudo Gallo, Nord, 2001.
(*) Tratto dalla voce “Futurismo” in «Guida ai narratori fantastici italiani» di Walter Catalano, G. F. Pizzo e Andrea Vaccaro di imminente pubblicazione presso Odoya.
Che un fascistoide come De Turris definisca «rivoluzione» quella di Mussolini è logico. Qui in “bottega” invece tutte/i pensiamo – alla luce dei fatti – che la marcia su Roma, con tutto quel che seguì, fu un finto colpo di stato, concordato con il re e le gerarchie militari, vivamente sostenuto da agrari e industriali.
Una tantum non concordo con Daniele. Utilizzare la categoria “colpo di stato” per definire il fenomeno fascista ci impedisce di vedere la complessità di una febbre politica che anticipava una tendenza europea e forse mondiale. Di una febbre che per altro continua nel presente, espressione radicale del “naturale” antioperaismo delle classi dirigenti italiane. L’assenza contemporanea di una sinistra di opposizione e di una sinistra antisistema tengono momentaneamente quieti l’aggressività “in nome proprio” del fascismo. Ma non è detto che fatti contingenti non facciano precipitare la situazione…
in ogni caso ricordo quanto diceva Marx a proposito della controrivoluzione, che era anch’essa una rivoluzione.
Il fascismo è vero ha potuto nascere per la complicità delle classi dirigenti, ma questa complicità è stato il veicolo attraverso cui si sono manifestati umori diffusi, non ancora del tutto spenti. Nonostante la lezione storica settori, per fortuna ancora minoritari, di piccola borghesia in via di proletarizzazione credono ancora di potersi salvare schiacciando il proletariato. Ma contro la tendenza del capitale finanziario ad affamate i ceti subordinati l’unica forza capace di organizzare una resistenza efficace è proprio il proletariato. Schiacciato quest’ultimo sono possibili solo ribellioni isolate, inefficaci ad arrestare la tendenza generale a assicurare i superprofitti attraverso l’impoverimento sempre più pervasivo delle popolazioni. NON A CASO ALLA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE IL NUMERO DEI RENTIERS era diminuito, anziché aumentare. La piccola borghesia italiana contribuendo a uccidere il movimento reale dei lavoratori che intendevano modificare lo stato di cose esistenti, ha ucciso se stessa.
Questo la dice lunga sul tracollo del fascismo dopo la sconfitta militare. Che nel dopoguerra il fascismo si sia ridotto al rango umiliante di ruota di scorta della democrazia cristiana è indice di un movimento precario, che deve costantemente alzare il tiro e alzare la voce per mantenersi, la cui base sociale è volatile e che per quante ambizioni di autonomia politica possa vantare (bonapartismo=autonomizzarsi dal capitale), per sé ha storicamente garantita una funzione di umile ancella dello sfruttamento.
Colgo l’occasione per lamentare il mancato approfondimento del movimento futurista nella sua duplice funzione di preparazione culturale del fascismo e preparazione sotterranea di tutt’altro movimento culturale, agli antipodi del fascismo: la fantascienza.
Non basta puntare il dito sugli elementi cosali che legano un fenomeno all’altro, bisogna farne l’analisi. Comprendo le difficoltà di farlo all’interno del clima culturale italiano, caratterizzato da una mentalità provinciale e di asservimento agli interessi immediati del capitale (nessuno tra i suoi difensori che cerchi di spaziare di là dal ristretto orizzonte costituito dal palazzo di fronte) ; io stesso qui che lo dico ammetto tali difficoltà ; tuttavia un tentativo occorre farlo. Pizzo ha generosamente fornito il materiale di base (introvabile qui in Messico). C’è qualcuno che voglia esaminarlo per rifletterci sopra?