Gaza writes back
di Monica Macchi (*)
“Fin quando i leoni non avranno i loro storici,
la storia della caccia darà gloria ai cacciatori”
Chinua Achebe
In una prima fase dopo la Nakba, i palestinesi hanno dovuto dimostrare di esistere per contrastare la narrativa sionista di «una terra senza popolo per un popolo senza terra» come dimostrano il film di Mustafa Abu Ali del 1974 “ليس لهم وجود” (“Laissa lahum wujuud” cioè “Loro non ci sono”, esplicita risposta all’affermazione di Golda Meir che in una intervista al «Sunday Times» del 15 giugno del 1969 ha dichiarato: «Non esiste qualcosa come un popolo palestinese… non è che siamo arrivati per cacciarli via e impossessarci del loro Paese… semplicemente loro non esistevano») o “Great Robbery” un lavoro di ricerca sugli archivi che racconta il saccheggio e la distruzione di circa 70.000 libri palestinesi durante la guerra del 1948. Ben presto a queste testimonianze si affianca un’arte di narrazione come strumento di resistenza e ultimamente la generazione post-Oslo ha sublimato l’esperienza della frammentazione della Palestina nel racconto breve di Adania Shibli o nel corto cinematografico di Condom Lead (di cui abbiamo parlato qui: http://www.peridirittiumani.com/2014/12/08/condom-lead-guerra-amore-e-resistenza/) o Ave Maria. Ma l’arte ha assunto anche la funzione di terapia come dimostra la recente assegnazione del Global Teacher Price a Hanan Hroub (ne abbiamo parlato in «Hanan Hroub») che ha ideato una didattica ludica in cui il gioco serve per (ri)creare un clima di fiducia reciproca.
E anche questo libro «Gaza writes back», nato da un corso di scrittura creativa all’università islamica di Gaza dopo la lettura di «Berecche e la guerra» di Pirandello, utilizza il potere della scrittura come atto di vita e come resilienza dopo l’esperienza di Piombo Fuso. Quasi tutti gli autori e le autrici sono anche blogger che utilizzano i social network e la lingua inglese come uno spazio nuovo senza confini in cui forgiare nuovi modi di appartenenza e radicamento. E nuove sono anche alcune tematiche come quella dei sopravvissuti: nel racconto di Rawan Yaghi «non mi guardarono più nello stesso modo di prima di quell’orribile giorno… avevano uno sguardo distante come quello di zio Abu Ahmed quando mi guardava, come se non capissi, come se sapessero qualcosa che io non sapevo, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato».
Dopo la fase acuta dei bombardamenti a Gaza resta comunque lo stillicidio quotidiano dell’assedio e dell’occupazione dove anche un mal di denti può trasformarsi in un’odissea, come nel racconto omonimo di Sameeha Elwan. Ma anche la determinazione a vivere nonostante tutto che prende la forma letteraria del rapporto con la terra e con l’ulivo come nel racconto intitolato «Storia della terra» di Sarah Ali «la memoria della terra, la memoria degli ulivi davano a mio padre un senso di sicurezza ogni volta che vi si sedeva sotto, godendosi la loro ombra che lo riparava dai roventi raggi di sole. Era la memoria dell’olio dorato, versato nelle taniche e portato ai parenti e agli amici come un dono prezioso. Era la memoria dei lunghi anni di cure alla terra, anni di dedizione e appartenenza. Sradicando le piante e tagliando gli alberi in continuazione, Israele prova a spezzare quel legame… ripiantando i loro alberi ancora e ancora i palestinesi resistono».
«Gaza Writes back» a cura di Refaat Alareer, 12 € – scrivere a info@peridirittiumani.com per richiederne una copia
(*) ripreso da /www.peridirittiumani.com