Gas fossile: il nemico armato del clima
di Mario Agostinelli
In una conversazione privata a conclusione della Cop 21, un dirigente ENI prevedeva che il vero vincitore della conferenza di Parigi sarebbe stato il gas: completamente compatibile con il sistema delle grandi infrastrutture, disponibile in grandi quantità con sempre nuove tecnologie, soggetto alle convenienze geopolitiche delle grandi potenze e alle attenzioni politiche dei produttori di armi, meno osteggiato del petrolio e del carbone per i suoi effetti sulle emissioni climalteranti. Insomma, un utile compromesso per gli enormi interessi minacciati dalle rinnovabili e per mascherare e diluire l’urgenza di un cambio radicale di paradigma energetico: la decarbonizzazione innanzitutto.
A distanza di un anno e mezzo quella previsione è più che confermata ed il ritardo nel contenere gli aumenti di temperatura è reso più drammatico, pressoché inarrivabile, ma non esecrato quanto occorrerebbe per l’indifferenza dell’opinione pubblica. Il gas irragionevolmente si impone come la soluzione competitiva che l’economia mondiale (con l’eccezione parziale di Cina, India e Francia) e le multinazionali industriali e dei servizi stanno scegliendo per esternalizzare i costi della catastrofe della biosfera e abbindolare le popolazioni con il mito del ritorno alla crescita, accompagnata dalla riduzione delle tariffe e delle tasse sulle persone fisiche (il prezzo del gas viene tenuto basso, la sua diffusione non è accompagnata da misure di prevenzione private e pubbliche degli effetti nocivi e i danni climatici si abbattono non in generale, ma, per ora,, prevalentemente sugli sfortunati più direttamente colpiti). Dopo gli accordi per non andare oltre l’aumento di 1,5°C, solo il gas – naturale, liquefatto, da scisto, da sabbie bituminose – avanza, in un’autentica guerra commerciale e militare, per prendere tempo fino al 2023, quando i firmatari di Parigi dovranno sottostare a vincoli e verifiche più stringenti. E intanto…a tutto gas!
Se disegnassimo sulle carte geografiche i progetti di gasdotti e le rotte delle navi metaniere avremmo lo stesso effetto delle avanzate delle divisioni in tempo di guerra. I progetti mastodontici fioccano e l’Italia è tra i protagonisti sul fronte della messa in opera e della fornitura di sbocchi. Qualsiasi mare si debba valicare, eccoci pronti: Adriatico (TAP), Mar Nero (Blue Stream), Mar Caspio (Trans Caspian) per contendere alla Polonia, alla Germania e al centro delcontinente l’occasione dell’”hub” del gas fossile europeo.
Ma c’è un altro fronte della guerra in corso che complica le strategie. Il gas liquefatto in partenza e poi rigassificato in arrivo, può viaggiare via mare, essere immesso in cisterne a bassa temperatura dai giacimenti naturali del Qatar, come dai giacimenti di sisto e dalle sabbie bituminose, dopo essere stato trasportato sulle coste americane dai gasdotti cui Trump oggi dà il via libera
“È l’inizio della guerra dei prezzi tra il gasolio americano e il gas di condotta che viene da oriente”, ha dichiarato Thierry Bros, analista di Société Générale, citato dal WSJ (v. http://it.reporter-ua.ru/il-primo-cisterna-gpl-da-stati-uniti-damerica-e-uscito-in-europa-costringendo-gazprom-per-riflettere-sui-prezzi.html ). Gli analisti dicono che la Russia potrebbe tagliare i prezzi che addebita ai propri clienti europei per cercare di scacciare i nuovi concorrenti statunitensi. Anche se più caro, molti in Europa vedono l’ingresso del gas liquido degli Stati Uniti sul mercato come parte di un più ampio sforzo geopolitico per sfidare il dominio russo delle forniture e mettere in crisi il rapporto Putin-Merkel per la costruzione della condotta North Stream 2 nel Baltico.
E infatti lo scatto americano non si è fatto attendere. A marzo erano già stati consegnati i primi carichi di shale gas al Brasile, con successive spedizioni verso l’Asia. Il 21 aprile il Wall Street Journal aveva informato che una nave metaniera portava per la prima volta gas liquido americano in Europa. Poi le notizie si sono intensificate: il Guardian (http://www.pennenergy.com/articles/pennenergy/2016/03/ineos-intrepid-leaves-u-s-carrying-first-shale-gas-shipment-to-europe.html) informa che 27.500 metri cubi di shale gas sono arrivati in Norvegia. Trump, nel suo discorso a Varsavia ha voluto mandare un chiaro messaggio alla Russia. «Siamo seduti su una grande quantità di energia fossile ed ora siamo esportatori di energia, quindi, se qualcuno di voi ha bisogno di energia, basta che ci dia una telefonata», [così, secondo la trascrizione del suo discorso diffuso dalla Casa Bianca,( http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2017/07/07/trump-vuole-sostituire-putin-per-vendere-gas-usa-alleuropa/25847/ )]
Il terminal nel Mar Baltico di Swnoujscie, dove la Polonia già accoglie GNL dal Qatar, sarà ampliato e l’allestimento di terminali per il gas americano nei Paesi Baltici sono la risposta al sollecito, mentre si affaccia in concorrenza anche l’Egitto dopo la scoperta da parte dell’ENI di notevoli giacimenti nel Mediterraneo. Così tutti corrono – un giorno sì e un giorno no – ai terminali del Golfo del Messico, alla corte del Qatar, alle stanze sontuose degli sceicchi arabi o di Al Sisi, dimenticandosi ogni volta di Regeni.
C’è infine la schizofrenia statunitense verso i produttori di gas del Golfo. Dopo l’anatema di Trump e dell’Arabia Saudita verso il Qatar, tre giganti energetici (EXXON, BP e TOTAL) dichiarano il loro sostegno al piano di Doha di aumentare del 30% la produzione entro il 2024. E Washington diventa mediatrice di una lotta di puri interessi, tutti con la puzza del gas, altro che inebriati da essenze religiose! D’altra parte, come ha detto alla Reuters il funzionario di una delle compagnie coinvolte (v. http://nena-news.it/crisi-del-golfo-exxon-shell-e-total-in-soccorso-del-qatar/) : “Cè solo una politica qui –– Si devono fare scelte puramente economiche: essere qatariota in Qatar e emiratino negli Emirati”. Non c’è solo Trump a sparare sul clima….
Sparare non è detto con ironia. Mentre Trump costringe ogni vertice internazionale a chiudere senza concedere nulla alla questione climatica, gli USA hanno fornito – fresche fresche – armi per 110 miliardi ai Sauditi, dopo aver appoggiato l’isolamento del Qatar dal resto del fronte sunnita (Arabia saudita, Bahrain, Emirati arabi e Egitto), il fallimento della mediazione del Kuwait e la prospettiva di nuove sanzioni a stretto giro.
E, sempre con lo sfondo del gas, la Polonia del presidente Duda ha tutte le carte in regola per assumere l’incarico di lanciare l’«Iniziativa dei tre mari», un nuovo progetto che riunisce 12 paesi compresi tra il Baltico, il Mar Nero e l’Adriatico: Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Ungheria, Cechia, Austria, Bulgaria, Romania, Croazia, Slovacchia e Slovenia. Una iniziativa a sfondo militare mirante a «connettere le economie e infrastrutture dell’Europa centrale e orientale da Nord a Sud, espandendo la cooperazione nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni digitali e in generale dell’economia, rinvigorita dalle fonti fossili e dalle spedizioni di gas liquido dai porti americani. (http://osservatorioitaliano.org/read/155656/croazia-trump-sostiene-iniziativa-dei-tre-mari-inizio-del-progetto-del-terminale-gnl-sullisola-di-veglia ) al terminale di Swinoujscie, costato a Varsavia circa un miliardo di dollari. Attraverso questo e altri terminali, tra cui uno progettato in Croazia, il gas proveniente dagli Usa, o da altri paesi attraverso compagnie statunitensi, sarà distribuito con appositi gasdotti all’intera «regione dei Tre mari». Lo scopo del piano è chiaro: colpire la Russia facendo calare il suo export di gas in Europa (obiettivo realizzabile solo se l’export di gas Usa, più caro di quello russo, sarà incentivato con forti sovvenzioni statali).
Queste nuove strategie ancorate ai fossili, oltre ad avere conseguenze dirette sul mercato mondiale delle materie prime — i paesi arabi del Golfo hanno aumentato a dismisura la produzione di petrolio per controbattere all’iniziativa USA – ha innescato un altro enorme fenomeno nell’industria petrolchimica. E cioè il grosso aumento della produzione di plastica made in Usa e della sua conseguente esportazione, soprattutto verso i mercati emergenti di America Latina e Asia, oltre all’Europa. Contenitori di ogni sorta, bottiglie, confezioni di cibo per bambini, parafanghi, componenti di smartphone e tablet e molto altro. Tutti figli dello shale e del fracking, oramai inarrestabili negli Stati Uniti. I dati, riportati dal Wall Street Journal, sono indiscutibili: negli Stati Uniti i nuovi investimenti potranno raggiungere una quota pari a 110 miliardi all’anno di qui al 2027 (nel 2016 la cifra era inchiodata a 17 miliardi). Significherebbe raggiungere il valore, e il traguardo, della torta delle esportazioni di petrolio dell’Arabia Saudita.
Insomma, questa potrebbe essere la seconda “shale revolution”, la seconda “rivoluzione di scisto”, come ha scritto il Financial Times qualche settimana fa.
Infine una nota sarcastica e dolorosa: si era detto che a Taormina al G7 di fine Maggio si sarebbe parlato essenzialmente del dramma dei migranti…Ma l’ordine del giorno è stato ben altro. Ecco la nota sull’incontro del G7 fornita dalle News della Banca Mondiale: «La Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD) sta valutando l’offerta di un prestito fino a 1,5 miliardi di euro (1,7 miliardi di dollari) per il progetto Trans Adriatic Pipeline (TAP)». “Stiamo valutando fino a 500 milioni di dollari ($ 566,5 milioni) del nostro denaro per la TAP, oltre a cercare di organizzare con altre banche fino a un importo di 1 miliardo di euro in un prestito sindacato” ha affermato Riccardo Puliti, direttore generale della BERS Energia (Energy Global). La Banca europea per gli investimenti (BEI) sta prendendo in considerazione anche la fornitura di fondi pari a 2 miliardi di euro (2,27 miliardi di dollari) per il progetto. Puliti si aspetta che i fondi della BERS e della BEI, insieme alle agenzie di finanziamento per azioni e agenzie di credito all’esportazione, finanzino l’intero progetto. Il progetto TAP, pari a 6 miliardi di euro (6,8 miliardi di dollari), che fa parte del corridoio del gas meridionale, prevede un gasdotto di gas naturale di 870 km che si collegherà con la pipeline Trans Anatolian al confine Turchia-Grecia per fornire gas verso il sud dell’Italia. Il corridoio meridionale è una parte centrale degli sforzi dell’UE per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico e portare gas dalle nuove regioni. Bruxelles ha voluto promuovere un progetto europeo che coinvolge nuovi produttori di gas per competere con le proposte russe di rotte alternative per l’approvvigionamento del gas russo – incluso il controverso Nord Stream 2 sotto il Mar Baltico in Germania. La presenza del sig. Tsipras alla cerimonia del Tap ha sottolineato l’ampliamento della politica da parte del suo governo di Syriza dopo l’accordo dell’anno scorso con la Russia, fornitore principale della Grecia. La conduttura trasporterà gas attraverso la Grecia settentrionale e il Mar Ionio a sud del tratto Tap, che arriva anche a terra nell’Italia meridionale”
Che attraverso i tubi ci vogliano far passare i migranti che vengono dalle regioni subsahariane?