Gatti neri, filosofi, teologi e stanze buie
Nella puntata 135 di «Ci manca(va) un Venerdì» il noto “astrofilosofo” Fabrizio Melodia ci getta qualche salvagente per non annegare nel Mar Pensiero
Vedo in rete questa arguta frase: «un filosofo è un cieco che cerca in una stanza buia un gatto nero che non c’è. Un teologo è l’uomo che riesce a trovarlo». E’ attribuita al giornalista e filosofo Henry Luis Mencken, riconosciuto come filosofo dal palato fine. Si dice in effetti che fosse un grande lettore del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche e dello scrittore Joseph Conrad: ebbe notevoli influenze su Francis Scott Fitzgerald, Ben Hecht, Sinclair Lewis, James Branch Cabell e Alfred Knopf. L’ironia di Mencken non sarebbe troppo sbagliata: quei mattacchioni dei filosofi si fidano della fallace Ragione umana mentre i teologi trascendono.
Però attenzione: la frase non è di Mencken ma del filosofo Bertrand Russell. O almeno così mi risulta.
Russell lo affermava, probabilmente, in senso ironico.Un po’ di humor – si sa – fa sempre bene, soprattutto quando si discute di situazioni spinose (o “spinoze” se preferite) come la teologia e la filosofia, insomma del vecchio scontro (sanguinoso purtroppo) tra fede e ragione.
«La teologia autentica è essenzialmente contemplazione gratuita e ammirata del disegno concepito dal Padre prima di tutti i secoli per la nostra salvezza e per il nostro vero bene» affermò il cardinale e teologo Giacomo Biffi (ve lo ricordate? Un reazionario convinto).
Mentre il filosofo Duns Scoto – noto come Dottor Sottile per la sua mania di voler sempre spezzare il capello in quattro – sottolineava: «I filosofi sostengono la perfezione della natura e negano la perfezione soprannaturale; i teologi, al contrario, conoscono il difetto della natura, la necessità della grazia e la perfezione soprannaturale».
Il dubbio resta: la ragione umana sarebbe solo frutto della fallace natura e quindi un organo connesso con la creazione ma sconnesso dalla “causa profonda” del tutto. Non a caso, quel geniaccio di Albert Einstein amava sottolineare: «La fisica deve addirittura perseguire finalità teologiche, poiché deve proporsi non solo di sapere com’è la natura, ma anche di sapere perché la natura è così e non in un’altra maniera, con l’intento di arrivare a capire se Dio avesse davanti a sé altre scelte quando creò il mondo». Un dio che cerca la strada giusta? Ma chi ci garantisce alla fine che questo universo sia davvero l’unico creato e “il migliore dei mondi possibili”? E se il dio (o come volete chiamare colui – o colei – che tutto può) avesse creati infiniti universi finiti?
Ed ecco che si ripresenta Mencken, decisamente sorridendo (o ghignando): «la teologia è il tentativo di spiegare l’inconoscibile nei termini di ciò che non vale la pena conoscere».
Roba da teologi o da filosofi. Oppure da inconcludenti, mal di testa inclusi: «Il compito della filosofia, spesso difficile e doloroso, è districare e portare alla luce le categorie e i modelli nascosti in base ai quali gli esseri umani pensano […]; rivelare ciò che in essi vi è di oscuro e contraddittorio; discernere quelle incompatibilità tra i modelli che impediscono la costruzione di modi più adeguati per organizzare, descrivere e spiegare l’esperienza» scrive il filosofo e politologo Isaiah Berlin.
Filosofia e teologia sono così diverse? Ecco lo scrittore poeta e aforista tedesco Novalis gettarci un salvagente: «Il filosofo vive di problemi come l’uomo di cibi. Un problema insolubile è un cibo indigesto». Mentre il fantafilosofo Philip K. Dick malignava: «L’arte, come la teologia, è una frode ben confezionata».
Tra un consiglio per gli acquisti e la fede del giorno, buona teologia (a tutte/i?). Però fate attenzione ai gatti neri nelle stanze buie, soprattutto se sono sotto i tavoli.