Gas, metanodotti, guerra e confini. E intanto la Bce…

dà i voti e fa la cosa “giusta” a metà.

di Mario Agostinelli (*). A seguire un articolo di Ferdinando Cotugno ripreso da «valori.it»

Forse pochi hanno notato come i media stiano – comprensibilmente – demonizzando la mossa oscena di Putin di annessione alla Russia di regioni ucraine, ma non danno rilievo al sabotaggio del collegamento fra la Russia e l’Europa dei due metanodotti del Baltico ( https://www.editorialedomani.it/fatti/lattacco-ai-tubi-di-nord-stream-sposta-gli-equilibri-in-europa-fmqlviih ). Dal punto di vista “politico e militare”, le implicazioni sembrerebbero non essere confrontabili: ma, a ben guardare, stanno purtroppo in relazione. Di fatto, questi due fattori – da una parte l’espansione territoriale della Russia verso il Mar Nero, dall’altra il blocco dei canali energetici da oriente verso l’Europa – convergono ad ogni volta che la crisi raggiunge un punto di svolta e la guerra fa un balzo in avanti verso il baratro, come confermano i due missili lanciati sul parcheggio di un convoglio umanitario a Vinnytsia, e la minaccia dell’”atomica strategica” dietro l’angolo. Dal punto di vista “fisico”, sabotare un tubo di 1 metro di diametro caricato di metano e immerso con tutte le precauzioni in mare per 1200 Km, si risolve in un’esplosione di qualche centinaio di chilogrammi di tritolo applicata all’infrastruttura da apparati segreti ed invisibili, mentre la modifica dei confini nel Donbass, pur rappresentata dalla modifica di un tratto di matita sulla carta geografica cui viene associato un colore diverso, ha comportato massacri feroci e combattimenti cruenti sul terreno.

Ma perché tutta la stampa occidentale non vuole mettere in rapporto l’isolamento dei canali commerciali con la Russia, e l’inverno terribile che ci aspetta, con la recrudescenza della guerra “pazza” – come dice papa Francesco – se non perché. oltre che nella pretesa di Putin, prevale nella testa di Zelensky e della Nato lo stigma della vittoria, a tutti i costi?

Distruggere i due gasdotti è – come l’annessione del Donbass- distruggere un equilibrio ancora negoziabile della guerra in Ucraina: nel caso del metano in particolare, significa distruggere l’asse dell’energia ancora sopravvissuto fra Berlino (Roma?) e Mosca. Intanto i prezzi del gas sul Ttf olandese sono schizzati nuovamente in alto, fino a 208 euro/MWh a seguito del tentativo di destabilizzare ulteriormente l’approvvigionamento energetico dell’Ue. Va detto, che finora la Russia, nonostante il calo delle importazioni del suo gas da parte dei Paesi Ue negli ultimi mesi, ha tratto ingentissimi profitti grazie alle elevate quotazioni del combustibile sui mercati, le quali hanno più che compensato la riduzione dei volumi venduti e che Kiev ha anche sfruttato la situazione per chiedere maggiore sostegno militare contro gli aggressori, mentre il netto incremento dei volumi di Gnl verso la UE dai mercati internazionali (Usa, Qatar, Azerbaijan e Norvegia in primis), hanno rimpinguato le casse degli apparati militari e fossili di tutti i cobelligeranti. Questo è il bilancio economico perverso della guerra in corso. Peraltro, gli “incidenti” sui gasdotti russi sono avvenuti in concomitanza con il lancio del gasdotto Baltic Pipe: inaugurato ufficialmente martedì 27 settembre, a Goleniów, in Polonia, che trasporterà fino a 10 miliardi di metri cubi di gas.

È solo una coincidenza?

Quel che è certo è che affidarsi al gas è una scelta sempre più rischiosa, a prescindere da chi lo fornisce e come.

Mentre si discute la possibilità di introdurre un tetto Ue ai prezzi del gas – ipotesi che finora ha diviso gli Stati membri – la Commissione europea dovrebbe aumentare iniziative e investimenti per ridurre la domanda di energia e sviluppare le fonti rinnovabili, le uniche in grado di assicurare una maggiore sicurezza e indipendenza energetica, ora che il cordone ombelicale che legava la Russia all’Europa sul gas è stato spezzato e galleggia in alto mare.

Prima di passare a inquietanti considerazioni ecologiche, vorrei ricordare come ormai la politica energetica tedesca non veniva più decisa a Berlino ma a Washington: uscita di scena Angela Merkel, gli Usa hanno avuto campo libero e, con la distruzione dei due gasdotti, è stata preclusa ulteriormente la via del negoziato ed è stata consegnata l’Europa intera alla dipendenza prolungata dalle importazioni di gas soprattutto statunitense. con conseguenze incalcolabili sul tenore di vita della popolazione.

E poi c’è l’aspetto ambientale, anch’esso oscurato. Quello avvenuto a lato della Danimarca è il peggior disastro nel campo dell’emissione di metano. Greenpeace scrive che, secondo calcoli preliminari, il potenziale impatto climatico della fuoriuscita di metano dai Nord Stream potrebbe essere di 30 milioni di tonnellate di CO2eq nell’arco di 20 anni: nel prossimo ventennio, un arco di tempo cruciale per l’azione sul clima, ogni tonnellata di metano emessa avrà impatto pari a 84 tonnellate di CO2eq (pari alle emissioni di gas serra di due milioni di auto in un anno.(v. https://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/clima/2022/09/28/nord-stream-greenpeace-fuga-come-emissioni-20-milioni-auto_e9f2e3ba-972b-4edb-a133-93547f7cf32f.html ).

Intanto nella UE si discute del price cap del metano. Purtroppo, è sul mercato che la UE stessa ha chiesto di spostare le modalità ed i prezzi di acquisto: ma, essendoci tre mercati regionali d’acquisto, quello russo, ormai tagliato fuori, avrebbe mantenuto prezzi più contenuti. Intanto, si va allargando come conseguenza anche il prezzo dello scambio delle emissioni, con conseguente rincaro del metano bruciato. La notizia data da Cingolani di avere a disposizione quantità di scorte nazionali vicine al 100% non è per nulla rassicurante: innanzitutto, sono state pagate 10 volte rispetto l’anno precedente, mentre – in quasi totale silenzio – la domanda nazionale di greggio russo e di carbone nel 2022 sono aumentate del 112% e del 18% rispettivamente.

In definitiva, con un profitto evidente di USA Qatar e Norvegia, rallenta la transizione ecologica del Next Generation UE.

Purtroppo tutti i fattori – economici, commerciali e industriali – si allineano sul risultato più pericoloso ed, in un certo senso, i fattori dell’espansione territoriale della Russia in Ucraina e del blocco dei canali energetici verso l’Europa, convergono ogni volta che la crisi raggiunge un punto di svolta Ogni settimana più pericoloso. E ogni settimana da tenere sotto la stessa allarmata, se non disperata, apprensione.

(*) ripreso dal blog di Agostinelli su «Il fatto quotidiano» dove è stato pubblicato prima della decisione  gravissima presa da Zelensky e approvata dal suo “Consiglio di guerra” di escludere trattative con Putin … a qualsiasi condizione.

Dalla Bce voti alle aziende per scegliere le obbligazioni green

di Ferdinando Cotugno – dalla newsletter «9 anni» (**)

La Banca centrale europea assegnerà un punteggio climatico alle aziende che emettono obbligazioni. E userà quel punteggio per stabilire quali privilegiare nell’ambito dei piani di acquisti della sua politica monetaria, come quelli del quantitative easing e del PEPP, il Programma di acquisto di emergenza pandemica. Il disegno più ampio è permettere alla Bce di costruire un portfolio più sostenibile e compatibile con gli obiettivi del Green Deal.
La strategia è quella di usare questo corridoio finanziario per incoraggiare 
le aziende lungo la strada verso la decarbonizzazione. Quelle virtuose, infatti, si troveranno a essere privilegiate dai programmi europei di acquisto. Mentre quelle più carenti vedranno ridursi la propria quota di obbligazioni comprate dalla Bce. È una scelta positiva, che va nella direzione giusta e che però ha sia luci che ombre.
Quella della Bce una classica 
soluzione di compromesso, tra un pericoloso status quo (nessun criterio climatico per il quantitative easing e affini) e uno strappo più radicale. Come sarebbe stato eliminare del tutto dal programma di acquisti le aziende più responsabili della crisi climatica (come le major dell’energia). Il contesto in cui è arrivata questa svolta era la richiesta degli organismi internazionali, della comunità scientifica e delle organizzazioni non governative nei confronti delle banche centrali di agire in modo più diretto per il rispetto dei parametri dell’Accordo di Parigi.
Un altro aspetto che muove queste nuove politiche climatiche della Bce, però, è la necessità di limitare i 
rischi finanziari della transizione. Riducendo il peso di quelle meno attrezzate, pronte o disposte a ridurre il proprio impatto sull’ambiente, che rischiano di trovarsi sommerse da stranded assets. Ovvero asset e investimenti fuori tempo massimo per un’Unione che dovrebbe arrivare alla neutralità climatica tra meno di trent’anni. Insomma, da un lato spingere le aziende a decarbonizzare, dall’altro limitare l’esposizione europea nei confronti di chi sceglie di non farlo.
La Bce ha fatto un corposo passo in questa direzione, ma ha anche scelto di non effettuare una cesura netta nei confronti degli 
inquinatori. Optando per la carota e non per il bastone. Dando loro più tempo per adeguarsi, senza traumi finanziari. «Il piano della BCE – ha commentato l’ong Reclaim Finance – significa che continua il sostegno alle aziende fossili, nonostante i danni che queste fanno all’ambiente e all’inflazione». L’accusa di Reclaim Finance è in sintesi questa: rimanendo a metà del guado, la Banca centrale europea «contribuisce a mantenere la dipendenza dell’Eurozona dai combustibili fossili. E viene meno al suo dovere di guidare una transizione verso l’energia pulita».
L’unica realtà materiale che conta è quella dell’atmosfera e della 
riduzione delle emissioni: solo il tempo ci dirà quanto questa nuova politica di compromesso climatico della Bce sarà stata efficace nella decarbonizzazione dell’Unione europea. Il nuovo sistema di punteggio prevede che 30 miliardi di euro, cioè il 10 per cento del suo portfolio, possa essere investito nelle aziende più ambiziose. Cioè con i piani più basati sulla scienza e verificati in modo indipendente. Mentre il monte complessivo degli acquisti non cambierà.
I punteggi climatici assegnati dalla Bce terranno conto di tre aspetti. Il primo sono le 
emissioni storiche, che includono (ed è positivo), anche le Scope 3, cioè quelle generate lungo tutto la catena dell’uso. Il secondo sono le emissioni future. Il terzo è la qualità e la trasparenza dei report sulle emissioni. Saranno quindi privilegiate negli acquisti di bond le società che decarbonizzeranno più in fretta e anche quelle più dettagliate e precise nel mostrare il proprio impatto climatico.
L’attenzione verso la trasparenza è uno dei messaggi più importanti inviati dalla Bce ai mercati con questo nuovo sistema di punteggio. Anche se è 
depotenziata da un’altra delle regole di compromesso del nuovo sistema. I punteggi climatici raccolti dalla Bce sugli emettitori non saranno resi pubblici, togliendo così a cittadini, consumatori e investitori uno strumento prezioso per valutarli. La ratio dietro questa scelta è non minare l’efficacia degli acquisti e la politica monetaria generale della Bce. Il funzionamento del nuovo metodo climatico a punteggio sarà rivalutato dopo un anno e corretto, se necessario. 

(**) «9 anni» è la newsletter che «Valori.it» dedica, una volta a settimana, a storie e approfondimenti sulla crisi climatica. 9 anni è il tempo che manca al momento in cui la temperatura globale sarà di 1,5°C più alta dell’era preindustriale. Erano 15 quando abbiamo iniziato a inviare questa newsletter, a novembre 2019. (fonte: ClimateClock)

LE VIGNETTE di Mauro Biani e Vauro SONO STATE SCELTE DALLA “BOTTEGA”

 

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