Gabriella Genisi, Pino Santarelli con…
… Arianna Arisi Rota, Daniel Silva, e Mediterraneo – cinque recensioni di Valerio Calzolaio
L’angelo di Castelforte – Gabriella Genisi
Rizzoli Milano 2023
Pag. 217 euro 17
Lecce e Puglia. Febbraio – marzo 2023. Da oltre un decennio, come noto, sempre più inglesi sono innamorati del Salento, tanti vi si trasferiscono proprio. La notissima attrice londinese Claire Weston lo ha scelto a suo buen retiro e lo ha poi consigliato qualche anno fa a Victor Albert Allen, anziano lord (nato a ottobre 1950), amatissimo scrittore (in tutto il mondo, anche all’Idrusa), da poco vedovo di Robert, segretario e storico compagno di vita. Victor si è documentato sul borgo di Castelforte, uno dei più stupefacenti complessi architettonici italiani, e ha deciso di comprarlo e restaurarlo; chiude il castello di famiglia e saluta tutti; in due anni riesce ad aprire una residenza letteraria esclusiva per scrittori selezionati in tutto il mondo, aiutato dall’esuberante nuovo compagno Oronzo Ronny Caputo (nato ad aprile 2001), bello e ricciuto, colto e tuttofare, figlio del massaro nei vigneti di Clara. La magra fiera carabiniera maresciallo Francesca Chicca Lopez, madre sparita, padre noto e assente (non l’aveva riconosciuta), nata a Leuca e ormai uno scricciolo 30enne, bella con la coda, cintura nera di karate, ha finalmente rotto con la sua storica manesca gelosa compagna Flavia e, pur tampinata da vari maschi, girovaga in Bonneville, è finalmente innamorata e felice con la barista Glenda, con la quale convive nella centrale mansarda storica, avendo dovuto abbandonare la casetta di pescatori a Porto Badisco. Trascorrono insieme una settimana in barca a vela. Non fa in tempo a tornare che deve indagare su un’autrice franco-canadese ospite del mecenate, scomparsa dopo l’inaugurazione e ben presto trovata morta con la testa fracassata. Potrebbe essere un suicidio ma vari indizi provano altro e non sarà l’unico omicidio maturato in quel peculiare contesto esclusivo. Forse Allen era arrabbiato. Forse Ronny se la fa con un altro. Forse c’entra anche Claire. Chicca ci si butta a capofitto, aiutata dai soliti irregolari compari di avventura, ma è un poco distratta dalla ricomparsa del padre Giovanni Contaldo, che spiega il proprio lungo distanziamento e le propone di fare un viaggio che c’entra con la madre (morta) Marisa.
La brava scrittrice Gabriella Genisi (Mola di Bari, 1965), corroborata dal meritato successo televisivo della sua mitica friccicosa barese Lolita Lobosco (dieci romanzi dal 2010 al 2022, interpretata su Rai Uno da Luisa Ranieri), ripresenta la nuova protagonista salentina in grande spolvero, con il terzo ottimo noir della serie (il primo nel 2019). Certo, l’età e la psicologia di Chicca consentono di offrire uno spettro maggiormente approfondito di emozioni private e dinamiche sociali. Come ben sanno gli editori, ogni nuova avventura di personaggi seriali è per il lettore una sorta di ritorno in famiglia, passione dopo passione, tribolazione dopo tribolazione. Il titolo richiama il soprannome del giovanissimo angelico amante di Lord Allen nella piccola comunità di Carloforte, ulteriore occasione per sottolineare straordinari beni culturali e artistici (cruciali nella storia) e per renderci meglio edotti su tante delizie di quei luoghi, una guida pure agli spettacolari anfratti meno conosciuti. La narrazione è in terza persona, non proprio fissa ma quasi, concentrata sulla volitiva Chicca, che indaga sempre anche sulle proprie sensibilità emotive: due figure genitoriali che le sono venute a mancare, una ex compagna che l’avvinghiava in un rapporto subalterno e morboso, una sessualità gender fluid, affettuose amicizie sincere da coltivare e consolidare, un forte desiderio di realizzarsi sul proprio lavoro di sbirra, un legame viscerale con i magnifici ecosistemi umani del salentino, il nuovo intenso amore al Glenda’s Bar. Lei è sempre cocciuta e comunque determinata, non a caso il lord che si rifiuta di parlarle, ritenendosene tormentato, pensa: “Crede di essere Lolita Lobosco, forse? Dovrebbe sapere che siamo in Salento, non a Bari”! Peraltro, il suo progetto non era male: offrire vitto e alloggio notevoli e tremila euro al mese per diciotto mesi a dodici scrittori/scrittrici (passati al vaglio di una severa selezione), affinché ognuno potesse realizzare un romanzo ambientato in uno dei 96 comuni della provincia di Lecce. Fra passato (una rapina del 1966 alle Poste di Torino) e presente criminoso (anche), la vicenda si dipana come al solito attraverso una quindicina di capitoli, scanditi in esergo da versi della grande compianta poetessa Claudia Ruggeri (Napoli 1967 – Lecce 1996). Come inserto, l’incipit di un romanzo a quattro mani (pag. 179 – 186). Frequenti i riferimenti alle dinamiche del mondo editoriale e letterario, “la fiera dell’ipocrisia”. Si gusta ottimo Negroamaro. Il padre le cita “Farfallina” di Luca Carboni, nella testa le risuona Lucio Dalla.
Io c’ero. Dal Luglio ’60 al crollo del Muro: i comunisti romani si raccontano – Pino Santarelli
Prefazione di Paolo Franchi
Bordeaux Roma – 2023
Pag. 474 euro 28
Roma, 1960 – 1989. Il Partito Comunista Italiano (1921 – 1991) aveva una federazione giovanile, chi ne faceva parte a Roma non più di sessanta anni fa è spesso oggi ancora vivo e ha certamente avuto un percorso personale e politico che può essere interessante ricostruire per approfondire molti aspetti della storia della capitale, dei partiti, delle istituzioni italiane, e capire meglio almeno un paio di generazioni di personalità rilevanti per la vita pubblica. Negli anni sessanta militò nella Fgci anche Pino Santarelli (Scurcola Marsicana, 1941) che fu radiato dal Pci nel 1970 insieme al gruppo del Manifesto e poi vi tornò nel 1983 (nel 1984 vi sarebbe stata proprio la confluenza del Pdup nel Pci, dopo la morte di Berlinguer). Qualche anno fa, nel 2018 Santarelli pubblicò la sua intensa autobiografia, i circa quarant’anni dalla nascita sull’alta collina abruzzese al rientro nel Pci del 1983. Successivamente ha ritrovato un foglio ciclostilato dell’estate 1966 con l’elenco dei 61 cognomi (in ordine alfabetico) proposti per il comitato federale (provinciale) della Fgci romana. Alcuni “compagni” di allora sono morti, con alcuni lui è rimasto sempre in contatto, cari amici talora, per altri si è informato e si è attivato. Così, Santarelli ha rintracciato venticinque “fgciotti” del 1966, resisi anche disponibili a rilasciare una “testimonianza” (dieci) oppure a rispondere a una “intervista” (quindici), cui aggiunge la narrazione che lo riguarda per il periodo successivo al 1983. L’autore pubblica quindi ora con successo lo splendido risultato della raccolta delle ventisei storie di vivaci sapiens contemporanei (sei donne), divenuti comunisti non per caso, capaci di riflettere criticamente e acutamente sulla capitale della politica italiana senza mai limitarsi alle proprie vicende.
Il volume realizzato è corposo ma compatto. Per tutti i coautori Santarelli è partito dalle prime banali notizie biografiche e familiari per poi affrontare il rapporto con la scuola e l’inizio della militanza a sinistra, luoghi di vita e relazioni umane, e poi i ruoli sociali e istituzionali, professionali e pubblici svolti nel corso dell’intera esistenza, l’evoluzione delle idee personali e degli impegni collettivi (con tragitti talora molto distanti dall’iniziale federazione giovanile comunista e pure tra di loro, tutti “rossi” all’inizio e a lungo). In non pochi casi si tratta di personalità con nomi ampiamente conosciuti e funzioni davvero rilevanti. I magnifici 25 sono: Roberto Antonelli, Maria Luisa Boccia, Angelo Bolaffi, Silvia Calamandrei, Valeria Castelli, Alessandro De Toni, Teresa Ellul, Paolo Flores D’Arcais, Anna Foa, Claudio Fracassi, Angelo Fredda, Enrico Giusto, Fabrizio Grillenzoni, Augusto Illuminati, Aldo Luciani, Pio Marconi, Alberto Olivetti, Vanni Pierini, Aldo Pirone, Gianni Pistilli, Mimmo Quaratino, Daniela Romiti, Franco Russo, Duccio Trombadori, Riccardo Varanini. Quindici sono nati tra il 1943 e il 1947, gli altri dopo; 14 a Roma, gli altri altrove (uno a Recanati); 7 figli di padre operaio, 4 di militare, 3 di dirigente statale; 15 con la madre casalinga, 4 insegnante; 19 studenti del classico, 5 di scuole professionali; 9 divenuti docenti universitari, 4 operai-sindacalisti, 4 giornalisti, 3 (anche) deputati; 15 che si dichiarano ancora “comunista” (e 5 no). Molto molto interessante, ogni personalità trasuda vita vera, intrecci significativi, pensieri fertili. Loro c’erano.
Profughi – Arianna Arisi Rota
Il Mulino Bologna 2023
Pag. 119 euro 12
Esiste qualcuno costretto a fuggire, da sempre e ovunque. I profughi di Parga è un dipinto olio su tela del 1831 (grande quasi due metri per tre, iniziato nel 1816) del grande artista italiano Francesco Hayez (Venezia, 1791 – Milano, 1882), ora nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, e mostra un gruppo di profughi greci in fuga da Parga, piccolo comune greco sull’Adriatico proprio sotto l’attuale Albania, dopo che gli inglesi nel 1819 lo avevano “venduto” all’impero ottomano. Fu esposto subito e per la prima volta al pubblico all’Accademia di Brera. A primavera 2021 è stato accolto nello spazio espositivo del Parlamento ellenico in piazza Sintagma per la mostra sul bicentenario della rivoluzione d’indipendenza greca. Il dipinto è ancor più prezioso perché cattura la dimensione intermedia in una migrazione (tanto più se forzata), la sospensione tra la vita che c’era e quella che sarà, tra la normalità quotidiana e un nuovo, stordente senso di alienazione; insomma l’asimmetria e la diacronia del fenomeno migratorio. I profughi, ogni sapiens delocalizzato (forcibly displaced people) è condannato a una condizione (non scelta, nemmeno un poco, e spesso conseguente a una fuga avventurosa) governata dall’arbitrarietà e dalla contingenza. Immaginate da Hayez quasi due secoli fa, le genti di Parga ci parlano delle decine di milioni di altri uomini e donne che hanno avuto la medesima condanna, prima e dopo, degli altri che ancora ora l’hanno o la avranno. La bella interessante collana “Icone” della casa editrice Il Mulino (già una quindicina di titoli) consente di narrare e leggere alcune brevi colte riflessioni scaturite da un’immagine, pensieri provocati da quella specifica immagine, qui la tela sui profughi greci di Hayez esaminata da una notevole esperta.
La docente di storia contemporanea, Storia delle rivoluzioni nel Mediterraneo dell’Ottocento e History of Diplomacy, presso l’Università di Pavia Arianna Arisi Rota (1964) prende spunto dai personaggi rassegnati e dignitosi di un quadro-icona degli esili ottocenteschi (divenne un caso internazionale, come noto molto se ne occupò Foscolo) per affrontare il trauma dello sradicamento, di ogni delocalizzazione forzata. Il volume è appunto dedicato “ai profughi di ogni tempo e luogo”, risultando suddiviso in sei capitoli con le note in fondo a ciascuno. Nei primi due l’autrice contestualizza storicamente la decisione inglese nelle vicende mediterranee e documenta la tenace resistenza dei pargioti. Nel terzo (che contiene anche un inserto fotografico a colori, di documentazione visiva) viene affrontata la committenza del quadro e la “solidarietà creativa” emersa attraverso l’asse Berchet-Hayez. Nel quarto e nel quinto il quadro viene acutamente meticolosamente analizzato e si cerca di rispondere innanzitutto alla domanda sui dolori reali di vivi e morti rappresentati da quel grande pittore, fotoreporter a distanza e “genio democratico” (Mazzini). Continui sono i riferimenti, i dati ulteriori e le comparazioni geopolitiche con situazioni analoghe o storie successive di rifugiati. Il titolo del sesto capitolo segnala, così, una dimensione frequente e “senza tempo: partenze, respingimenti, accoglienze”. “Come i profughi di Parga, presto dimenticati da quella stessa opinione pubblica internazionale che si era mobilitata per la loro causa, il destino di molti rifugiati finisce rapidamente nell’oblio, bloccandoli per anni in tendopoli e campi concepiti per transitare, non per vivere”. Così “il viaggio dei profughi, quello interiore, quello che non finisce mai, è tutto lì, nella tela… La scommessa di Hayez, fare pittura civile, è vinta”.
Mediterraneo – Autori vari
Iperborea Milano – 2023 (testi 2023, uno 2021, uno 2020)
Mediterraneo. Oggi. 2,51 milioni di km² e 3,75 milioni di km³, profondità media 1500 metri (5267 la Fossa di Calipso in Grecia), 46 mila km di sviluppo costiero (di cui, si badi bene, 18 mila nelle isole, circa dieci mila le isole in tutto, quasi un migliaio abitate), 3700 km da ovest (stretto di Gibilterra) a est (golfo di Iskenderun, Alessandretta, Turchia), 22 paesi affacciati (più il territorio di Gibilterra) con 512 milioni di sapiens di cui 150 sulle coste, 28% il tasso di endemismo ovvero il più alto al mondo, 191 siti patrimonio Unesco dell’umanità, tanti mari e non una sola identità (anche a causa di scelte politiche). Lo spazio mediterraneo è frammentato, negli straordinari tumultuosi navigabili millenni del Neolitico fu crocevia di continue multidirezionali migrazioni, eppure l’incontro fra culture fu l’eccezione di alcuni porti e di alcune città cosmopolite, non la regola. Oggi è in crisi, sempre più travolto da edificazioni e turismo, da traffici e trasporti, dal riscaldamento climatico e dalla plastica, oltre che da molteplici armamenti e conflitti. Oltretutto, negli ultimi nove anni vi sono morte almeno 24 mila persone, provenienti da altri continenti verso quello europeo. La questione dell’immigrazione è centrale, primaria, perché il futuro dell’Europa (incapace di combattere la schiavitù ai suoi confini, la morte sulle sue rive, la povertà all’interno delle sue frontiere) dipenderà dalla capacità di considerare e accogliere l’Altro. Sembra più saggio decantarne allora una varietà pacifica più che ricercarne una fuggevole identità comune (con tanti stereotipi e pregiudizi), ma forse la mediterraneità non è altro che un sentimento, e come tale non vuole sentire ragioni. Nonostante tutto resta affascinante, rassicurante e consolatoria. Sulla sua “strada liquida” (Omero) e sulle nostre coste la modernità non attecchisce del tutto, il tempo scorre diversamente, e i popoli si parlano comunque più che altrove. Proviamo ad approfondire.
La collana The Passenger (per esploratori del mondo) è ormai nota e molto apprezzata, commissiona o raccoglie articoli recenti su luoghi umani del pianeta (città, paesi ed ecosistemi) in bei volumi illustrati e vuol farci meglio capire, partendo sempre da temi d’attualità. Il volume è ricco di foto (d’autore), dati grafici schede illustrazioni infografiche (originali e ben leggibili). Si possono così seguire brevi godibili interessanti saggi della bravissima scrittrice e giornalista francomarocchina Leïla Slimani (1981), del grande storico britannico e docente di Storia del Mediterraneo David Abulafia (1949), dell’esperta ottima giornalista d’inchiesta Annalisa Camilli (1980), del saggista e pubblicista tedesco Cristian Schüle (1970) su Tangeri, della fotografa e cuoca inglese (quasi romana e siciliana d’adozione) Rachel Roddy (1972) sul mangiare insieme come fondamento della dieta mediterranea, del musicista e regista turco Zülfü Livaneli (1946) sulle apparentemente conflittuali relazioni nell’Egeo e nel Mediterraneo Orientale, della poetessa e scrittrice libanese francofona Hyam Yared (1975) contro il tempo di nazionalismi e settarismi (grazie alla nonna), del giovane viaggiatore e scrittore inglese Nick Hunt sui quattro principali venti (bora, scirocco, mistral e meltemi), della giovane giornalista spagnola Rocío Puntas Bernet sulla mattanza dei tonni e del famoso romano Matteo Nucci (1970) sull’ozio mediterraneo. A chiusura una curiosa deliziosa mappa olfattiva e, come al solito, selezionati consigli d’autore per i libri (Braudel il più citato complessivamente nel volume), una playlist e una breve bibliografia.
Ritratto di donna sconosciuta – Daniel Silva
Traduzione di Seba Pezzani
HarperCollins Milano – 2023 (orig. 2022)
Pag. 494 euro 20
(in fondo una conversazione con l’autore, pag. 481 – 494)
Bordeaux, Venezia, Parigi, New York, Corsica, Provenza, Umbria, Roma, Berlino, Londra e altro ancora. Tra marzo e settembre dell’anno scorso. Il leale eccentrico mercante d’arte londinese Julian Juicy Julie Isherwood (genitori ricchi ebrei tedeschi, deportati e gassati dai nazisti) riceve una lettera da madame Valerie Bérrangar, che riguarda proprio la vendita che ha appena effettuato, ricevendo sei milioni e mezzo di sterline: l’olio su tela (115 x 92) di Ritratto di donna sconosciuta del pittore barocco fiammingo Antoon van Dyck. Lei ha dubbi di natura legale ed etica sulla transazione e gli chiede di vedersi tre giorni dopo al noto Café Ravel di Bordeaux. Julian parte per la Francia, quando esce dall’albergo gli va addosso una motocicletta con due uomini e scopre che pure la donna è stata investita da un’auto e uccisa. Con l’esperta Sarah Bancroft, ex agente clandestina della Cia e storica dell’arte che lavora con lui, decidono di chiedere consiglio e aiuto a Gabriel Allon, leggendaria famosa spia israeliana da poco in pensione e raffinato restauratore, ritiratosi tranquillo qualche mese prima a Venezia con la moglie Chiara Zolli (padre rabbino capo della piccola comunità ebraica lagunare), direttrice della Tiepolo Restauri (restia a farlo lavorare subito), e i loro due perspicaci gemelli Irene e Raphael, iscritti alla scuola elementare pubblica del quartiere. Julian lo incontra all’Harry’s Bar, racconta della provenienza del quadro, del suo acquisto a Parigi, delle verifiche sull’attribuzione, della guerra al rialzo per l’ulteriore vendita (infine a New York). Gabriel accetta di indagare in giro per il mondo, intuisce una frode multimilionaria coi falsi, corre pericoli, si fa falsario pure lui.
L’affermato pluripremiato giornalista (fino al 1997) e scrittore americano (dal 1994) Daniel Silva (Detroit, 1960) scrive accattivanti romanzi di spionaggio, pieni di colpi di scena pure mortali, con risvolti gialli e culturali. Questo è il ventiduesimo della serie (2000-2022, in Italia 2001-2023) e il suo mitico protagonista, occhi verdi e capelli scuri molto ingrigiti, zigomi pronunciati e naso adunco, asciutto e veloce (1,75 circa), esperto sicario e talentuoso restauratore di dipinti, sta trasformandosi in pensionato ma ancora risponde benissimo agli stimoli (non solo sessuali), con efficacia (spesso violenta) e umorismo (talora nero). La narrazione è in terza (quasi) fissa. Gabriel Allon è stato il direttore generale dei servizi di intelligence israeliani, ha personalmente ucciso dozzine di sapiens, ha subito attentati e ferite, è riconosciuto come leggenda un po’ in tutto il mondo. Ora, attraverso le sue attempate gesta ci immergiamo nell’avidità del mercato globale dei “falsi” connessi alle arti figurative. L’autore è stato ispirato dai frequenti diffusi “veri” scandali, una decina d’anni fa in Francia (un paese che pare particolarmente corrotto a riguardo) riguardarono appunto quadri di vecchi maestri. Per altro, non si sa quanti sono ancora in circolazione, visti l’eccessiva discrezione e l’ovvio opportunismo, privati e pubblici. Capiamo meglio la realtà delle gallerie commerciali e delle case d’asta, il ruolo di consulenti ed esperti, il gioco dei pareri ufficiali e delle figure “di paglia” (insospettabili complici). Ritroviamo molti personaggi di passate avventure, cari amici feroci, divenuti tali anche dopo essere stati avversari. A Roma col generale dei carabinieri Ferrari si mangia al Le Cave, accanto alla sede del Nucleo TPC, effettivamente a piazza Sant’Ignazio, sorseggiando Frascati (adeguati vini, soprattutto italiani e francesi, sono citati ovunque). Musicalmente, alla loro età preferiscono Vivaldi e Bocelli.